Talleres – Independiente 1977: la “finale roja” del Nacional argentino
Gennaio 10, 2023Ci sono partite che passano alla storia, altre che invece la storia la riscrivono di sana pianta. La finale del campionato Nacional argentino del 1977 fra Talleres e Independiente è senz’altro una di queste. Non solo per come si svilupparono gli eventi in campo – di per sé un epilogo quasi irripetibile – ma soprattutto perché il risultato ebbe dirette conseguenze sia nel futuro del calcio argentino che in quelle della nazione. Non a caso, nel 2001 la prestigiosa rivista El Grafico pubblicò un’edizione speciale con le migliori 50 partite del calcio argentino del secolo precedente, e Talleres-Independiente figurò al posto numero uno.
Oggigiorno, il campionato argentino di Primera è tornato ad essere a girone unico, con un mega assembramento di 28 squadre al via. Tuttavia, le formule passate si sono sempre contraddistinte per la loro peculiarità, e difficilmente si riesce a capirci qualcosa senza beccarsi un forte mal di testa, fra tornei Clausura e Apertura, retrocessioni stabilite con un promedio di punti, e sistema ad eliminazione diretta tipo coppa.
Negli anni Settanta il meccanismo era invece più o meno chiaro, seppur non esente da polemiche, ci mancherebbe. Allora si disputavano due differenti tornei, il Metropolitano e il Nacional. Al primo erano ammesse solo squadre direttamente affiliate all’AFA (Asociación del Fútbol Argentino) – quelle della provincia di Buenos Aires più alcune della provincia di Santa Fe, fra cui Newell’s Old Boys, Rosario Central e Colon – mentre al secondo potevano concorrere anche quelle indirettamente affiliate all’AFA attraverso le federazioni locali di appartenenza, di solito una o due rappresentanti per provincia.
I club affiliati direttamente all’AFA erano considerati la crème de la crème del calcio argentino, al contrario di quelli delle varie provincie dell’interiore del Paese. Così, mentre a Buenos Aires e dintorni si giocava il prestigioso Metropolitano, squadre come Talleres, Instituto, Belgrano, Godoy Cruz o Atletico Tucumán erano costrette a misurarsi nei loro rispettivi campionati regionali.
Il Talleres e la scalata ai vertici del calcio argentino
Per il Talleres, che in quel periodo stava dominando la Liga cordobese, il campionato Nacional era perciò l’unica occasione per potersi mettere in mostra al grande pubblico e sfidare le big argentine. Per questo, dall’interiore del Paese iniziarono ad alzarsi voci sempre più insistenti per una ristrutturazione dei campionati che avrebbe eliminato la centralizzazione da parte dei club di Buenos Aires.
Il principale portavoce della protesta era proprio Amadeo Nuccetelli, l’artefice del miracolo Talleres, che sotto la sua presidenza iniziò a rinforzarsi con pezzi da novanta, quasi tutti pescati in provincia. Luis Antonio “El Hacha” Ludueña, José Daniel “El Rana” Valencia, Miguel Oviedo furono acquistati in quel periodo e andarono a integrare una squadra che poteva contare già su una buona intelaiatura, con un baluardo difensivo del calibro di Luis Galván, che nel Mondiale del 1978 sarebbe stato lo scudiero di Daniel Passarella al centro della difesa dell’Albiceleste.
Oltre Galván, anche Valencia e Oviedo ottennero la medaglia di campione del mondo, mentre Ludueña fu costretto a dare forfait alla vigilia del Mondiale per un infortunio occorsogli nel ritiro di Mar del Plata. Tuttavia, “El Hacha” era già passato alla storia il 20 ottobre 1976, quando un suo gol diede al Talleres la vittoria sul campo dell’Argentinos Juniors, proprio il giorno in cui un certo Diego Armando Maradona fece il suo esordio assoluto come professionista. Nuccetelli, astuto come non mai, capì che quel ragazzino era destinato alla gloria, e fu il primo a far recapitare una offerta all’Argentinos Juniors per averlo, anche se senza successo.
Il Talleres faceva molto sul serio, nonostante a Buenos Aires non tutti se ne fossero ancora accorti. Adesso, dopo un quarto e sesto posto ottenuti nel Nacional del 1974 e del 1975, e una semifinale persa col River nel 1976, finalmente il club cordobese sembrava pronto per la grande impresa, visto che la vittoria nella semifinale contro i Newell’s Old Boys aveva spedito Valencia e soci in finale. Oltre a risultati, la squadra esprimeva pure un bel calcio, tecnico e votato all’attacco, con Saporiti che aveva imparato molto durante la sua esperienza europea – giocò in Portogallo, Francia e Belgio – dove era rimasto affascinato dal Calcio Totale praticato in Olanda. Una corrente filosofica appoggiata anche da Cesar Menotti, il tecnico dell’Albiceleste, e da José Omar “Pato” Pastoriza, quello dell’Independiente.
