Harry Gregg, il portiere nordirlandese eroe in campo e fuori
Ottobre 27, 2022Il dizionario italiano Sabatini Colletti definisce la parola “eroe” come “autore di gesta leggendarie” e “chi dà prova di grande coraggio civile”. Harry Gregg, rientra in entrambe le categorie. Eroe in campo, difendendo i pali di Irlanda del Nord e Manchester United, eroe fuori, soprattutto il 6 febbraio 1958, quando la sua audacia contribuì alla salvezza di diverse persone, in uno dei più tragici incidenti aerei che hanno visto coinvolta una squadra di calcio.
Nativo di Tobermore, la carriera calcistica di Gregg iniziò nella sua Irlanda del Nord. Prima di trasferirsi giovanissimo in Inghilterra, al Doncaster. Ciò grazie alla presenza di Peter Doherty, che esercitava la funzione di manager sia del club inglese che della nazionale nordirlandese. Malgrado il Doncaster giocasse solo la Second Division – l’attuale Championship – le prestazioni di Gregg chiamarono l’attenzione di Matt Busby, lo storico manager del Manchester United, che decise di affidare a lui il ruolo di numero uno all’Old Trafford, sborsando 23.500 sterline. Harry Gregg divenne così nel portiere più caro dell’epoca. Due giorni dopo, Gregg debuttò con i Red Devils – la prima di 247 presenze – e impressionò subito per le sue doti. Agile, intrepido nelle uscite e in totale controllo dell’area di rigore. Proprio le caratteristiche che Busby cercava nel suo numero uno.
L’approdo ai Busby Babes
Era il 1957, e in quel momento Gregg si era messo in mostra anche a livello internazionale con l’Irlanda del Nord, che in quegli anni poteva contare su un buon gruppo di giocatori. Le ali Jimmy McIlroy del Burnley e Peter McParland dell’Aston Villa. I centrocampisti Billy Bingham del Sunderland e Bertie Peacock del Celtic, oltre ai fratelli Danny e Jackie Blanchflower. Danny, centrocampista, fu capitano e leggenda del grande Tottenham – quello del Double nel 1961- mentre Jackie, difensore, era anche lui un membro dei Busby-Babes, la giovane e promettente generazione di talenti che stava iniziando ad infiammare Old Trafford.
I progressi della nazionale nordirlandese furono certificati da una vittoria 3-2 a Wembley contro l’Inghilterra nel novembre 1957 – che gli permise di vincere, a pari merito con gli inglesi, quell’edizione del British Home Championship – giusto qualche settimana prima di ricevere a Belfast l’Italia nell’incontro che avrebbe deciso la qualificazione ai Mondiali di Svezia.
L’Irlanda del Nord era stata infatti inserita in un duro girone assieme agli Azzurri e al Portogallo. Considerata, in un primo momento, come vittima sacrificale rispetto ai più quotati avversari, seppe venir fuori alla distanza. Il pareggio di Lisbona (1-1) e la sconfitta di misura di Roma (1-0) avevano lasciato inizialmente intendere invece il contrario. Ma la roboante vittoria del Windsor Park contro il Portogallo (3-0) e quella dei portoghesi contro l’Italia (un altro 3-0) avevano riaperto il gruppo.
Tuttavia, la gara disputatasi il 4 dicembre 1957 non fu convalidata. L’arbitro ungherese Istvan Zsolt non giunse mai a Belfast per via nella nebbia che gli aveva impedito di volare. Fu organizzata così un’amichevole, che terminò 2-2, anche se di amichevole ebbe poco. In campo se le diedero di santa ragione, e dopo il fischio finale l’infuriato pubblico invase persino il campo, aggredendo alcuni giocatori italiani.
La gara fu ripetuta a gennaio. L’Italia ci arrivò con due risultati su tre, ma malgrado la presenza di quattro oriundi di assoluta qualità (Pepe Schiaffino, Alcides Ghiggia, Miguel Montuori e Dino da Costa), gli Azzurri persero in malo modo, e la vittoria 2-1 sancì la qualificazione al Mondiale per i nordirlandesi.
L’edizione del 1958 fu la prima – e l’unica, finora – dove tutte e quattro nazionali britanniche si qualificarono, cosa impossibile nel 1950 e nel 1954, quando il British Home Championship aveva la funzione di assegnare due posti. Con il nuovo sistema vi era il rischio che nessuna partecipasse. Ma anche la possibilità di vederle tutte all’opera nella fase finale. E così accadde.
