Dici Antonio Juliano e pensi allo scugnizzo pallonaro per eccellenza. Il ragazzino napoletano che sogna l’Azzurro calciando il pallone per i vicoli e le strade della sua città (non importa se ai Quartieri o a Forcella, piuttosto che al Vomero o a Posillipo). Che arriva in prima squadra divenendone il capitano e facendo sognare il suo pubblico con quella maglia “tutta azzurra ca rassomiglia a o’ cielo e o’ mare ‘e sta città”.
Juliano, poi magari anche Bruscolotti, Ferrara, Cannavaro e chissà quanti altri.
La carriera di Antonio Juliano: il suo ultimo periodo bolognese
Sulla carriera di Totonno nel club ed in nazionale sul suo amore viscerale per il Napoli e sulla sua sapiente regia che illuminava le domeniche del San Paolo sono state scritte innumerevoli pagine, da penne infinitamente migliori di quelle del sottoscritto. Mentre sul suo Tour d’Addio vissuto con la maglia del Bologna ormai trentaseienne, ovviamente molto meno.
La prendo larga. Metà anni ’70, Juliano veste saldamente l’azzurro del Napoli e quello della Nazionale.
All’epoca raramente i calciatori (per non parlare dei comuni cittadini) passavano le vacanze nei resort di mezzo mondo alla ricerca di esotismo. Era quindi molto più facile trovarli, tra la fine del campionato e l’inizio del ritiro, sulle spiagge dell’Adriatico o del Tirreno. Lo sa benissimo un famoso e venduto (in termini di tiratura naturalmente, non vorrei beccarmi qualche querela….) giornale sportivo Italiano, che incarica un noto giornalista bolognese di spaziare tra ombrelloni e scogliere per raccogliere curiosità sulle vacanze dei campioni della pedata. Questi contatta immediatamente il suo fotografo di fiducia e via lungo le coste dello Stivale.
Juliano lo trovano in un hotellino a godersi la tranquillità. Nella hall si qualificano e, dopo averli fatti accomodare nel salottino, gli operatori alberghieri mandano a chiamare il giocatore che si presenta un po’ assonnato, distratto e chiaramente senza alcuna voglia di sedersi e chiacchierare.
“Sto intossicato, per favore passate un’altra volta”.
“Senta, io sarei un giornalista, non un venditore porta a porta….”
“Vabbuò, io sto bene, sto in vacanza e il prossimo anno faremo un grande campionato”.
“Va bene, capisco. Ma almeno possiamo farci una foto?”
“E Jamm’. Ma facimmo ambress'”
“Mo Socmel, ac zavaj” digrigna tra i denti il fotografo.
Qualche anno dopo però in polemica con la dirigenza del Napoli ed ormai a fine carriera, Juliano viene ingaggiato dal Bologna dove ritrova Bruno Pesaola.
La squadra è tutt’altro che una corazzata. Il presidente Conti (imprenditore nel campo del materiale elettrico nonché editore tra le altre della rivista Autosprint e per un po’ anche del Guerin Sportivo) da tempo ha perso la passione e ormai i rossoblù vivacchiano tra campionati anonimi e salvezze all’ultima giornata.
Anno di grazia 78/79, e i Petroniani, che nel campionato scorso si sono salvati all’ultima giornata battendo all’Olimpico una Lazio molto morbida, non sembrano avere ambizioni troppo diverse.
Il mercato parte con la cessione della stellina costruita in casa Stefano Chiodi, che andrà a vincere lo scudetto al Milan e dell’interno Massimelli, mentre dal retrocesso Foggia arrivano il portiere Memo, il difensore Sali e la punta Bordon (tra di essi si distinguerà solo la “Cavira” riccia di Renato Sali), Bachlechner dal Verona (l’incubo dialettico di Sandro Ciotti) ed il giovane Vincenzi dal Milan.
Tre allenatori diversi in una stagione difficile
Totonno dovrebbe fare da chioccia ma gli acciacchi prevalgono e in campionato giocherà solo quindici partite. Alla dodicesima poi, con la squadra stabilmente in zona retrocessione, il suo mentore Pesaola viene sostituito dall’allenatore della primavera Perani che sposta in blocco in prima squadra gli interessanti Zinetti, Tagliaferri, Mastalli e Colomba, con quest’ultimo che finirà per prendere di fatto il posto del nostro.
I risultati però non cambiano molto, è ormai chiaro che la coppia Bordon-Vincenzi non sarà mai “i nuovi gemelli del goal” come qualcuno aveva imprudentemente scritto a inizio stagione e a febbraio viene allontanato anche Perani, di cui fecero discutere soprattutto alcune teorie sulle proprietà energetiche del prezzemolo.
Cesarino Cervellati, terzo allenatore dell’anno eredita il Bologna penultimo ma con qualche pareggio strappato coi denti (tra cui un buon 1-1 con la Juve a Torino) e qualche vittoriuzza un po’ raffazzonata con le dirette concorrenti, riesce ad arrivare a maggio ancora in corsa. Arriva una brutta sconfitta a Napoli. Poi il pari interno col Torino dove proprio il redivivo Juliano segna il goal del vantaggio a cui risponde Zaccarelli a due minuti dalla fine, e meno male che sette giorni dopo al Milan per vincere lo scudetto della Stella basta un pari. I rossoneri non spingono e il Bologna non affonda ma a novanta minuti dalla fine non è ancora salvo.
Con l’imbattuto Perugia all’ultima giornata, in un Comunale stracolmo, è psicodramma. La partita è (diciamocelo) piuttosto arrangiata ma non tutti lo sanno, soprattutto un giovane centrocampista nato a Reggiolo che di Juliano al Napoli diverrà poi l’erede. Si chiama Salvatore Bagni e alla mezz’ora ha già segnato una doppietta per il Grifo. Ma il provvidenziale Cresci l’ha messo poi fuorigioco con una tremenda gomitata. Sul finale di tempo la volata in contropiede di Mastalli che riapre la partita. Nella ripresa, un rigore generoso che Bordon trasforma per il definitivo 2-2 prima della successiva mezz’ora di melina.
Sì, perché
a Bergamo l’Atalanta batte il Vicenza e retrocedono tutte e due. E allora viva il Bologna che resta nel Gotha delle mai retrocesse con la Juve e le milanesi.
Viva il Perugia imbattuto e imbattibile che termina secondo davanti alla Juventus e festa per tutti.
Festeggia in tribuna stampa, come tutto il resto dello stadio e poi si reca negli spogliatoi per raccogliere le dichiarazioni dei protagonisti. Tra i primi trova proprio Totonno che quasi lo abbraccia dicendogli “ci tenevo a ringraziarla, lei ci ha sempre sostenuto”.
“Okay, Juliano, tutto è bene ciò che finisce bene, ma quella mattina a al mare non mi è ancora andata giù”…
“Neh, ma quale mattina? Quale mare?”
“Ricordo solo che io al mare non ti ho mai incontrato “…
Il giorno successivo, a pericolo scampato, il cronista si reca nella bottega del suo fotografo e racconta l’accaduto all’amico che risponde “Ah si? Mai incontrato? Zavaj dôu volt!”