Alejandro Sabella: l’eredità dimenticata del Pachorra

Alejandro Sabella: l’eredità dimenticata del Pachorra

Novembre 10, 2022 0 Di Juri Gobbini

Alejandro Sabella se ne andò l’8 dicembre 2020, anche se la sua scomparsa passò quasi in secondo piano, con il mondo del calcio ancora in lutto per la morte di Diego Armando Maradona, avvenuta solo due settimane prima.

Non era la prima, né l’ultima volta che la vita e la carriera di Sabella si sovrapponevano con quelle del Pibe de Oro. Nel 1978 l’allora manager del Sheffield United, Harry Haslam, era andato in Argentina per visionare alcuni talenti, ed era stato sul punto di acquistare Maradona.

Esistono numerose versioni di ciò che impedì l’affare fra Haslam e l’Argentinos Juniors. Il Guardian riportò la storia nel 2009. Ma con il tempo la verità sulla vicenda si è tinta di giallo. Si parlò infatti di una richiesta di extra-cash da parte di misteriosi personaggi – elementi probabilmente legati alla Dittatura – così come di un rifiuto del club inglese di pagare quanto pattuito da Haslam, che stando ai suoi racconti aveva persino ottenuto uno cospicuo sconto sul milione di sterline inizialmente richiesto.

Va comunque ricordato che Maradona all’epoca aveva già esordito in nazionale, e che Haslan non aveva scoperto nulla di nuovo che altri club – come Barcelona o le grandi d’Argentina – non avevano già sul taccuino. Alla fine, però, lo Sheffield United fece lo stesso un acquisto, portandosi a casa un altro trequartista mancino: Alejandro Sabella, proveniente dal River Plate.

Soprannominato Pachorra – traducibile in “flemma” dal lunfardo bonaerense – per la sua calma, il suo carattere pacato e apparentemente disinteressato, Sabella era un classico numero 10. Un trequartista vecchio stile, di quelli che sembravano nascondersi in campo salvo apparire nei momenti del bisogno, soprattutto quando c’era da inventare una giocata o un passaggio per gli attaccanti.

Di buona famiglia, nativo dell’agiato Barrio Norte di Buenos Aires, Sabella, oltre a muovere i primi passi nelle giovanili del River Plate, iniziò parallelamente anche una carriera universitaria nella facoltà di Legge, anche se le aspirazioni calcistiche lo videro ben presto abbandonare gli studi. Debuttò professionista nel 1974, ma faticò a trovare spazio fra i titolari vista la presenza di un mostro sacro come Norberto “Beto” Alonso. Solo dopo la partenza di quest’ultimo Sabella riuscì ad avere maggior continuità.

Tuttavia, nel 1977 “Beto” Alonso era ritornato in Argentina, visto che per l’imminente Mondiale il tecnico dell’Albiceleste Cesar Menotti aveva deciso che avrebbe ignorato i calciatori impegnati nei campionati esteri, eccezion fatta per il bomber Mario Alberto Kempes. Con le porte di nuovo chiuse, Sabella non ci pensò troppo nell’accettare la proposta dello Sheffield United, allora impegnato nella Second Division. Diventò così il primo argentino a giocare in un campionato inglese, precedendo di quattro giorni l’esordio di Osvaldo Ardiles e Ricardo Villa con la maglia del Tottenham.

Nello Yorkshire Alejandro divenne Alex. E, oltre una logica eccitazione, vi fu anche tanto scetticismo. I giocatori stranieri non erano tanto comuni allora, soprattutto in una categoria come quella della seconda serie inglese. Questo sconosciuto sarebbe stato in grado di adattarsi ai nuovi palcoscenici? A Sabella bastò comunque poco per far innamorare compagni e pubblico, dimostrandosi un giocatore le cui peculiari doti tecniche lo rendevano differente da quanto visto in precedenza al Bramall Lane. “Il primo giorno che arrivò tutti noi rimanemmo a bocca aperta” dichiarò l’ex capitano dello Sheffield United Mike Speight nel 2014 al magazine Four Four Two.

