Intervista a Denis Godeas: il bomber per tutte le stagioni

Intervista a Denis Godeas: il bomber per tutte le stagioni

Gennaio 24, 2023 0 Di Redazione

Il vento di bora che soffia forte su Trieste, nasconde l’animo impetuoso dei suoi abitanti. Terra di frontiera, quella giuliana, i cui elementi, come l’acqua, si adattano a plasmare le forme di chi la vive.

Crescere qui vuol dire imparare a conoscere l’altro, vivere in modo diverso. Dare del tu al prossimo, comprenderlo, capire il mondo che ti circonda.

Tutte chiavi di lettura che temprano la mente e il corpo. Nel club che fu di Nereo Rocco, il cui nome ancora riecheggia nello stadio, e del campione del mondo Gino Colaussi (Colausig), ha espresso il suo miglior calcio un autentico esploratore della nostra penisola (con annesso attraversamento dello stretto di Messina) e delle aree di rigore dei suoi stadi, in tutte le categorie. Stiamo parlando di Denis Godeas, capocannoniere di tutti i tempi della Triestina.

Godeas è arrivato al grande calcio con i suoi tempi. L’esordio in A e il primo gol, con il Como a 27 anni. Come ci ha spiegato, “a Trieste sono sempre stato troppo bene, e ci sono tornato ogni volta che potevo. Anche per questo, prima di cominciare a girare il mondo del calcio attraverso tante squadre diverse, la Serie A l’ho vista per anni da non troppo vicino. Ma a Trieste sono diventato il calciatore e l’uomo che mi ha permesso di adattarmi al meglio in tutte le categorie e in ogni club”.

Un bomber per tutte le categorie

Gli chiediamo, convinti che sia stata un’enorme soddisfazione, cosa si prova ad aver fatto gol dalla Serie A alla Terza Categoria. Ma Denis la prende con un’umiltà inattesa: “in realtà i gol difficili li ho fatti prima [sorride]. Nelle categorie amatoriali ho giocato per dare una mano a Mauro Milanese [lo ricorderete furoreggiare sulla fascia sinistra e calciare da fuori col suo potente mancino] con la seconda squadra della Triestina. L’obiettivo era portare la squadra più avanti possibile.

Fondamentalmente mi passavano la palla e facevo gol, anche a quarant’anni, senza troppi sforzi. Non la vedo come un’impresa. La parte complicata del mio lavoro era già alle spalle. Raggiungere la Serie A e l’Europa (col Palermo) è stato senz’altro qualcosa di cui vado molto fiero. Ma al record di cui mi parlate (condiviso con soli altri due calciatori) non ho mai dato peso”.

Denis Godeas ci appare estremamente affabile fin dalla prima conversazione. A tal punto che la sua personalità gentile e la sua voce rilassata, stridono con il Godeas calciatore, spietato “killer” d’area di rigore, che più che sorridere, dopo le reti, si limitava a un ghigno di soddisfazione e a un abbraccio coi compagni, raramente avvezzo ad andarsi a prendere gli applausi delle curve, che pure l’hanno amato.

“Facevo il mio lavoro. E credimi, sono uno molto meticoloso. Anche oggi che alleno, ritengo che le cose vadano fatte in un certo modo. La mia professione era quella del calciatore, il mio ruolo, il mio obiettivo, aiutare la squadra a vincere, facendo gol.

Oggi sono molto meno burbero e più rilassato. Più paziente. La famiglia, i figli, ti cambiano”.

Godeas si sorprende quando gli ricordiamo l’esperienza al De Graafschap: “sinceramente non credevo neanche lo sapeste. Quando sono andato in Olanda, non ero da solo. L’Udinese aveva stretto una partnership e alcuni giovani sono stati spediti ad allenarsi al De Graafschap. Ma non è stata una grande avventura.

A quel tempo, in Olanda, il calcio era dominato dai grandi club, tutti gli altri erano molto indietro. Per come sono fatto io, le strutture non erano all’avanguardia. Non è stata una questione di clima o di adattamento, sentivo che stavo perdendo tempo. Oggi magari sarebbe stato diverso, ma allora fu un’esperienza poco arricchente”.

Il rapporto di Denis Godeas con i tifosi

Non ho mai avuto problemi con le tifoserie. Ovviamente, per un calciatore che tende spesso a cambiare squadra, ci sta che, come a Mantova, dopo un disguido col presidente, la mia partenza sia stata vista come un torto al club. Ma non c’era nulla di personale, è il calcio. I giocatori vanno e vengono.

Per di più, a Mantova ho espresso forse il mio miglior calcio [capocannoniere Serie B 2007/08 con 28 reti]. La città è a misura d’uomo, come piace a me. Sono abituato a paesi in cui ci si conosce tutti, il tempo si dilata. Hai più spazio per te stesso, per pensare, vivere in un certo modo. A Mantova stavo benissimo, poi come spesso accade le strade si separano. Ma negli anni ho chiarito anche con la dirigenza di allora, cose che capitano”.

Nelle squadre del Sud è andata molto bene…

“Come dicevo, a me interessava giocare a calcio. Non mi sono mai fatto trascinare dall’ambiente, nel bene e nel male. Non è mai stata una questione di piazze, quanto di obiettivi. Ho giocato a Messina, a Palermo ho segnato persino in Coppa UEFA [contro la Slavia Praga, gol decisivo fra l’altro per il passaggio agli Ottavi di Finale]. Il mio mestiere era quello del gol, non di farmi influenzare dal contesto.

Anche a Bari sono stato benissimo, per quanto quell’esperienza sia concisa con dei problemi fisici, e probabilmente i tifosi mi ricordano meno che da altre parti.

In conclusione: oggi Godeas fa l’allenatore, c’è qualcosa che ha preso dai suoi Mister? Come mai non nascono più i centravanti di un tempo?

“Ne ho avuti tanti di allenatori bravi. Non penso ad un nome in particolare. Del resto, se oggi sto provando questa strada con entusiasmo, lo devo anche a loro. Se avessi avuto un rapporto negativo con gli allenatori, probabilmente non avrei scelto di continuare la mia carriera nel calcio in questo modo. Dal punto di vista tattico è ancora presto per sviluppare un’idea diversa. Cerco di prendere spunto da quello che ho visto in questi anni.

Quello che posso dire è che il calcio italiano deve necessariamente ripartire da un approccio e da investimenti diversi sul settore giovanile. Perché così non va. A livello giovanile ho visto metodologie sbagliate in giro per l’Italia. Poi certo, è anche una questione di generazioni. Gli attaccanti moderni sono diversi? Per certi versi sì. Ma la generazione campione del Mondo dei Totti, Del Piero, Vieri, Inzaghi, non è così lontana.

Avendo saltato gli ultimi due Mondiali, al netto della vittoria agli Europei, siamo abituati a pensare che il calcio italiano sia in crisi. Ma non credo sia così, è presto per dirlo. Se c’è un problema, però, è che in pochi puntano davvero sul settore giovanile. I ragazzi che esplodono presto in Italia si contano sulle dita di una mano. Quindi credo ci sia un difetto nell’approccio al calcio fin da giovanissimi.

 

Intervista a cura della Redazione di Football&Life.

Testo di Luca Sisto.

Immagine di copertina tratta da Friuligol.

Un ringraziamento speciale da parte nostra a Denis Godeas.