Marc Overmars e il giorno in cui mi innamorai del calcio

Marc Overmars e il giorno in cui mi innamorai del calcio

Gennaio 19, 2023 0 Di Nicola Luperini

Voi ricordate il momento esatto, l’attimo decisivo in cui vi siete innamorati di quel meraviglioso sport che è il calcio?

Per tanti, il colpo di fulmine coincide con un ricordo di famiglia, col padre che prende per mano il figlio e lo porta allo stadio a seguire la squadra che ama. Per altri, col giorno in cui hanno iniziato la scuola calcio, assaporando per la prima volta l’aria del campo e dello spogliatoio.

La mia personale scintilla scoccò in un caldissimo pomeriggio di luglio. Gli anni ’90 che si avviavano a concludere il loro giro di giostra e un compleanno al campetto. Due porte piccole, ma con le reti, come quelle vere. Tanti amici intorno, le pizzette e i salatini, la torta. E poi a sera, con una pizza davanti e un piccolo televisore portatile a farci compagnia, la partita dei Mondiali.

Era il 7 Luglio del 1998, il giorno del mio nono compleanno, e quel giorno Marc Overmars mi fece innamorare del calcio. Senza mettere piede in campo.

Il pallone è sempre stato un amico per me, e già in prima elementare avevo cominciato a giocare per una piccola squadra locale, più per passare il tempo con i miei amici che per reali velleità calcistiche o passioni indomabili. Poi fu la volta degli album Panini, il divertimento dei “celo, manca” e lo scambio dei doppioni coi compagni di classe e di squadra. Nell’estate del ’97, il passaggio di Ronaldo all’Inter aveva già mosso qualcosa nel mio giovane spirito di calciofilo, Seguire i numeri del Fenomeno, su Tele+ con babbo o nel soggiorno della casa dei nonni quando c’era la Coppa Uefa, era un passatempo che amavo e che mi generava vampate di affetto calde come cioccolata.

La scintilla vera, però, non era ancora scattata. Il piromane che soffiò sulle ceneri dormienti di quel piccolo incendio era nato 25 anni prima ad Emst, nei Paesi Bassi. Un piccolissimo paese a un’ora di macchina da Amsterdam, città alla quale era destinato ad essere attratto come uno spillo da una potente calamita. Prima di quell’estate del 1998 io di lui non sapevo niente, se non qualche vaga informazione letta sul Guerin Sportivo, mia personale bibbia dell’epoca ed irrinunciabile bussola.

Nel 1998, Overmars aveva già partecipato ad un Mondiale, quello a stelle e strisce del 1994, senza che io avessi modo di vederlo o, perlomeno, di capirci qualcosa. La corsa sua e di quell’Olanda si fermò ai quarti di finale, sotto il sole squagliaossa di Dallas, interrotta da un Brasile che di lì a qualche settimana avrebbe alzato la Coppa del Mondo in faccia a noi italiani.

Per il ragazzo di Emst, appena 21enne in quell’estate statunitense, era solo l’inizio del viaggio. Nelle successive stagioni, insieme ad una banda di ragazzini terribili e dal talento debordante, avrebbe condotto l’Ajax a stagioni dominanti in patria e in Europa. La ciliegina sulla torta fu messa nella notte viennese del 1995, quando Patrick Kluivert segnò il gol che regalò ai lancieri la Champions League nella finale contro il Milan. 

Dopo aver aggiunto anche Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale alla già ricolma stanza dei trofei dell’Ajax, Overmars venne immancabilmente chiamato da una delle big emergenti del calcio europeo. Una squadra che, da Wenger in avanti, ha inserito nel suo DNA la tendenza ad arricchire le proprie formazioni con talenti sguscianti e imprevedibili: l’Arsenal.

Marc Overmars, dal passaggio all’Arsenal ai Mondiali del 1998

Il furetto olandese fu una delle chiavi del ritorno al successo dei Gunners, che fallivano l’affermazione in patria da 8 anni. Dodici gol in campionato e un’intesa deliziosa con il connazionale Dennis Bergkamp lastricarono il cammino verso la gloria dei biancorossi e indicarono la strada al leggendario Guus Hiddink, allora CT della nazionale Orange. Il destino di quella Nazionale, nella kermesse francese, sarebbe dipeso in larga parte da quei due.

