Un’utopia chiamata Sealand

Un’utopia chiamata Sealand

Agosto 11, 2022 0 Di Luca Sisto

Il 7 marzo 2014 un articolo piuttosto curioso appare su Vice. Si tratta della cronaca semiseria di una partita di calcio internazionale, fra il Principato di Sealand e i figli della diaspora delle Isole Chagos. Quest’ultima selezione iscritta persino alla CONIFA. E con all’attivo una recente vittoria contro Tuvalu, che per quanto in estremo pericolo ambientale è uno stato-nazione oceanico a tutti gli effetti. Non iscritto alla FIFA, si intende.

La gara si è giocata il 23 febbraio, nell’impianto di Godalming, nel Surrey. Ho ritrovato questo pezzo mentre mi stavo occupando di una ricerca sull’annosa questione dei chagossiani, popolo che abitava un arcipelago poco a sud-ovest delle Maldive e a nord est delle Mauritius, facente parte dei territori britannici dell’Oceano Indiano.

Circa duemila chagossiani, negli anni sessanta, hanno subito la deportazione dalla Corona britannica e sono stati rilocati alle Mauritius, alle Seychelles, o come forza lavoro in Inghilterra. Il governo britannico aveva infatti stretto un accordo militare con gli USA, i quali avrebbero stabilito un’importante base militare su una di queste isole, l’unica realmente abitabile oggi, Diego Garcia.

Da quest’isola gli USA hanno fatto partire i primi aerei militari impiegati in diversi conflitti, non ultime le Guerre del Golfo. Col passare degli anni, i chagossiani hanno più volte fatto domanda per fare ritorno a casa, ma un’inchiesta svelata da Wikileaks ha dimostrato che, per evitare ciò, britannici e americani hanno etichettato ufficialmente l’arcipelago come riserva marina, non abitabile dall’uomo. Il Regno Unito, nel corso del 2021, avrebbe dovuto restituire le Isole Chagos alle Mauritius. Nonostante la richiesta avanzata dal tribunale marittimo dell’ONU, gli inglesi si sono sempre rifiutati.

La partita, che in realtà era la seconda fra le due del tutto peculiari rappresentative (ne sono state giocate tre in totale, con un pareggio e una vittoria per parte), si configurava quindi come un autentico sottoprodotto dell’imperialismo britannico. Da una parte, un popolo senza terra. Dall’altra, ricchi cittadini di un microstato artefatto. 

Il secondo gol di Smith del Principato di Sealand nella gara contro le Chagos (fonte: non-fifa football blogspot)

Già. Giunto alla cronaca del quarto gol di Sealand (quella gara finì 4-2 per il “Principato”), ho cominciato seriamente a chiedermi: “ma che diavolo è Sealand?”

Sealand: ma cos’è?

C’è un punto, nella curva spazio-temporale della storia, in cui Sealand e Chagos hanno già incrociato i loro destini. A cavallo tra il 1966 e il 1967, mentre i chagossiani venivano deportati dai loro atolli, Roy Bates, un maggiore dell’esercito britannico, stabiliva a Roughs Tower, un’isola fortezza artificiale a sette miglia dalla costa orientale della Gran Bretagna, a largo dell’estuario del Tamigi, la sua dimora. Nasceva così il Principato di Sealand. Per capire come e perché, dobbiamo fare un ulteriore passo indietro.

Durante la secondo guerra mondiale, Hitler e i nazisti avevano cominciato a bombardare Londra e il Regno Unito, con una virulenza tale che, per nascondere gli obiettivi militari, le città di sera erano completamente al buio. Se avete visto “L’ora più buia” e “I love Radio Rock”, non vi sarà difficile calarvi nella storia che vi stiamo raccontando. Per cercare di bloccare i caccia nazisti prima che potessero avvicinarsi alle città britanniche, vennero create delle fortezze all’interno delle acque territoriali inglesi, sulle quali stabilire un’efficace contraerea.

I poveri inglesi costretti a fare da guardia/filtro contro gli aerei della Luftwaffe, restavano praticamente svegli 24 ore su 24 in attesa dell’allarme. Alcuni decisero, dalla pazzia, di gettarsi nelle acque gelide per togliersi la vita. Il resto della storia, premete fast forward, lo conosciamo. I nazisti furono sconfitti, mentre le fortezze marittime cominciarono a depauperarsi e, molte di esse, vennero distrutte. Non tutte, però.

