Santamaria, il calciatore ucciso dall’ETA

Santamaria, il calciatore ucciso dall’ETA

Gennaio 17, 2023 0 Di Juri Gobbini

Bixente Lizarazu passò molti anni controllando sotto la propria auto prima di mettersi alla guida. Non gli accadde mai nulla, ma la paura che l’ETA gli avesse piazzato una bomba per farlo saltare in aria gli rimase addosso per tanto tempo. Anche quando militava nel Bayern Monaco. È lo stesso Lizarazu a ricordarlo, nella sua biografia intitolata “BIXENTE, uscita nel 2007.

Nativo della località francese di Saint-Jean-de-Luz, nell’antica provincia basca di Labourd – e quindi facente parte dell’Euskal Herria – Lizarazu aveva tutte le carte in regola per militare nell’Athletic Bilbao, secondo quella regola non scritta con cui il club esegue il reclutamento dei propri calciatori. E infatti, nel 1996, l’Athletic lo acquistò, prelevandolo dal Bordeaux, squadra con cui Lizarazu aveva conquistato una finale di Coppa UEFA e dove si era messo in luce assieme a Zinedine Zidane e Christophe Dugarry, suoi compagni anche di nazionale.

Era un Athletic ambizioso quello. L’allenatore ispano-francese Luiz Fernandez – ex mediano nella Francia di Michel Platini – in panchina, e gente del calibro di Julen Guerrero, Ismael Urzaiz, Joseba Etxeberria, Aitor Karanka, José Ángel Ziganda in campo. Una squadra che sarebbe arrivata seconda nella Liga nella stagione seguente, già senza Lizarazu. La sua tappa, al contrario, fu da dimenticare: il futuro campione del mondo si infortunò in estate. Durante la stagione fu costretto ad operarsi e mai si sentì a proprio agio a Bilbao, probabilmente pentendosi subito della scelta fatta. Alla fine, la sua partenza risultò un bene per lui e per il club, che almeno riuscì a venderlo a più del doppio di quanto pagato.

L’ombra dell’ETA sui Paesi Baschi

Ma i guai, per Lizarazu, non furono solo di natura sportiva. In quel periodo, infatti, era finito nel mirino dell’ETA, il gruppo terroristico che dagli anni Sessanta in avanti aveva iniziato una lotta armata contro lo Stato spagnolo, inizialmente per combattere la dittatura e reclamare l’indipendenza dei Paesi Baschi. Centinaia gli attentati, tantissimi i sequestri, troppe le vittime e il sangue versato inutilmente in nome di una causa apparentemente nobile, ma che non giustificava certo la tanta crudeltà. Soprattutto perché col tempo l’ETA si era trasformata fino a diventare una specie di mafia, la quale esercitava un forte controllo sui Paesi Baschi, estendendo la mano del terrore anche al resto della Spagna.

Fra le misure adottate per autofinanziarsi, oltre ai sequestri, l’ETA esigeva il pagamento di un Impuesto Revolucionario, una tassa in nome del causa basca. Chi non pagava finiva inesorabilmente nel mirino della banda, con conseguenze spesso mortali. Commercianti, imprenditori, sportivi: nessuno sembrava esente dal sistema. 

L’omertà, la paura di fare passi falsi, portò in tanti a tacere, e raramente vennero alla luce le minacce e i tentativi di estorsione. Anche se di casi ve ne furono eccome, uno fra i quali quello di Txiki Begiristain, ex giocatore e dirigente del Barcelona e attuale direttore sportivo del Manchester City.

Dai campi della Liga alle discoteche di Ibiza

Se Lizarazu può ritenersi fortunato ad essere scampato a qualsiasi tentativo di attentato, stesse sorte non ebbe José Antonio Santamaria, ex difensore della Real Sociedad e l’unico calciatore vittima dell’ETA in oltre cinquant’anni di attività della banda. 

Santamaria aveva esordito nel 1968 con la casacca txuri-urdin, disputando tre stagioni ad Atocha prima di passare all’Hercules Alicante. Successivamente giocò anche a Sabadell e con il Real Union, per un totale di 134 partite fra Liga e Segunda División. Soprannominato “el tigre” per la sua aggressività nelle marcature, Santamaria era un difensore roccioso che però fu costretto ad appendere le scarpette al chiodo a soli 31 anni per via dei numerosi infortuni. Non stette a guardare, comunque, e sfruttando i soldi accumulati da calciatore diventò imprenditore nel settore della ristorazione, aprendo alcuni locali a San Sebastian e dintorni.

Fra i business gestiti da Santamaria e soci, ce ne fu uno che andò a meraviglia, la discoteca Ku, tanto che venne deciso di aprire una succursale anche ad Ibiza. Gli anni Ottanta furono il boom delle discoteche, e il successo del Ku di Ibiza fu incredibile. Quel locale si convertì in uno dei più glamour d’Europa, tappa fissa dei vari vip durante le loro vacanze nelle Baleari, fra cui il regista Roman Polanski, con il quale Santamaria arrivò a instaurare persino un’amicizia. 