Il disastro di Monaco e il gesto eroico di Harry Gregg
Tuttavia, poco dopo la vittoria sull’Italia, il calcio britannico fu scosso da una tragedia. Il 6 febbraio 1958 avvenne infatti il disastro di Munich, l’incidente aereo che coinvolse il Manchester United di ritorno in Inghilterra dopo una trasferta europea a Belgrado. La sciagura vide 23 persone perdere la vita, fra cui 8 giocatori. Charlton sopravvisse per miracolo, anche grazie a Gregg. Chi si salvò, ne rimase traumatizzato, e in alcuni casi le lesioni gli impedirono di continuare la carriera, come Jackie Blanchflower. Il giovane difensore fu costretto a due mesi di ospedale e non tornò più a giocare. Mal ridotto fisicamente e scosso psicologicamente.
Gregg, ferito ma cosciente, si comportò eroicamente nei momenti concitati che seguirono l’incidente. Mentre i soccorritori gli gridavano di andarsene da lì, visto che l’aereo sarebbe potuto esplodere, il portiere riuscì a rientrare nell’apparecchio in fiamme e grazie al suo gesto permise l’estrazione di sei passeggeri ancora in vita, fra cui proprio i compagni Blanchflower, Bobby Charlton e Dennis Violett, oltre che una donna incinta e un bambino.
Il suo spirito indomito fu confermato anche due settimane dopo, quando scese in campo per un incontro di FA Cup, la prima gara giocata dal Manchester United dopo la tragedia.
Harry Gregg ai Mondiali del 1958 con l’Irlanda del Nord
Quattro mesi più tardi, a Gregg toccò invece difendere la porta dell’Irlanda del Nord nel Mondiale. Inseriti in un girone comprendente Cecoslovacchia, Argentina e Germania Ovest, anche in questo caso i nordirlandesi sembravano destinati a un ritorno anticipato a casa. Soprattutto dopo la sconfitta con l’Argentina nella seconda gara. Nella partita inaugurale era arrivato un successo sulla Cecoslovacchia. Ma nel terzo turno i nordirlandesi si sarebbero giocati il tutto per tutto contro la Germania Ovest campione in carica.
Il 15 giugno 1958 a Malmö andò in scena una sfida memorabile, resa ancor più epica dalla contemporanea vittoria per 6-1 della Cecoslovacchia sull’Argentina che riaprì tutti i giochi. McParland diede due volte il vantaggio ai suoi, ma Helmut Rahn e Uwe Seeler riequilibrarono il punteggio. Ad un certo punto la gara sembrò un tiro a bersaglio, quasi una sfida personale fra gli attaccanti tedeschi e Gregg, che anche quel giorno dimostrò il proprio coraggio, visto che giocò zoppo per larga parte dell’incontro per via di un infortunio alla caviglia.
Ciò nonostante, il portiere chiuse la saracinesca. Fu tanta la fatica fatta per spedire il pallone alle spalle di Gregg, che Seeler avrebbe inserito, successivamente, il gol realizzato quel giorno al secondo posto fra le reti più importanti da lui segnate in carriera. E stiamo parlando di uno che ha giocato 4 Mondiali e messo a segno quasi 500 reti fra club e nazionale.
Il 2-2 ottenuto significò che Irlanda del Nord e Cecoslovacchia avrebbero dovuto contendersi il passaggio ai quarti mediante uno spareggio, gara che Gregg non fu però in grado di giocare, lasciando spazio alla riserva Norman Uprichard. Anche stavolta l’Irlanda del Nord sfoderò una prestazione magnifica, imponendosi ai supplementari, e Uprichard non fu da meno, visto che terminò la gara con una mano rotta.
Malgrado zoppicasse ancora, e necessitasse di una stampella per appoggiarsi, Gregg strinse i denti per i quarti contro la Francia, dove l’Irlanda del Nord arrivò stanchissima e incerottata. Si giocò appena 48 ore dopo lo spareggio con i cecoslovacchi, con la squadra diretta da Doherty che dovette sorbirsi anche 450 km di trasferimento in bus da Malmö a Norrköping. Non certo la preparazione più ideale per una gara di tale importanza.