Mentre dalle frequenze radio della BBC risuonava sempre la stessa solfa, negli anni sessanta nacque in Inghilterra il fenomeno delle radio “pirata”, che passavano musica rock e pop e davano spazio ad artisti e presentatori snobbati dal conservatorismo post bellico anglosassone.

Uno di questi, Roy Bates, aveva dato vita a Radio Essex, stabilendo il suo quartier generale su una di quelle fortezze dimenticate da Dio, Knock John. La Radio era diventata così famosa nel suo essere alternativa, che il governo britannico dovette accorgersi non solo della sua esistenza, ma anche del fatto che non tutte le fortezze navali del periodo bellico erano state abbattute. Il Maggiore Bates perse la disputa legale, e per salvare la radio (e la pelle), dovette scappare da Knock John. Un autentico colpo di fortuna gli fece scoprire un’altra fortezza, costruita per sbaglio poco al di fuori delle acque territoriali britanniche, lontano dalla giurisdizione del Regno Unito. Roughs Tower venne quindi occupata da Bates e dalla sua famiglia, che decisero di andare ben oltre la radio.

I Bates issano la bandiera di Sealand su Roughs Tower. Foto tratta dal sito ufficiale sealand.org

Crearono uno Stato indipendente, con un proprio passaporto e leggi proprie. Non riconosciuto da nessun altro Stato, ovviamente. Che Paese dovrebbero rappresentare due torri e lo spazio per l’atterraggio degli elicotteri in mezzo al mare? Eppure, se fate un giro sul sito web di Sealand, vi accorgerete che, a distanza di decenni, gli eredi della famiglia Bates fanno ancora maledettamente sul serio.

I Bates sono passati attraverso azioni di spionaggio, tentativi di invasione, rapimenti e incidenti esplosivi. Ma sono sopravvissuti a tutto. Tranne alla vecchiaia, ovviamente: Roy Bates ha lasciato questa terra nel 2012. Oggi è possibile sostenere il progetto di Sealand e la sua esistenza attraverso donazioni, merchandising, o persino acquistando titoli nobiliari, i più svariati. A seconda che vogliate diventare semplici cittadini, conti, contesse, duchi o duchesse, con il Principato di Sealand tutto è possibile.

L’assenza di riconoscimento governativo e bancario, ha fatto sì che Sealand rivolgesse la sua attenzione persino alle criptocurrencies. Cosa che ha fatto storcere il naso non poco ai suoi “cittadini” e ai suoi sostenitori.

Visitare Sealand, o meglio, atterrare su Sealand attraverso la gru situata sul ponte di comando, è molto complesso. Ma “essere Sealand” è un’utopia. Un qualcosa di molto più spirituale, ma al contempo accessibile. Se siete mai stati ad un concerto di Ed Sheeran, vi basterà sapere che ha anche…il passaporto di Sealand. Non è l’unico nobiluomo con legami più o meno saldi con la famiglia Bates. E chi vi scrive, in effetti, non ha ancora scelto se provare simpatia o meno per questa ricca famiglia anglosassone e per i suoi sostenitori. Per quanto il seme della rivoluzione da cui nasce Sealand abbia il suo fascino.

Torniamo quindi al principio della nostra storia.

Negli ultimi anni, soprattutto a causa della pandemia, Sealand ha interrotto le sue attività sportive per dedicarsi ad imprese più “instagrammabili”. Come, ad esempio, issare la propria bandiera su un ghiacciaio, o trasportarla negli angoli più remoti della terra.

Nella prima sfida, datata 2012, le Isole Chagos avevano battuto 3-1 Sealand. Nella seconda, da cui siamo partiti, i rossoneri avevano trionfato per 4-2. La terza, la “bella”, tre mesi più tardi, nel maggio 2014, aveva prodotto un pareggio per 1-1, con successiva vittoria ai rigori dei chagossiani.

Ciò che ci interessa, in conclusione, è proprio quest’utopia. E cos’è il calcio, quello lontano dagli stipendi milionari della Champions, se non la traslitterazione sportiva di quell’utopia, su cui si reggono le vane aspettative di legittimazione di cittadini senza patria. E senza neppure una terra da chiamare “nostra”.

I chagossiani non faranno mai ritorno nei loro atolli. Sealand non sarà mai uno stato-nazione riconosciuto. Il motto latino di questi ultimi “e mare libertas”  (libertà a partire dal mare) continuerà a far sognare i suoi sostenitori.

Ma in fondo che importa. Questo è solo calcio. Uno sport che ti permette di urlare al mondo, “esisto”.

 

Immagine di copertina: sealand.org