Intervista a Stefan Schwoch: l’eroe di una generazione
Gennaio 26, 2023Napoli è, da sempre, terra di nomi profani e contemporaneamente sacri. La magia che rende possibile l’accostamento tra due sfere così lontane è il pallone, un incantesimo che rende possibile l’improbabile e terreni i miracoli.
Se l’esempio più lampante di questa caratteristica del calcio partenopeo risponde, ovviamente, al nome di Diego Armando Maradona. Ma esistono nomi meno altisonanti che in città fanno ancora battere i cuori. Specie alla generazione che si è affacciata al calcio in epoca post-Diego, in momenti dove le divinità del calcio avevano voltato la schiena e negato sorrisi al Napoli.
Tuttavia, qualche concessione devono averla fatta se hanno permesso ad un figlio del profondo Nord, l’innevato e teutonico Alto Adige, di far breccia in una città come Napoli.
Stefan Schwoch, da Bolzano, si è aperto la strada nei cuori partenopei a suon di reti. Prima dell’arrivo in città di nomi tutelari del gol, i sudamericani Cavani ed Higuain, era lui il recordman di gol in una singola stagione sotto al Vesuvio. 22 gol in 35 partite nel campionato di Serie B 99/00.
Lo abbiamo contattato per raccontarci la sua storia di calciatore ed era impossibile non cominciare il nostro percorso da Napoli.
Idolo di intere generazioni di napoletani e vicentini
“Non puoi capire quanto mi riempia d’orgoglio il fatto di sapere di essere uno degli idoli, se così posso permettermi di dire, della gente napoletana. E’ difficile spiegarlo. Son stato lì solo un anno e mezzo, ma è stato subito amore a prima vista, non è un segreto quanto io sia innamorato di quella città che per me è la più bella d’Italia e sicuramente una delle più belle del Mondo.”
Coi capelli lunghi al vento ha infiammato il popolo del San Paolo trascinandolo in Serie A, ma non è potuto restare in massima serie con la maglia del Napoli. Con un velo di amarezza e nostalgia nella voce, ci spiega perché.
“Quello di non essere rimasto a Napoli è uno dei più grandi rimpianti della mia carriera. Non è dipeso da me, la società aveva deciso di cedermi perché ero uno dei pochi giocatori di quella squadra che poteva portare denaro fresco nelle casse. Le condizioni economiche del Napoli esigevano una cessione eccellente, e gli 11 miliardi arrivati dal Torino sono stati una boccata d’ossigeno per loro. Però che peccato…”
Torino significa ritorno in Serie B e nuove ambizioni di promozione. Promesse di salto di categoria che alla fine dell’anno saranno mantenute, ma con un percorso diverso da quello vissuto a Napoli.
“All’inizio di quella stagione si era creato una specie di dualismo con Ferrante. Marco fece molto bene nella prima parte di stagione e a gennaio non potè rifiutare la chiamata di una big come l’Inter. Riuscimmo a vincere il campionato e segnai 8 gol quell’anno, ma decisi di cambiare aria a fine stagione. Arrivò il Vicenza e lì iniziò una nuova storia d’amore…”
Vicenza per Schwoch diventa una vera e propria seconda casa. Resterà, da giocatore, 7 anni in biancorosso, diventando anche lì l’idolo della tifoseria.
“A Vicenza dopo la fine della carriera ho deciso di fermarmi. Amo la città e i vicentini, mio figlio è nato qui, mi sento in buona parte vicentino. L’altro grande rimpianto della mia carriera è non aver mai portato la squadra in Serie A. 74 gol in 7 stagioni non sono bastati a raggiungere questo obiettivo e me ne rammarico. Se il rimpianto di aver lasciato Napoli non è dipeso da me, questo lo vivo un po’ come una colpa: avrei potuto fare ancora di più.”
Proprio a Vicenza aggiunge altri due record importanti alla sua carriera di bomber di cadetteria. Diventa il miglior bomber della storia dei biancorossi, con 81 gol in tutte le competizioni, superando leggende vicentine come Bruno Quaresima, Luis Vinicio e Paolo Rossi. E diventa anche il miglior marcatore della storia della Serie B: 135 gol nella seconda serie italiana, un record che negli anni successivi fu solo sfiorato da Daniele Cacia, che si fermò a 134.
Ci credereste se vi dicessimo che la storia dello Schwoch cannoniere sarebbe potuta essere la storia di un terzino?
“Avevo 18 anni, ero alla Spal in C2. Avevo sempre fatto la punta, ma quell’anno non trovavo spazio, avevo davanti due punte esperte come Adriano Mosele e Francesco Libro, non era facile per un ragazzino come me. Una domenica dovevamo giocare contro la Juvedomo e il mister, Nello Santin, entrò negli spogliatoi dicendo che non avevamo terzini sinistri a disposizione e chiedendo chi se la sentisse di giocare lì. Io alzai la mano: pur di farmi notare avrei fatto anche il terzino. Finii la partita da migliore in campo e giocai il resto del campionato a galoppare sulla fascia. Ma l’anno dopo, quando passai al Crevalcore, tornai a fare la punta…”
Stefan Schwoch: una maturazione tardiva?