Nel 1987 il Ku ospitò addirittura il famoso duetto fra Montserrat Caballé e Freddie Mercury, i quali interpretarono Barcelona, la canzone che sarebbe divenuta l’inno ufficiale dei giochi olimpici disputati in Catalogna nel 1992.

La gestione della discoteca ebbe comunque le sue difficoltà economiche, e all’inizio degli anni Novanta il locale andò incontro a costosi lavori di ristrutturazione a seguito del crollo di una parte dell’edificio. Santamaria e soci decisero allora di mollare, e la discoteca andò così all’asta. A rilevarla un altro basco, José María Echániz, che poco tempo dopo le avrebbe cambiato il nome da Ku a Privilege, con il quale è conosciuta anche oggi.

Santamaria tornò quindi a dedicarsi agli affari locali, soprattutto a San Sebastian. Ma il pericolo era in agguato e si materializzò sotto forma di un’inchiesta giudiziaria sul traffico di droga nei Paesi Baschi e la corruzione all’interno della Guardia Civil. Parte dell’inchiesta – chiamata Informe Navajas, dal nome del procuratore che stava indagando sui fatti – venne filtrata alla stampa, e alcuni giornali locali colsero al volo l’occasione per fare uno scoop. E anche il nome di Santamaria figurava nell’indagine. L’ETA prese nota.

Santamaria e l’ETA sulle sue tracce: innocente per la giustizia, colpevole per l’opinione pubblica

Oltre a continuare a produrre attentati e omicidi, in quegli anni il gruppo terroristico aveva intrapreso pure una crociata contro il narcotraffico. Ufficialmente voleva ripulire i Paesi Baschi dalla droga, la quale, oltre a rovinare la vita di molti giovani, li distoglieva dalla lotta per l’indipendenza. Anche qui, il movente di facciata sembrava nobile, almeno sulla carta.

Per l’ETA era direttamente lo Stato spagnolo a immettere la droga nella regione, e combattendolo avrebbe guadagnato maggior popolarità e accettazione sociale anche fra chi non era direttamente coinvolto nella politica legata all’indipendentismo. Già allora, infatti, parte della popolazione basca aveva iniziato a disapprovare il modus operandi della banda, consapevole che tanto sangue e violenza non avrebbero condotto da nessuna parte.

Per alcuni, comunque, l’ETA combatteva il narcotraffico locale perché voleva gestire da sé un business che gli avrebbe garantito ingressi di denaro e merce di scambio per procurarsi le armi. A questa teoria è giunto anche Roberto Saviano, come dichiarato in una recente intervista con Jordi Evolé, giornalista de La Sexta. Secondo lo scrittore napoletano, persino la Camorra si recava in quegli anni nei Paesi Baschi a comprare cocaina.

Santamaria, una volta lette le accuse nella stampa locale, capì che prima o poi sarebbe finito nel mirino dell’ETA. Perciò, nel novembre 1990, rilasciò una intervista ufficiale dove si dichiarava estraneo ai fatti. L’inchiesta giudiziaria proseguì comunque fino al novembre 1992, quando venne chiamato a dichiarare davanti a un giudice, e finalmente tutte le accuse a suo carico cessarono.

La calma, tuttavia, fu solo apparente. Il Diario Egin – chiuso nel 1998 per la sua notoria vicinanza con l’ETA – continuò infatti a parlare dell’inchiesta, sempre con il nome di Santamaria presente negli articoli. Un’opera di diffamazione pura e cruda, anche se dal giornale si difesero appellandosi al diritto di informazione e di investigazione che ogni organo di stampa detiene.

Santamaria e l’ETA: nessuna pietà per l’ex Txuri-Urdin

A nulla valeva il fatto che Santamaria già non era un nome inerente all’inchiesta e che era stato ufficialmente scagionato da ogni accusa nei suoi confronti, perché il giudizio parallelo, quello dell’opinione pubblica, non aveva emesso ancora il suo verdetto. E in questi casi, le conseguenze potevano essere molto più pesanti della giustizia normale.

Qualche amico consigliò a Santamaria di prendersi una pausa e abbandonare i Paesi Baschi per un periodo. Giusto per far calmare le acque. Ciò nonostante, da buon donostiarra, l’uomo non era troppo convinto nel lasciare la propria città natale e le sue tradizioni. Così, il 19 gennaio 1993, dopo aver giocato alla pelota basca, Santamaria e i suoi amici passarono la serata in un ristorante del centro storico, aspettando la mezzanotte per iniziare i festeggiamenti del santo patrono della città, San Sebastian appunto.

Le strade erano piene di gente, mascherate come da tradizione da cuochi o da soldati napoleonici, la maggior parte dei quali con un tamburo, pronti a sfilare per la famosa Tamborrada. Santamaria non arrivò mai vedere il corteo. Mentre era ancora nel ristorante, un uomo vestito da cuoco si mischiò al resto della folla e si avvicinò al tavolo dove era seduto, sparandogli poi alla nuca. Santamaria morì sul colpo. Nemmeno lo status di ex-giocatore txuri-urdin aveva frenato l’ETA, e neanche la festa del patrono era servita a fermare lo scorrere del sangue.

 

Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina tratta da Cope.