Il Valencia da Patrick a…Justin Kluivert

Il Valencia da Patrick a…Justin Kluivert

Settembre 8, 2022 0 Di Philip Supertramp

“Mio padre mi ha detto che arrivo in un grande club”.
Queste sono state le prime parole di Justin Kluivert, quando è atterrato all’aeroporto di Valencia.

Il nuovo acquisto Taronja ha deciso di vestire la maglia numero 9: lo stesso numero che suo padre indossò quando giocò nel Valencia nella stagione 2005/06.

Per quello che è stato il suo vissuto, non si può dire che la Pantera Nera non avesse ragione. L’attaccante olandese, dopo la sua epoca d’oro al Barcellona, con l’arrivo di Eto’o in blaugrana scelse di andare al Newcastle.

In Premier League, dove venne acquistato per sostituire il trentaquattrenne Shearer, rimase solamente un anno. Il capitano dei Magpies non era ancora pronto al ruolo di panchinaro, e così a finirci fu proprio il nuovo acquisto. Al termine della stagione Kluivert tornò in Spagna, questa volta circa 400 km più a sud di Barcellona.

Patrick Kluivert e la sua avventura al Valencia

Arrivò nella capitale del Turia nel giugno del 2005 e venne accolto da un bagno di folla. L’attaccante, che tanto li aveva fatti soffrire, era diventato la punta di diamante di un attacco esplosivo, costituito in prima linea da lui e da Aimar.

Il Valencia veniva da un’epoca piena di successi: nel 2004 era stato votato come miglior squadra del mondo secondo la IFFHS, grazie alla storica doppietta (Liga e Coppa UEFA), e la dirigenza, ingolosita dalle vittorie e sulle ali dell’entusiasmo, continuava a voler rinforzare il parco giocatori.

Patrick Kluivert al Valencia (foto Het Parool)

Patrick Kluivert al Valencia (foto Het Parool)

A inizio stagione, l’attaccante partì titolare, ma nelle prime giornate non riuscì a incidere, a differenza dell’altro nuovo attaccante arrivato dal Real Zaragoza: David Villa. Dopo sei giornate, il giovane attaccante spagnolo era sempre più l’idolo dei tifosi (finirà la stagione con 25 gol, battendo il record di Kempes del 76-77 con 24 reti), mentre Kluivert, come accaduto al Newcastle, finì in panchina. Il Valencia, durante quel campionato, riuscì a non perdere per 16 partite di fila (10 vittorie e 6 pareggi) e fino al 19 marzo lottò per il titolo contro uno stratosferico Barcellona.

La squadra allenata da Quique Sánchez Flores era ben piazzata difensivamente con Cañizares (che fino all’ultima giornata avrebbe potuto vincere il premio Zamora), Miguel, Albiol, Ayala e Moretti. A centrocampo Albelda e Baraja. Dietro al Guaje Villa, Vicente, Aimar e Angulo. In più Marchena, Rufete, Mista, Regueiro, Fabio Aurelio e gli italiani Di Vaio e Carboni.

La presidenza Lim: un disastro manageriale

Papà Patrick ha ragione: Justin è arrivato in un club di grande tradizione.
Peccato che, dopo la vittoria della Coppa del Re del 2019 e il successivo addio di Marcelino, il Valencia sia entrato in una grande crisi a causa del generale menefreghismo della presidenza. Peter Lim, proprietario del club dal 2014, si è annoiato del suo giocattolino, visto che gli costa troppo, e ha iniziato a distruggere dall’interno questo storico club.

Nell’estate 2020 ha ceduto al Villarreal il capitano Parejo e Coquelin, e pochi giorni fa ha venduto per 15 milioni l’altro capitano e bandiera, Soler, al PSG. Durante quest’ultima sessione di mercato, eccetto l’acquisto di André Almeida (grazie al suo amico Mendes), il Valencia ha preso a zero Castillejo e Cavani e, in prestito, sono arrivati vari giovani tra cui Justin Kluivert (Roma), Nico (Barcellona), Lino (Atletico Madrid), Ilaix (cavallo di ritorno dall’RB Lipsia). Poco a poco il Valencia si sta trasformando tristemente in una società satellite, dove i giovani vengono mandati per fare esperienza.

La tifoseria, indignata, ma allo stesso imprigionata per la situazione in cui si trova, ad ogni partita nel Mestalla al minuto 19 (anno di nascita del club) canta e tira fuori cartelloni con scritto “Lim Go Home” e nell’ultimo anno ha organizzato varie manifestazioni per la città contro l’imprenditore singaporiano.

Il Valencia di Gattuso, timoniere di navi che affondano

In mezzo a questo ambiente infuocato, quest’estate si è buttato Gennaro Gattuso. L’allenatore calabrese, dopo l’esperienza al Napoli, è ripartito dalla Liga e, al momento, di quattro partite ne ha perse due e vinte due.

Ringhio è riuscito a dare alla squadra la cattiveria che sempre l’ha contraddistinto, e allo stesso tempo un gioco armonioso. Dopo un inizio difficile, per degli attacchi mediatici sul suo passato, l’ex Milan sta riuscendo ad entrare nel cuore della città grazie alla grinta che trasmette ai suoi gli allenamenti e in partita, e allo stesso tempo sta iniziando a nutrire attaccamento verso i suoi giocatori.

Gennaro Gattuso non era l’uomo giusto per il futuro del Napoli

Infatti, sono diventate famose le affettuose sberle che tira ai calciatori quando arrivano al campo di allenamento, o le sue interviste a difesa della squadra. Nella conferenza stampa prima della gara contro l’Athletic Bilbao, gli hanno chiesto se fosse preoccupato dalla mancanza di acquisti. La risposta? “Mi preoccupa solo la morte”. Questa domenica gli hanno chiesto un’opinione sul terzino sinistro, Lato, e lui: “Se mia figlia non avesse solo 18 anni, sarebbe l’uomo ideale”.

Allo stesso tempo, dopo l’ultima partita di Liga contro il Getafe vinta per 5-1, la stampa presa dall’euforia per la manita gli ha chiesto in che posizione pensa di arrivare a fine campionato e l’allenatore, con schiettezza, ha chiosato: “spero di arrivare ottavo o settimo”.

Gattuso, come già accadutogli in passato più volte (vedi Pisa e durante l’avventura greca) sembra il timoniere perfetto di navi che affondano.

Perciò Patrick, non volercene, ma hai sbagliato tempo verbale: il Valencia “era” un grande club”. Oggi, è solo la controfigura di se stesso.

 

Testo di Philip Supertramp, redattore per F&L e autore della pagina Facebook Serie A vs La Liga

Immagine di copertina tratta dall’account Instagram del Valencia FC.