Malgrado la presenza di Sabella, lo Sheffield United retrocesse comunque in Third Division, dove la presenza e la classe dell’argentino risultò sprecata. Tanto che in suo soccorso arrivò il Leeds, con cui Pachorra debuttò finalmente nella massima serie inglese, affrontando nel settembre 1980 i compaesani Ardiles e Villa in uno scialbo pareggio fra i Whites e gli Spurs. Verso la fine del 1981, però, Sabella decise di rientrare a casa. A riscattarlo fu nientemeno che Carlos Bilardo, che era tornato all’Estudiantes dopo un breve periodo alla guida della nazionale colombiana.

Il passaggio all’Estudiantes da calciatore con Bilardo

Il Pincha era in crisi economica. Così la dirigenza pensò di avvalersi della vecchia gloria per riportare in auge un club che dopo i fasti della fine degli anni Sessanta era stato incapace di rivincere qualcosa. Una delle prime mosse del Narigon fu quella di vendere il centrocampista offensivo Patricio Hernández al Torino e con i soldi intascati iniziare a ricostruire la squadra.

Al contrario del suo marchio di fabbrica – calcio speculativo e solamente orientato al risultato – Bilardo riuscì a mettere assieme una squisita linea di centrocampo, con José Daniel Ponce, Marcelo Trobbiani e lo stesso Sabella in cabina di regia, e con Miguel Ángel Russo a bilanciare la squadra. Con un gioco delizioso, quell’Estudiantes tornò a trionfare in Argentina – vinse il Metropolitano del 1982 e il Nacional del 1983 –mentre il cammino in Coppa Libertadores venne interrotto solo dal Gremio nel girone di semifinale. Con i brasiliani che strapparono un 3-3 a La Plata contro un Estudiantes ridotto con soli 7 uomini in campo.

Furono proprio i risultati ottenuti con l’Estudiantes a convincere Julio Humberto Grondona ad affidare la panchina della nazionale argentina a Bilardo, che nella Coppa America del 1983 – nella quale furono convocati solo giocatori che militavano in Argentina – si portò dietro proprio Sabella. Il Pachorra vestì la 10 orfana momentaneamente di Maradona, in un torneo dove l’Albiceleste fu eliminata nel girone dal Brasile. Malgrado il successo sui carioca al Monumental, alla squadra di Bilardo furono fatali due pareggi contro l’Ecuador.

Sabella giocò tutte e quattro le partite di quella Coppa America – che ancora non si disputava con sede unica – ma tre anni dopo non fu incluso nella lista del Mondiale di Messico, con Bilardo che optò per convocare il veterano Ricardo Bochini, leggenda narra per petizione proprio di Maradona, che da ragazzino aveva idolatrato il regista dell’Independiente.

Il ritiro di Alejandro Sabella e il binomio con Passarella per cominciare la carriera da allenatore

Appese le scarpette al calcio nel 1989, Sabella restò ovviamente legato al mondo del calcio. Anche se decise di farlo all’ombra di Daniel Passarella, suo ex compagno ai tempi del River. Il binomio Passarella-Sabella occupò molti incarichi, dalla nazionale argentina a quella uruguaiana. Passando anche per le “cinque giornate” di Parma, quando il tecnico argentino durò meno di un mese sulla panchina degli emiliani.

All’inizio degli anni Novanta, ai tempi del River, Sabella rimase molto incuriosito dalla gesta di un ragazzino mingherlino, il quale, malgrado il fisico, era un mago con la palla ai piedi. In più rimase colpito dalla personalità e dall’intelligenza calcistica. Quel ragazzino era Marcelo Gallardo, che proprio il duo Passarella-Sabella fece debuttare in Primera. “Volete sapere di fútbol? Allora dovete aprire la testa a Gallardo e troverete il Larrouse illustrato del fútbol!” dichiarò in seguito Sabella, quando Gallardo era già passato con successo dal campo alla panchina.