L’Independiente a frapporsi tra il Talleres e la gloria
Già perché nel cammino del Talleres verso la gloria si era interposto proprio l’Independiente, club di Avellaneda che aveva guadagnato il soprannome di “Rey de Copas”, visto che nel 1977 già vantava sei Coppe Libertadores nella propria vetrina, oltre che una Intercontinentale e tre Interamericane, una defunta manifestazione che metteva di fronte i vincitori di Libertadores e quelli della Champions Cup nordamericana.
Tuttavia, il Rojo non vinceva un titolo nazionale dal Metropolitano del 1971, e della storica generazione erano rimasti solo Ricardo Bochini, Daniel Bertoni e Rubén Galván. La ricostruzione era stata anche tecnica, visto che Pastoriza era alla sua prima vera esperienza come allenatore. Pure nella sala dei bottoni apparvero volti nuovi, con Julio Humberto Grondona eletto presidente nel 1976.
Sia Grondona che Nuccetelli aspiravano poi alla presidenza dell’AFA, con le nuove elezioni previste nel 1979. Una vittoria dell’Independiente avrebbe dato la spinta decisiva a Grondona, mentre se si fosse imposto il Talleres avrebbe preso probabilmente piede la candidatura di Nuccetelli, appoggiato anche dai tanti club dell’interiore, che reclamavano il loro spazio a livello nazionale.
Tuttavia, le lotte di potere non riguardarono solo la presidenza dell’AFA. In quegli anni in Argentina governava la dittatura militare di Jorge Videla, salito al potere nel 1976 dopo un golpe di stato. Un regime tirannico che non si stava facendo scrupoli ad eliminare gli oppositori, causando rapimenti, torture e omicidi, con le violenze di solito perpetrate nei tanti centri di detenzione clandestini distribuiti strategicamente nel Paese. Il più famigerato fu certamente l’ESMA (sigla che sta per Escuela de Mecánica de la Armada), ubicato giusto a poche centinaia di metri dallo stadio Monumental di Buenos Aires. Ma nemmeno La Perla, situato fra Cordoba e Villa Carlos Paz, aveva niente da invidiare agli altri centri.
A dirigere le operazioni de La Perla era il generale dell’esercito Luciano Benjamín Menéndez, un sanguinario militare che sparse il terrore nel nord dell’Argentina. Uno che considerava addirittura Videla come un “blando”, al contrario del suo gruppo di “duri”. Duri che, in preda a manie di grandezza, volevano infatti attaccare e conquistare il Cile. Fu proprio la spinta dei militari più acerrimi a portare l’Argentina ad affrontare il governo cileno in una disputa per la sovranità delle isole del Beagle, situate nell’omonimo canale. Menéndez fantasticava infatti con “costringere i cileni a rifugiarsi nell’Isola di Pasqua, brindare con champagne nel Palazzo della Moneda di Santiago e andare a pisciare poi nell’Oceano Pacifico.”
Talleres – Independiente 1977: una finale quanto mai politica
La crisi diplomatica durò alcuni anni, fortunatamente non si passò a vie di fatto – al contrario de Las Malvinas – ma fu necessario l’intervento di Papa Giovanni Paolo II e la pressione internazionale per frenare i propositi di guerra. Il sogno di Menéndez, poi, era quello di diventare lui stesso il capo della giunta militare al posto di Videla, e per questo cercò di usare la sfida fra Talleres e Independiente come asso nella manica per lanciarsi verso il potere.
Il lungo calendario del Nacional 1977 portò la gara d’andata a disputarsi il 21 gennaio del 1978 ad Avellaneda. In campo le squadre si equivalsero, in una battaglia a centrocampo per il dominio del gioco, e di conseguenza lo spettacolo ne risentì. Neutralizzati Bochini e Valencia, le stelle delle due compagini, i gol erano arrivati grazie a due rigori concessi molto generosamente, con il punteggio di 1-1 che favoriva adesso il Talleres per via della reta realizzata in trasferta.
Quattro giorni più tardi, fu il Francisco Cabasés del Barrio Jardin di Cordoba – stadio soprannominato La Boutique – ad ospitare la partita di ritorno, in quella che sembrava una festa già annunciata per il trionfo della squadra locale. Ogni angolo della città era addobbato di biancoazzurro, e ad appoggiare il Talleres si erano insolitamente aggiunti anche i tifosi delle altre squadre cordobesi, tutti uniti contro il “nemico” bonaerense. Ovviamente, c’era anche Menéndez, che prima della sfida si prese perfino il lusso di scendere negli spogliatoi per far “sentire” la propria presenza, un po’ come avrebbe fatto Videla qualche mese più tardi in occasione di Argentina-Perù. Tutto era pronto per la festa, ma otto uomini vestiti di rosso decisero di guastare tutto.
