Quel che resta del giorno: Garellik, Angela e la Regina

Quel che resta del giorno: Garellik, Angela e la Regina

Settembre 19, 2022 0 Di Luca Sisto

Nel corso della vita ci sono momenti in cui ti accorgi che qualcosa è cambiato. Che è arrivato il momento di crescere. E che per andare avanti devi adattarti alle circostanze, pur restando te stesso. O quantomeno, una versione diversa, quando non “migliorata”, di quel “sé”. Se ne rende conto anche Anthony Hopkins, maggiordomo integerrimo in “Quel che resta del giorno”. Fedele alla sua professione, impeccabile, anche quando, causa forza maggiore, cambia il padrone di casa. Anche se questo vuol dire sacrificare se stesso, la possibilità di trovare l’amore.

Quello che resta delle ultime settimane, è un mondo che sembra avere la necessità di un vuoto da colmare.

Da bambino, non smetterò di sottolinearlo, c’erano due modi per tenermi buono. Darmi un pallone, o piazzarmi davanti la TV con le videocassette di Quark e delle stagioni del Napoli. Negli anni, in parte, sono rimasto fedele a quel bambino. A Piero Angela, al rispetto per il ruolo del portiere, e alla “Fede” per il Napoli. Perdonerete quest’uomo se, nella stessa settimana, la scomparsa di Piero Angela e Garellik abbia portato via un po’ di quel bambino che, alla soglia dei quaranta, era rimasto ancora latente.

Eredità e continuazione della “specie”

Eredità e DNA sono concetti diversi, rette che partono da lontano, ma che si incontrano in un punto ben definito. Laddove il legame di sangue incontra l’eredità immateriale, nel senso di culturale, etico del termine, contrapposto a quello materiale. Chissà cosa avrebbe pensato Piero Angela del tam tam mediatico sulla morte della Regina. Lui che in eredità ci ha lasciato anche Alberto, che di continuazione della “specie” si è fatto portatore in maniera esemplare. Mica facile.

Bow down to the (new) king. O, per dirla alla napoletana, “è muort’ ‘o rè (‘a regina) evviva ‘o rrè”.

Spezzatino e rinvio per gli ultimi turni di Premier. Una Champions League con uno slittamento che ha fatto discutere, quello di Ibrox, dove la partita fra Rangers e Napoli è stata rinviata di un giorno, chiudendo il settore ospiti. Poco male per il risultato, maluccio per i tifosi a spasso per Glasgow senza poter entrare allo stadio. Un luogo in cui la musichetta della Champions, nonostante la lunga attesa, era stata censurata così come “God save the Queen (King)”, ma il pubblico di casa se n’è fregato e l’ha cantato lo stesso a cappella.

Lo striscione dei supporters del Celtic nella gara contro il St. Mirren (foto tratta da Sportsbrief)

Dall’altra parte della barricata, nel frattempo, i tifosi della metà verde di Glasgow non hanno mai smesso di essere fedeli alla linea, anti-Reali fino al midollo. “If you hate the Royal family clap your hands” con tanto di coro e striscione nella gara contro il St. Mirren. E “fuck the Crown” pochi giorni prima in Champions. Due modi diversi di intendere la vita.

A guardia di una fede: da Meret a Garellik

E ancora a proposito di eredità, dopo anni di dualismo perso a vantaggio del colombiano Ospina, è Alex Meret oggi il portiere titolare del Napoli. Erede, lui sì, della grande scuola friulana che da anni cerca il nuovo Zoff, o il nuovo Buffon, cognome che pure è di origine veneto-friulana. Era andata malissimo a Scuffet, per colpa anche di scelte sbagliate in fase di mercato, qualcuno ricorderà il passaggio rifiutato all’Atletico Madrid.

Stava andando male anche a Meret. Che proprio in questa stagione sembra invece tener fede, non solo al suo ruolo di portiere, ma soprattutto alle premesse, e alle promesse, dei tempi belli a Ferrara. Ad Ibrox prima, al Meazza poi, ha dimostrato che quei geni sono vivi nei suoi balzi volti a deviare palloni proibitivi per tanti.

Meret attende la prese, mentre Il “Bufalo” Morelos è in ritardo e capitan Di Lorenzo osserva (foto tratta da Rangers Review)

Essere custodi, questo è il segreto che collega rette apparentemente parallele. Della cultura, come l’immenso divulgatore Angela, coadiuvato da suo figlio. Del potere spirituale e temporale, come la Corona d’Inghilterra, laddove Carlo, ormai anziano ma pur sempre desideroso di riscattare il suo nome per troppi anni bistrattato, non si è tirato indietro di fronte ai fantasmi dell’abdicazione.

E della porta, a guardia di una vera fede. Perché il portiere, lupo solitario del calcio per antonomasia, porta sulle sue spalle il peso dell’errore incombente. Ognuno col suo stile. Del resto, in inglese, la parola keeper, che completa goal-keeper, non è altro che custodire, letteralmente. Can you keep a secret? Sai mantenere un segreto?

Eredità e successione. I più attenti ricorderanno che Garellik, alias Claudio Garella, era passato alla storia dalla parte dei vincenti mai troppo celebrati. “Il più forte portiere del mondo, senza mani”, chiosava qualcuno che di calcio e potere ne masticava parecchio.

Garellik e Giuliani: destini incrociati

Del resto, con o senza mani, non vinci per caso il primo Scudetto della storia col Verona e col Napoli, due città, due modi di intendere la vita che non potrebbero essere più lontani. Dopo l’inenarrabile trionfo scaligero, Garella aveva preferito la corte del Napoli di Maradona alla Coppa Campioni da giocare col Verona. Il segreto del suo essere un grande…keeper? Aver sublimato il concetto di difesa della porta, di ultimo custode dell’incolumità tecnica della squadra, ad ogni costo, col suo corpaccione, sempre in difficoltà quando si trattava di mantenere il peso. E Osvaldo Bagnoli lo bacchettava, lo aspettava al varco.

Curiosamente, per tre volte il destino di Garellik ha incrociato un altro custode della porta azzurra. Quel Giuliano Giuliani che dal Como era passato al Verona per sostituire il portiere che parava quasi solo con i piedi. E quando Garella fu lasciato libero, in seguito agli strascichi della sconfitta contro il Milan del primo Maggio 1988, fu Giuliani a sostituirlo. Lui che aveva parato due rigori a Maradona, oltre che subirne gli effetti devastanti del genio.

Giuliani andò a prendersi Coppa UEFA e secondo Scudetto, ma non convinse mai del tutto Moggi e Ferlaino che gli imputavano, forse, una latente tendenza alla papera. Più probabilmente, c’era dell’altro. Giuliani venne sloggiato per far posto a Giovanni Galli, dacché Ferlaino voleva mantenere intatta la continuità della lettera G, e andò a sostituire, udite udite, Garellik in Friuli, in serie B, per il terzo avvicendamento nella loro storia personale.

Chissà come deve averlo accolto, Giuliano, il suo amico rivale Garellik. Stavolta impossibile darsi il cambio nel luogo senza ritorno.

Quel che resta del giorno, è l’amara consapevolezza di ciò che non potrà mai tornare come prima. E il cui segreto in pochi possono ancora custodire.

 

Immagine di copertina: Garrelik con la maglia del Verona, stagione 1984-85, tratta da wikipedia, di dominio pubblico.