Nel 2007, dopo un ultima stagione al River, Passarella decise di dedicarsi alla scrivania – divenne presidente del club per quattro anni – mentre per il silenzioso Sabella arrivò il momento di mettersi in proprio. Nel 2006 Juan Sebastian Veron era tornato all’Estudiantes e con lui era arrivato Diego Pablo Simeone, alla sua seconda esperienza come tecnico dopo la stagione d’esordio con il Racing. Il Cholo aveva subito conquistato il Campionato di Apertura, guadagnandosi la chiamata del River Plate. Roberto Sensini e Leonardo Astrada ne proseguirono il lavoro, e nel 2008 arrivò la finale di Copa Sudamericana, persa solo ai supplementari contro l’Internacional di Porto Alegre allenato da Tite.

Ma ad inizio 2009 l’Estudiantes era piombato in una nuova crisi di risultati. E dopo l’addio consensuale di Astrada, il club aveva deciso di affidarsi proprio a Sabella, che all’età di 55 anni otteneva così per la prima volta la possibilità di provare il suo valore come tecnico.

Il resto è storia. L’Estudiantes, con un piede fuori dalla Libertadores, riuscì non solo a qualificarsi agli ottavi ma avanzò spedito fino alla finale contro il Cruzeiro, dove conquistò il trofeo dopo 39 anni di digiuno. Era l’Estudiantes di Veron, di Rolando Schiavi, di Enzo Perez, del centravanti Mauro Boselli. Pincha che nel dicembre 2009 affrontò il poderoso Barcelona di Pep Guardiola. Sabella riuscì a tenere sotto scacco i blaugrana per lunga parte dell’incontro, una masterclass tattica che Guardiola riuscì a risolvere solo grazie alla maggior classe della sua rosa. Al vantaggio iniziale di Boselli rispose Pedro solo a due minuti dalla fine dei tempi regolamentari. Prima che Leo Messi sentenziasse l’incontro nei supplementari.

Nel 2010 l’Estudiantes conquistò un nuovo Campionato di Apertura, ma subito dopo Sabella decise di prendersi una pausa. Sul tavolo una offerta dagli Emirati Arabi, e tante chiamate da parte della federazione cilena che aspettavano una risposta. In realtà Pachorra era stato avvisato che un eventuale disastro argentino nella Coppa America del 2011 avrebbe portato a un cambio in panchina. Carlos Bianchi aveva già rinunciato varie volte, il Tata Martino era caduto fuori dalle simpatie di Grondona per alcune dichiarazioni. Quindi, Sabella sarebbe stato in pole-position per sostituire Sergio Batista. E così fu.

Dopo i fasti e la confusione dell’era Maradona. Dopo la delusione della Coppa America del 2011 giocata in casa, all’Albiceleste serviva un tecnico alla Sabella. Uno dal profilo basso ma con una enorme sagacia. Una mano ferma, un carattere tranquillo per smorzare le tante polemiche. Serviva ricostruire poi un gruppo che si stava sfaldando. Incapace di ottenere il meglio da un fenomeno come Messi e dagli altri membri di una fantastica generazione.

La panchina dell’Albiceleste e i Mondiali 2014

Gli inizi, per Sabella, non furono comunque semplici. E una sconfitta in Venezuela – la prima nella storia delle due nazionali – unita a uno scialbo pareggio casalingo contro la Bolivia non lasciavano presagire niente di buono. Il tecnico affrontò il compito più difficile della sua carriera di tecnico. Visto che, al netto di tanto potenziale offensivo, alla squadra era sempre mancato l’equilibrio tattico e un bilanciamento fra i vari reparti. Avere Messi, Gonzalo Higuain, Sergio Agüero e Angel Di Maria era un lusso incredibile. Ma allo stesso tempo era un eccesso inservibile in assenza di una solida intelaiatura della squadra.

