Ho visto Kvaradona

Ho visto Kvaradona

Gennaio 14, 2023 0 Di Luca Sisto

Nelle curve e sulle tribune dello Stadio Diego Armando Maradona, sventola una bandiera piuttosto inusuale da queste parti. Lo stesso stendardo si può notare spesso, in giro per l’Italia e l’Europa, al seguito di un calciatore venuto da lontano, che è già un cult. Non solo in Georgia e a Napoli, sembrano tutti pazzi di Kvaratskhelia.

Kvaradona è solo uno dei nickname che l’ala sinistra georgiana si è meritata nella città che fu del fuoriclasse argentino. “Ho visto Maradona” è diventato, nel tempio del culto pagano calcistico italiano, appunto, Kvaradona. A Napoli ci vuole poco per un calciatore a passare da atleta a santo. E da santo a martire. Il mito del Masaniello che libera il popolo dal giogo straniero, è talmente radicato che si esprime alla perfezione sul rettangolo verde.

Masaniello, ovviamente, ha fatto una brutta fine. E per quanto il revisionismo storico voglia farci credere che tra Diego e Napoli siano sempre state rose e fiori, chi c’era e chi ha letto i giornali del tempo, sa che la verità è stata parzialmente offuscata dal tempo. Soprattutto dopo Italia ’90, quando Maradona è stato trattato come il diavolo dalla stampa italiana, e presto rigettato dalla società presieduta da Ferlaino, che non vedeva l’ora di liberarsene per via dei fatti di cronaca che di lì a poco sarebbero diventati di dominio pubblico.

Come nelle più grandi storie d’amore e di Fede, e quella fra Maradona e Partenope è stata senza dubbio una delle più belle e interessanti sociologicamente, si tende a ricordare e tramandare la parte dolce. Quella delle effusioni in pubblico, dell’affetto carnale, delle vittorie, dei momenti belli che Diego, unico nella storia, ha saputo regalare alla squadra e alla città, conducendo un gruppo di uomini di valore (affatto mezze cartucce, ma certo non tutti campionissimi) a due Scudetti, una Coppa UEFA che sapeva di Champions, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.

Proprio quest’ultimo trionfo, rappresentò il canto del cigno di una generazione strepitosa, che chiuse definitivamente i battenti in una tragicomica notte moscovita.

Kvaratskhelia è diventato Kvaradona: una reponsabilità che è meglio non raccontargli

A leggere i marcatori del 5-1 con cui ieri, come 32 anni fa in Supercoppa, il Napoli ha regolato la Juventus portando a 10 lunghezze il vantaggio in classifica sui bianconeri (in attesa del Milan, a -7 prima di venerdì sera), ci si accorge subito come il calcio sia radicalmente cambiato.

C’è Osimhen a fare doppietta, mattatore della serata e del Napoli spallettiano. Ci sono il kosovaro Rrahmani, in gol su azione d’angolo dopo una prova da peggiore dei suoi. E c’è, ovviamente, anche il nostro Kvaradona, insieme al macedone Elmas, autentico jolly e vero dodicesimo uomo della squadra.

Kvaratskhelia ha propiziato il primo gol del nigeriano con una volée. Ha segnato la seconda rete su assist proprio di Osimhen. E ha restituito il favore con una pennellata perfetta per il quarto gol, proprio sulla testa dell’attaccante ex Lille.

Osimhen le dà e le prende

Una prestazione super, condita da quattro dribbling su sette riusciti, uno dei quali ha fatto girare la testa a Danilo. Un livello che il georgiano ha toccato spesso in questa stagione, soprattutto nella partita di Champions contro il Liverpool al Maradona, dove Alexander-Arnold, Gomez e van Dijk non l’hanno praticamente mai visto.

Il pellegrinaggio dei georgiani a Napoli e in Europa è un qualcosa che ricorda da molto vicino gli onori riservati agli eroi nazionali. Insolito, certo, nonostante i fasti dei grandi calciatori georgiano sovietici degli anni Settanta, una tradizione, quella calcistica, che sembra stia tornando attraverso una nazionale altamente futuribile che punta, non così segretamente, ai Mondiali del 2026. Elementi di spicco come il portiere del Valencia Mamardashvili ne sono la prova.

Georgiani al seguito di Kvaradona, si dirigono verso il proprio pullman (foto dell'autore)

Georgiani al seguito di Kvaradona, si dirigono verso il proprio pullman (foto dell’autore)

Il classe 2001 che furoreggia sulla fascia sinistra che fu di Capitan Insigne, probabilmente ha sentito solo parlare delle gesta di Maradona a Napoli. Gli avranno raccontato da dove viene il suo soprannome. Avrà compreso, magari suo malgrado, la passione un po’ spinta di un certo tipo di tifosi napoletani.

Ed è stato già vittima della sua parte di cronaca, tra furti subìti e illazioni sul suo infortunio alla schiena. Perché la stampa italiana è impietosa, ma quella partenopea, nello specifico, è ben oltre il masochismo. Divisa fra vecchi santoni che hanno vissuto il periodo maradoniano e bollano come “schiappa” qualsiasi calciatore venuto dopo. E giovani in cerca del proprio spazio nel mondo, cresciuti con un Napoli perdente e una città ritenuta fra le più invivibili d’Italia.

Un macigno enorme, che pesa il triplo nel clima classista e maleodorante che aleggia dai quartieri bene a quelli popolari. 

Forse, è meglio non raccontarla tutta la favola a questi ragazzi. Probabilmente, è solo calcio per loro. Ed è molto meglio che resti così com’è.

Lasciamo che Kvaratskhelia sia libero di saltare l’uomo o di perdere palla futilmente sulla fascia. Facciamo in modo che Osimhen liberi tutta la sua energia, e che Lobotka sgattaioli a centrocampo smistando palloni a destra e sinistra. Apprezziamo il coreano Min-jae Kim senza condannarlo per uno stupido errore.

Se è vero come è vero che le città più disperate socialmente siano anche quelle più attaccate al calcio, lasciamo che i nuovi tifosi del Napoli crescano con la consapevolezza che, questi ragazzi, sono in città per giocare a calcio e rappresentarli, ma senza caricarli del livore del riscatto sociale, che il Sud di Partenope insegue a modo suo da centinaia di anni.

E che neppure la più grande icona calcistica della storia, se non per brevi tratti, ha potuto spazzare via in maniera definitiva.

 

Immagine di copertina riadattata da Wikimedia Commons.