La partita fu surreale, e degna di un copione hollywoodiano. Norberto Outes portò in vantaggio il Rojo nel primo tempo, e improvvisamente nelle gambe dei giocatori del Talleres sembrò pesare come un macigno la posta in palio. Ma ben presto la squadra di Saporiti si ricompose e tornò a macinare gioco, senza comunque riuscire a perforare la solida difesa dell’Independiente. A dare loro una mano arrivò però l’arbitro Roberto Barreiro, prima assegnando un dubbio rigore ai locali – trasformato da Ricardo Cherini – e poi non vedendo, o non volendo vedere, una mano di Ángel Bocanelli, che toccando di pugno batté Roberto Rigante per il 2-1.
Col passare del tempo la direzione di gara di Barreiro è stata sempre oggetto di sospetti: per qualcuno era stato “comprato”, mentre per altri era stato semplicemente vittima delle pressioni dell’ambiente circostante. Nessuno indagò mai sul suo operato, comunque, visto che arbitraggi casalinghi, specie in quelle situazioni, erano quasi la norma. Inoltre, va considerata, almeno sul gol di mano, anche la scarsa illuminazione del campo.
Un epilogo irripetibile
Il gol di Bocanelli – che al giorno d’oggi ancora nega di aver colpito con il pugno, questo malgrado una foto dell’epoca suggerirebbe il contrario– scatenò le feroci proteste dei giocatori dell’Independiente. Ma Barreiro non ci andò troppo leggero nelle sanzioni, espellendo contemporaneamente Enzo Trossero, Rubén Galván e Omar Larrosa. Sotto 2-1, in 8 contro 11 a un quarto d’ora dalla fine, con un arbitraggio a dir poco contrario, Bochini guardò i propri compagni e fece cenno di ritirarsi negli spogliatoi. Fu il tecnico Pastoriza a fermarli, pronunciando una frase mistica, destinata a rimanere stampata nella storia del club: “No se vayan, jueguen, sean hombres, se puede ganar!”
Il Talleres, convinto di poter chiudere la gara, continuò ad attaccare alla ricerca del terzo gol, sfruttando le enormi praterie, anche se fu impreciso nell’ultimo passaggio. Bocanelli, forse punito dal karma, sprecò un paio di occasioni clamorose, mentre Pastoriza decise invece di giocarsi il tutto per tutto. In precedenza il centravanti Outes era andato a fare il centrale di difesa, ma anziché mettere altri difensori per evitare una sempre più probabile goleada, il “Pato” inserì un centrocampista, Mariano Biondi, e un attaccante, quel Daniel Bertoni che era rimasto a lungo inattivo per un infortunio e che aveva viaggiato a Cordoba solo in caso di necessità.
Furono proprio i due neoentrati i protagonisti dell’azione del pari, mossa avviata dal terzino destro Rubén Pagnanini che era riuscito a fermare l’ennesimo attacco del Talleres. La palla finì poi sui piedi di Bochini che iniziò una specie di assolo contro le tante maglie biancocelesti. Con Bertoni finalmente al suo lato, il “Bocha” la scambiò con il suo socio favorito un paio di volte prima di imbeccare l’altro neoentrato Biondi. Fu lui a trovarsi la palla fra i piedi in area di rigore quando il portiere Ruben Guibaudo gli venne incontro precipitosamente. Il centrocampista fece appena in tempo a scostarla, quando apparve ancora Bochini, il quale di sinistro, non il suo piede, rifinì in gol la giocata con un colpo da biliardo che si infilò in rete passando fra la testa di un difensore e la traversa.
Il genio era uscito di nuovo dalla lampada quando la squadra lo necessitava. “Se l’avessi tirata più bassa l’avrebbe respinta [il difensore] di testa, se l’avessi tirata più alta avrebbe centrato la traversa” – ricordò qualche anno dopo Bochini in uno speciale di Tyc Sport con la sua solita tranquillità. Quella fu anche la sua ultima partita assieme a Bertoni, il quale non avrebbe più indossato la maglia del Rojo. Per lui esperienze in Spagna, al Sevilla, e soprattutto in Italia, con Fiorentina, Napoli e Udinese.
Il gol del “Bocha” – che quel giorno compiva 24 anni – silenziò la Boutique e affossò completamente il Talleres e le sue ambizioni. Non c’era una spiegazione logica a quello che l’Independiente era riuscito a fare. Eppure, nonostante tutto, era riuscito a ribaltare la contesa. Mancavano ancora sette minuti, ma i locali furono incapaci, malgrado la superiorità numerica, di produrre chance degne di nota. Independiente campeón in virtù del gol in trasferta, un boccone amarissimo per le ambizioni di Menéndez e Nuccetelli.