Ben presto tornarono i risultati e le prestazioni. Ma Sabella stesso ammise le proprie preoccupazioni. “A volte, mi copro la faccia [per non vedere quello che succede] quando gli avversari attaccano. Abbiamo attaccanti straordinari, ma non è nel loro gioco rientrare e coprire le fasce. Per questo gli avversari possono tranquillamente trovarsi 2 vs 1 contro i nostri laterali. Non è un problema di qualche giocatore in particolare, ma della struttura della squadra” dichiarò il tecnico nel 2013.

Sabella provò varie soluzioni per far sentire Messi a proprio agio. Incluso un 3-5-2 con cui esordì nel Mondiale contro la Bosnia. Ma il tecnico tornò subito al 4-3-3 con cui l’Argentina vinse le altre due gare del girone, pur brillando solamente a tratti. Malgrado le difficoltà, con il passare del torneo Sabella sembrò aver dotato finalmente l’Albiceleste di una certa solidità. Magari a discapito della creatività. Ma è certo che quella del 2014 fu una squadra con certi equilibri, e non un “Messi più altri dieci” come spesso accaduto negli anni successivi.

“Fu il periodo in cui mi sono più divertito con la Selección. Con Alejandro [Sabella] che era un fenomeno come tecnico e come persona,” avrebbe dichiarato Messi nel 2019 ai microfoni di Fox Sport Radio. Rimpiangendo chissà che il ciclo del tecnico si fosse esaurito troppo presto. Soffrendo, lottando, l’Argentina andò avanti. Mentre Sabella fu oggetto di alcune burle nel web, come quando cadde all’indietro dopo l’ennesimo gol mangiato da Higuain o quando Lavezzi gli tirò l’acqua da una borraccia durante una chiacchierata a bordo campo. Il tecnico riuscì nell’intento di portare l’Argentina a una finale mondiale dopo 24 anni di assenza, una bella favola a cui mancò però il lieto fine.

L’eredità tecnica di Alejandro Sabella: l’Argentina ritorna nel cuore dei tifosi

Malgrado la delusione per la sconfitta con la Germania, il Mondiale 2014 verrà per sempre ricordato come il torneo che riavvicinò il popolo argentino all’Albiceleste. Visto che i precedenti disastri del 2010 e del 2011 avevano solo disincantato la gente. Con i giocatori presi di mira dalla critiche per non sudare abbastanza la maglia e per non avere a cuore la nazionale. Il ritrovato entusiasmo venne certificato dalle migliaia di persone che aspettarono il ritorno ad Ezeiza dei giocatori. Ricevuti dall’allora presidentessa Cristina Fernández de Kirchner quasi come avessero vinto il torneo. Sabella ringraziò il lavoro svolto da tutti, una charla soporifera in stile Marcelo Bielsa, parole misurate ma piene di significato. Un altro segnale della sua enorme saggezza.

Soddisfazioni a parte, Sabella terminò i tre anni alla guida dell’Albiceleste senza più un briciolo di energia, e decise di lasciare l’incarico subito dopo il Mondiale. Di fatto mettendo fine anche alla sua breve carriera da tecnico, durata appena cinque anni.

Nel 2015 avrebbe dovuto assumere infatti l’incarico di selezionatore dell’Arabia Saudita. Ma decise di rifiutare per il sopraggiungere di problemi di salute. Da quel momento in avanti iniziò per Sabella un difficile periodo. E, oltre ai problemi all’apparato cardiovascolare dovette lottare anche contro un tumore alla laringe. Il 25 novembre 2020, il giorno della morte di Maradona, Sabella fu ricoverato in ospedale per uno scompenso cardiaco, forse – chissà – dopo aver appreso proprio la notizia della scomparsa del Diez. Le sue condizioni rimasero critiche fino all’8 dicembre. Quando non ci fu più nulla da fare. A distanza di due settimane, il popolo argentino tornò a versare lacrime per un’altra leggenda.

 

Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia