Sbatti il calcio in prima pagina
Ottobre 3, 2022Perché i giornali preferiscono far risaltare il calcio in prima pagina, anche quando gli altri sport vedono gli italiani protagonisti e vincenti? Nelle righe che seguono, il nostro amico Nicolò Vallone fornirà una risposta.
Le difficoltà della Juventus e dell’allenatore Massimiliano Allegri ai primordi della stagione calcistica sono più rilevanti di un Mondiale di volley vinto dalla giovine Italia del commissario tecnico Fefè De Giorgi. Questo è emerso dalle prime pagine dei principali quotidiani sportivi italiani all’indomani del trionfo pallavolistico d’inizio settembre.
Una disparità di trattamenti mediatici, osservata pacatamente da De Giorgi e stigmatizzata duramente dall’arena virtuale dei social, che non è certo una scoperta. L’abbiamo rivista nemmeno due settimane dopo, quando solamente Tuttosport ha aperto col ritiro della leggenda tennistica Roger Federer anziché coi consueti problemi calcistici. E la vediamo da almeno un paio di decenni, ogni volta che un eclatante evento di altro sport passa sotto a pallone e calciomercato.
Questo fenomeno porta con sé una domanda critica: la stampa deve avere una funzione puramente informativa, quando non educativa, oppure deve capire cosa vuole la gente e darglielo in pasto? La risposta ovvia sarebbe la prima, ma la crisi dell’editoria, intrecciandosi con un mondo che tende a trasformare le persone da cittadini a consumatori, ci sta trascinando verso la seconda.
Le difficoltà del cartaceo e la necessità di porre il calcio in prima pagina
Il cartaceo è alla canna del gas, il web è un oceano di concorrenza potenzialmente illimitata, la televisione vive di audience e pubblicità, e le testate giornalistiche naturalmente non sono onlus. Risultato: per sopravvivere devi guadagnare e l’informazione diventa quasi un prodotto commerciale. Dunque, nei limiti consentiti da etica, normative e deontologia, sondi i gusti dell’utenza e le proponi ciò che può vendere più copie, procurare più click e fare più share. E lo sport, essendo legato a una dimensione ludica e di passione, si presta particolarmente a tali dinamiche.
Quindi: in Italia ci si nutre a pane e calcio? Allora i media sportivi di casa nostra per suscitare interesse devono puntare su quello. Col circolo vizioso che, spingendo il calcio a scapito di altro, l’interesse si polarizza ulteriormente su di esso e il processo si acuisce di continuo. E la sparizione generale dello sport dalla tv in chiaro non aiuta. Emittenti pubbliche o private che fossero, le generazioni pre-millennials vedevano gratis la pallavolo, il tennis, il basket, ma anche un ciclismo (un tempo secondo sport nazionale) o uno sci. Da quando lo sport viene trasmesso soprattutto dalle pay tv, alla massa è rimasto il calcio. Il resto è nicchia.
Un’impasse certamente da superare. Lo sport è cultura, per quanto più accessibile e popolare rispetto a forme più “alte” e canoniche, e un Paese che restringe la propria cultura è cosa poco buona e poco giusta. Ma è una responsabilità da condividere a ogni livello e non attribuibile semplicisticamente ai soli giornalisti. Che come tutti, devono pagarsi da vivere.
Testo di Nicolò Vallone. Giornalista, appassionato amico di Football&Life. Per il nostro sito ha scritto di altri sport, di Bolivia, San Marino, di Gipo Viani. Pubblica quotidianamente per tuttobiciweb.it.
Immagine di copertina: corriere.it