In campo, contro gente del calibro di Raymond Kopa, Roger Piantoni e Just Fontaine, i nordirlandesi resistettero un tempo, poi nella ripresa, senza più forze, crollarono lasciando il via libera ai francesi, che si imposero per 4-0. Con Inghilterra e Scozia eliminate nella fase a gironi, furono comunque Galles e Irlanda del Nord a tenere alto l’onore delle nazionali britanniche. Con i gallesi – guidati in attacco dallo juventino John Charles – anche loro estromessi nei quarti, per mano del Brasile.
Mentre il Galles è riuscito solo nel 2022 a qualificarsi di nuovo a un Mondiale, anche nel 1982 l’Irlanda del Nord fu capace di approdare alla seconda fase. Ciò nonostante, le prestazioni e il risultato del 1958 sono considerate come il punto più alto mai toccato. E, perciò, scolpite nella storia della piccola nazione. In Svezia, poi, le prestazioni di Gregg non lasciarono nessuno indifferente. I giornalisti lo votarono come il migliore del Mondiale, davanti anche a un certo Lev Yashin.
Il finale di carriera e l’ingresso nelle leggende dello United
L’Irlanda del Nord proseguì lo stato di forma anche nei successivi mesi, vincendo – di nuovo a pari merito con l’Inghilterra – il British Home Championship del 1959. Una specie di “last dance” prima dell’improvviso declino. Come già detto, si dovettero attendere ben 24 anni per una nuova partecipazione a un Mondiale. E questo nonostante la presenza di un asso come George Best e quella di altri buoni giocatori come Terry Neill o il portiere Pat Jennings, l’erede di Gregg fra i pali nordirlandesi.
Anche a livello di club, la carriera di Gregg subì alti e bassi. Soprattutto dopo un infortunio a un spalla e la prematura morte della moglie nel 1961. Eventi che influirono sulle sue prestazioni. Gregg alternò campo e panchina, ma Busby gli chiese di fare da chioccia a un giovane compaesano appena arrivato a Manchester. Un timido giovanotto dal sorriso e lo sguardi irresistibili. Un ragazzino che era solito pulirgli le scarpe dopo gli allenamenti, come si usava una volta nel calcio inglese: George Best.
Gregg rimase ad Old Trafford fino a metà della stagione 1966-67, quando passò allo Stoke City, dove concluse la propria carriera, perdendosi così il trionfo del Manchester United in Coppa dei Campioni, avvenuto nel 1968, l’apoteosi del ciclo Busby, quello per cui il manager scozzese aveva lavorato per oltre due decenni.
Col tempo la figura di Gregg è finita lentamente in disparte. E in un’epoca poco mediatica come quella, fu facile per lui evadere i riflettori della celebrità. Del resto, il portiere non ha mai voluto enfatizzare l’etichetta di “eroe di Munich”. Nel 2013, per esempio, c’era l’ok per la costruzione di una statua in suo onore a Coleraine. Ma il progetto non trovò mai la luce, per la riluttanza dello stesso Gregg.
Forse, chissà, perché nelle sua coscienza considerava le sue coraggiose gesta come “normali”. La cosa più giusta da fare in quei casi. Ogni volta tirato in ballo, infatti, Harry Gregg aveva sempre cercato di minimizzare il suo ruolo durante l’incidente. Anche se accettò di partecipare lo stesso in alcuni documentari sulla tragedia, come quelli realizzati dalla BBC e da National Geographic Channel.
Dalle parti di Old Trafford, comunque, Gregg è stato sempre tenuto in alta considerazione. E il passare del tempo non ne ha scalfito il ricordo. Nel maggio 2012, Alex Ferguson decise di portare il Manchester United a Belfast per una partita in suo onore contro i migliori undici dell’Irish Premier League. Una sfida a cui parteciparono tutti i migliori. Da Ryan Giggs, a Wayne Rooney, da Patrice Evra a Paul Scholes. Un momento emozionante, ma meritato. Manchester United che non poté mancare nemmeno il giorno del funerale di Gregg- scomparso il 16 febbraio 2020 all’età di 87 anni – quando una delegazione capitanata da Alex Ferguson e Bobby Charlton si recò a Coleraine per l’ultimo meritato saluto a una vera leggenda del club.
Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.
Immagine di copertina: La Vanguardia