Scoprii di avere un debole per Overmars in vacanza con i miei, all’Isola d’Elba. Erano gli ultimi giorni di giugno e anche per le strade di Capoliveri la febbre-Mondiale era alta. Qualsiasi esercizio pubblico, che fossero ristoranti o profumerie, trasmetteva le partite. Seduto al tavolino di una gelateria, mi apparve davanti agli occhi una visione. Undici scalmanati in maglietta arancione mi rapirono l’occhio mentre facevano a fette la povera Corea del Sud.

Prima fu Cocu a spaccare la porta con un sinistro da fuori, poi arrivò lui. Jonk portò via la palla centralmente in contropiede (a quel tempo si chiamava così, la ripartenza era quando si spegneva la macchina e dovevi di nuovo girare la chiave nel quadro). Sulla sua sinistra correva una freccia coi capelli neri, che puntualmente ricevette il pallone. Dribbling a rientrare sul destro col difensore giù per terra, come in un girotondo poco divertente. Sguardo rapido al portiere, sassata, gol.

Esultai senza capire perché: non avevo nessun motivo di tifare per l’Olanda, ma quel gol, quei colori, quel momento avevano evidentemente fatto breccia dentro me. Per la cronaca, l’Olanda vinse quella partita per 5-0, facilitandosi il cammino per il passaggio del turno.

Non ricordo se vidi anche le partite degli ottavi e dei quarti, nelle quali l’Olanda fece fuori Jugoslavia prima e Argentina poi. Mi ricordo, però, lo stupore nel rivedere il gol di Dennis Bergkamp contro la Selección e i tentativi, mai riusciti, di emularlo al campetto nei giorni successivi.

Fu così che arrivò il mio compleanno. La festa, i regali, tutto bello. Ma era il giorno di Olanda-Brasile e non me la sarei persa per niente al mondo. Una Semifinale di Coppa del Mondo che si preannunciava straordinaria, con Ronaldo da una parte e Overmars dall’altra. Sapevo benissimo che i due giocatori abitavano su due pianeti calcistici differenti, ma non mi importava. L’emozione dell’attesa di vederli giocare contro mi accompagnò per tutta la giornata.

Immaginate la mia delusione alla lettura delle formazioni. L’Olanda schiera la solita coppia Kluivert-Bergkamp davanti, e a sinistra si posiziona Boudewijn Zenden. Nessuna traccia del mio eroe elbano. Ero totalmente ignaro che Overmars fosse arrivato in Francia malconcio dopo la stagione dispendiosa e vincente con l’Arsenal e che trascinasse con sé alcuni problemi fisici. Gli stessi che lo avevano fatto partire dalla panchina, per poi subentrare, contro l’Argentina.

Attesi per tutta la partita che si accostasse al quarto uomo per entrare e che sulla lavagnetta luminosa apparisse il suo numero 14. Un numero che a me parse subito bellissimo, senza sapere niente di niente dell’esistenza di un certo Cruijff

Attesi invano. Overmars non entrò mai in quella partita, lasciandomi come un piccolo Estragone ad aspettare il suo Godot nel frinire delle cicale e con le briciole della torta sparse sul tavolo. 

L’emozionante epilogo della partita, con un Taffarel strepitoso ai rigori, mi ripagò in parte della delusione per non aver visto il mio campione del cuore. Overmars sicuramente non sarebbe stato il più forte calciatore in campo quella sera, qualora avesse giocato. Forse non avrebbe neanche inciso, lasciandomi l’amaro in bocca e un senso di profonda delusione, chissà. Magari se avesse giocato non ricorderei così distintamente quella sera e cosa mi ha lasciato.

In verità credo sia stata proprio la sua assenza, in un momento cosi fremente di attesa, a farmi innamorare di lui e del calcio. 

Mi ha palesato, in un’epifania alla Joyce, che il calcio è fatto di momenti da cui non si torna indietro. Di continue sliding doors, di treni che non ritornano, di sensazioni da godersi nell’istante in cui arrivano perché potrebbero non tornare. 

Quella sera il momento si godeva Ronaldo il Fenomeno e un furoreggiante Brasile: io mi godevo, senza saperlo, tutti gli anni di calcio che sarebbero arrivati da quel giorno in avanti.

 

Testo a cura di Nicola Luperini, per la rubrica “La Tana del Lupo”. Pisano, content editor per Sottoporta – il calcio internazionale, cura per Football&Life gli argomenti più caldi della settimana sul calcio italiano, dalla Serie A alle serie minori. Ma non solo. Appassionato di Football Manager, racconta anche qui le sue avventure.

Nell’immagine di copertina, tratta da Marca, Marc Overmars viene contrastato da Jugovic durante Olanda-Jugoslavia, ai Mondiali del 1998.