Talleres – Independiente e le conseguenze politiche a ridosso dei Mondiali
Il Metropolitano ripartì a marzo del 1978 ma l’imminente Mondiale paralizzò tutte le attenzioni e le cose extra-calcistiche vennero messe in un secondo piano. Finalmente, nel 1979, venne deciso il nuovo presidente dell’AFA e la scelta cadde su Grondona, che sarebbe rimasto nell’incarico fino al 30 luglio 2014, giorno della sua morte. Un padre-padrone del calcio argentino, che col tempo seppe trarre vantaggio dalla propria posizione, tessendo fili che lo avrebbero poi portato ad acquisire sempre più potere, non solo nel Paese ma anche a livello internazionale, dato che occupò il posto di vicepresidente della FIFA per ben 26 anni.
Nuccetelli non si rassegnò, comunque, e facendo forza sulla presenza di tre campioni del mondo– Valencia, Galván ed Oviedo – al suo Talleres venne finalmente concesso un “permesso speciale” per partecipare al Metropolitano del 1980, il tutto in attesa che una nuova ordinanza regolamentasse il problema. Il che creò attriti fra il club e la federazione cordobese, la quale non vide di buon occhio questo trattamento di favore nei confronti del Talleres. Se l’AFA stava desiderando di aprire il Metropolitano ai club dell’interiore, sarebbero dovute essere le varie federazioni locali a beneficiarne, e non una squadra in particolare.
Ovviamente dietro tutto questo vi erano questioni economiche. Senza il Talleres e i suoi campioni il torneo locale perdeva prestigio e di conseguenza soldi. Venne così riunita una assemblea straordinaria e mediante votazioni la federazione cordobese negò al Talleres il permesso per partecipare al Metropolitano. Si creò una spaccatura, e quei club che prima avevano appoggiato Nuccetelli nella sua crociata adesso iniziarono a voltargli le spalle.
Come un abile scacchista, Grondona osservò da lontano gli eventi, poi decise di spalleggiare Nuccetelli e spingere affinché il Talleres si unisse al torneo Metropolitano. Questo perché nel frattempo erano scesi in campo anche i militari, con l’intromissione diretta di Adolfo Sigwald – il generale di brigada che Videla aveva messo come governatore della provincia di Cordoba – che era intervenuto nelle decisioni della federazione cordobese. Erano tempi in cui in Argentina non conveniva troppo mettersi contro i militari, così vi fu un rapido cambio di scenario. Adesso sì che il Talleres poteva giocare il Metropolitano.
Nuccetelli, che rimase alla presidenza del Talleres fino al 1987, era finalmente riuscito nell’intento di mettere il suo club nella mappa del calcio argentino, questo malgrado il club non sarebbe mai riuscito a vincere nulla, e la finale del Nacional del 1977 – assieme alle due finali perse di Coppa Argentina nel 2020 e 2022 – risultò l’unica occasione in cui sfiorò il successo in un campionato nazionale.
Per Menéndez, invece, le cose non andarono troppo meglio. La sua ossessione era quella di diroccare il “blando” Videla e farsi carico lui stesso della presidenza del Paese, ma nella lotta al potere si trovò a sgomitare con altri militari come Emilio Massera e Roberto Eduardo Viola. Nel 1979, convinto che l’esercito lo avrebbe appoggiato, Menéndez tentò addirittura un golpe interno, ma l’intento fallì e l’unica cosa che guadagnò fu 90 giorni di prigione per insubordinazione. Ciò nonostante, malgrado la fine della dittatura, Menéndez continuò a circolare indisturbato come un qualsiasi cittadino. Anzi, nel 1984 fu persino fotografato in una via di Buenos Aires quando tentò di attaccare con un pugnale in mano un gruppo di Madri della Plaza de Mayo che gli avevano urlato “assassino”.
Come in molti altri casi, anche con Menéndez, scomparso nel 2018 a 90 anni, la giustizia ha tardato tantissimo tempo prima di emettere le proprie sentenze, con il genocida che usufruì di vergognosi indulti, di leggi farsa o dell’appoggio di politici corrotti e ancora complici della dittatura. Alla fine, però, nemmeno lui si è potuto sottrarre al destino. Al militare che sognava con conquistare il Cile sono toccate 15 condanne per crimini contro l’umanità, di cui 13 ergastoli, pene che però scontò agli arresti domiciliari per via dell’età e del precario stato di salute.
Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.
Immagine di copertina tratta da “Soy del Rojo”