Chi fermerà i Mondiali in Qatar?

Chi fermerà i Mondiali in Qatar?

Novembre 22, 2022 0 Di Luca Sisto

“Chi fermerà la musicaL’aria diventa elettricaUn uomo non si addomesticaLe corde mi suonano forte, la molla è caricaChi fermerà la musicaQuelli che non si sbaglianoQuelli che non si sveglianoStanno nei porti a tagliarsi le veleTu parti nel sole con me”

“Chi fermerà la musica (Pooh, 1981, album “Buona Fortuna”)

Già. Chi avrebbe fermato la musica. Se lo chiedevano i Pooh, nel 1981, dedicando questo pezzo alla memoria di John Lennon, ucciso all’ingresso della sua residenza, il Dakota Building di New York, a ridosso di Central Park, dove oggi campeggia lo Strawberry Fields Memorial, meta di pellegrinaggio da ogni dove.

La musica, come oggi il calcio, avrebbe dovuto continuare, perché, per dirla alla Mercury, “the show must go on”. C’è troppo in ballo. E così, nonostante le più o meno tardive levate di scudi e le timide minacce di boicottaggio (ne avevamo parlato diffusamente nel marzo 2021), la FIFA ha incassato miliardi di dollari, e i suoi rappresentanti milioni in tangenti, e ha permesso ad un Paese senza alcuna tradizione calcistica di creare stadi sulla pelle dei migranti, cattedrali nel deserto che ospitano i Mondiali più bistrattati dai tempi di USA ’94, che pure fu una splendida edizione, al netto delle evidenti carenze organizzative e dello scarso interesse nutrito allora dagli americani, diversamente da oggi, con il calcio in netta crescita.

Nessuno ha fermato i Mondiali in Qatar. E non è la prima volta che la massima manifestazione iridata si tiene in un Paese che considera i diritti umani più basilari alla stregua di un fastidio. L’Italia nel 1934 ospitò e vinse la Coppa Rimet, con grande merito e con una conduzione arbitrale relativamente casalinga per gli standard dell’epoca. L’Argentina nel 1978 era sotto il controllo di una delle dittature più efferate del Dopoguerra. Vinse, e tutti i presenti applaudirono Videla mentre consegnava la Coppa nelle mani del capitano Passarella.

Come ha magistralmente sintetizzato Juri Gobbini in una recente live sul suo canale “Storia del Calcio Spagnolo”, con la redazione di Football&Life, in tanti hanno potuto nascondersi dalla Dittatura. Chi era allo stadio e in campo quel giorno, è stato fotografato per sempre al fianco di un terrificante criminale e con la polizia a bordo campo che teneva a malapena i cani al guinzaglio.

Il calcio è morto? No, muove solo più denaro

Come la musica non è morta con John Lennon, e nemmeno l’eredità dei Beatles, così il calcio non morirà con i Mondiali in Qatar. Del resto, i 250 miliardi investiti dal piccolo ma ricchissimo Paese arabo la dicono lunga sulla potenza economica dei proprietari del PSG. E la dice lunga il trio d’attacco, a cui regaliamo la copertina, dei parigini. Il campione del mondo in carica Mbappé. Il funambolo brasiliano Neymar. E uno dei più grandi giocatori della storia del calcio, Leo Messi, che ha lasciato Barcellona, casa sua, per unirsi al diavolo che veste con i petrodollari, e forse anche Prada.

A loro il fondo sovrano del Qatar ha affidato le fortune del PSG, testa di ponte dei miliardi arabi in Europa, dove gli investimenti immobiliari e nelle grandi compagnie transnazionali creano un giro d’affari capace di tenere per le palle il capitalismo occidentale. Sono loro, il volto dei Mondiali di calcio, insieme a Cristiano Ronaldo, e chi se no, che ha fatto parlare di sé più per la forzata rescissione col Manchester United che per le sue ultime prestazioni in campo, fra club e nazionale. Soprattutto in assenza del pallone d’oro Benzema, campione di tutto col club ma non con la nazionale, e del secondo classificato della rassegna Mané, entrambi infortunati.

Ed è di questi giorni l’immaginifica fotografia con la quale un noto brand di moda ritrae i due più grandi fuoriclasse del nostro tempo, intenti a giocare una partita a scacchi, in cui la mossa decisiva può generare una contromossa pericolosa e un successivo stallo.

I diritti negati non sono solo un problema del Qatar

Quello che si sta volgendo sotto il caldo sole qatariota, sarà comunque ricordato come il Mondiale dei diritti negati, fin dalle qualificazioni. Con una vergognosa e cruenta guerra scatenata contro l’Ucraina, la Russia è diventata il primo Paese ad essere squalificato (saltando i playoff) per motivi politici in Europa dai tempi della Jugoslavia nel 1992.

La nazionale iraniana, che sul campo ha incassato un sonoro 6-2 contro l’Inghilterra, ha cominciato la partita dopo aver evitato di cantare l’inno, in solidarietà con le proteste in corso (in verità da anni, come scrivevamo a proposito del caso Afkari) contro il regime teocratico nel Paese, dove le donne sono in guerra aperta contro gli Ayatollah e i manifestanti stanno pagando col carcere e con la morte, ogni giorno, il proprio dissenso. E, fra pochi, giorni ci sarà USA-Iran.

E che dire dell’Arabia Saudita, che a differenza di Qatar e Iran ha quantomeno fatto parlare il campo, vincendo una leggendaria partita contro l’Argentina. Nel Regno Saudita i diritti umani vengono negati in maniera non dissimile dal Qatar, e i miliardi mossi dagli ingombranti cugini di sceicchi ed emiri hanno un peso non indifferente. Chiedere spiegazioni alla Premier, dove si combatte in maniera timida per i diritti LGBT e per il riconoscimento della dignità di chi ha una pelle più scura, salvo poi evitare di andare fino in fondo per non esporsi troppo, ma si è taciuto di fronte al fiume di denaro con cui i sauditi hanno acquistato il Newcastle.

Come ricorderemo questi Mondiali fra vent’anni, dipenderà da vincitori e vinti. Certo è che, se il calcio ha ancora vita, e rappresenta un palcoscenico internazionale ed un megafono per cruciali battaglie civili, lo deve alla sua popolarità in quanto sport. Ma in che misura possa incidere sul riconoscimento di questi diritti, piuttosto che venire oscurato dalle stesse battaglie che promuove, resta tutto da verificare.

Al netto dell’entusiasmo più o meno finto dei fan che si sono spinti fino in Qatar, la mia personale sensazione è che l’operazione (le proteste) sia riuscita, ma il paziente (i diritti civili) sia morto lo stesso.

E non è, affatto, una buona notizia.

Beati noi almeno, che possiamo berci su.

 

Immagine di copertina tratta da Marca.