Si può serenamente dire che Schwoch sia uno dei classici giocatori arrivati tardi alla ribalta del calcio. Alla stessa maniera, è innegabile che avrebbe meritato più chances in Serie A, data la sua mole di gol in cadetteria. Quando gli chiediamo la sua opinione su queste due circostanze della sua carriera, le risposte sono schiette e sincere. E arrivano dritte al bersaglio, come i suoi tiri in porta.
“Il fatto di essere arrivato tardi, adesso che ho smesso di giocare, lo interpreto diversamente da quando giocavo ancora. Al tempo pensavo che forse non mi avevano dato abbastanza possibilità per emergere, ma adesso l’esperienza mi porta a concludere che sicuramente anche io ho sbagliato qualche scelta nella mia carriera. Son sempre stato uno che manteneva la parola, non ho mai ridiscusso un contratto prima della scadenza naturale, non ho mai forzato la mano per andarmene. Magari prendendo decisioni diverse sarei arrivato prima più in alto, ma credo sia un concorso di colpe: sicuramente qualcuno ha sottovalutato quanto potessi valere…
[Video davvero cringe in cui il Vicenza batte il Napoli 2-1 con reti di Stefan Schwoch e Christian Maggio…]
La Serie A? Anche io mi son domandato tante volte perché non abbia mai avuto una reale occasione, se non quei 4 mesi a Venezia dopo aver vinto la Serie B nel 1998. Ogni volta che vincevo un campionato, le società mi chiamavano per comunicarmi che era arrivata una richiesta per me, che dovevo andare perché l’offerta era troppo buona per essere rifiutata. Io non ho mai messo i bastoni tra le ruote alle società perché non mi piaceva restare in una città da indesiderato.
Se una società ti vuol tenere non ti dice neanche che ci sono offerte per te: le rifiuta e basta. A me sarebbe piaciuto rimanere nelle città dove avevo vinto il campionato, specialmente a Napoli, e provare a salvarci insieme in Serie A. Ma dal momento in cui erano le società ad invitarmi a fare le valigie, ho sempre preferito togliere il disturbo ed andare a segnare altrove.
In carriera Schwoch ha avuto a che fare con tantissimi compagni di reparto e con tanti allenatori. Inevitabile domandargli con chi si sia trovato meglio in campo.
“Ho quasi sempre giocato con il 4-4-2, e spesso mi sono trovato a fianco attaccanti forti e di valore. Anche se le mie caratteristiche fisiche potrebbero far pensare a quelle di una seconda punta, io ho sempre fatto la punta centrale. Mi son sempre trovato bene con tutti i miei compagni di reparto, ma se devo fare dei nomi me ne vengono in mente tre: Michele Cossato, che ha vinto il campionato con me a Venezia, Roberto Stellone e Claudio Bellucci, anche loro protagonisti con me a Napoli.
In ogni caso, ci tengo a dire che quando incontri giocatori di un certo valore è facile andare d’accordo in campo: basta essere un po’ intelligenti.
Anche di allenatori ne ho visti tanti. Non ho mai litigato con nessuno e tutti mi hanno dato qualcosa.
Con Novellino ho un rapporto particolare, siamo rimasti amici anche fuori dal campo e spesso sono andato a trovarlo a casa sua ad Ascoli. Ma sono molto legato anche a Camolese, Gregucci, Mandorlini. Spero di aver lasciato anche io qualcosa a loro, sia in campo che fuori.”
Una breve carriera da dirigente
Appesi gli scarpini al chiodo, alla soglia dei 40 anni, Schwoch ha deciso di provare la carriera da dirigente al Vicenza. Ma la sua vita ha preso presto un’altra strada.
“Il mio intento era rimanere nel calcio come Direttore Sportivo, ma non c’è stata la possibilità. Ho fatto per alcuni anni il dirigente, ma non avevo alcun potere decisionale. Ritenevo che se avessi intrapreso una nuova avventura, avrei dovuto percorrerla per bene, come piaceva a me, e ho smesso.
Ho iniziato a fare il consulente finanziario per un noto istituto bancario, ruolo che mi piace moltissimo, e da qualche anno faccio il commentatore tecnico per le telecronache di DAZN.
In questo modo continuo a seguire il calcio da vicino, anche se senza l’adrenalina del calciatore. Devi essere sempre informato sulle squadre che vai a commentare, conoscere il modulo con cui giocano e le caratteristiche di giocatori e allenatori. E’ un bel modo per tenersi aggiornati sul calcio e osservarne i cambiamenti. Rispetto a quando giocavo non ci sono più bandiere o simboli ai quali affezionarsi.
Una delle squadre che mi ha colpito di più in questa mia nuova veste è il Sudtirol. Essendo nato a Bolzano, mi rendo bene conto del grande lavoro che la società ha fatto per ottenere i risultati che sta ottenendo, riuscendo ad investire con successo nel calcio in un territorio dove a farla da padroni sono gli sport invernali. Il calcio però sta crescendo molto in Alto Adige ed è anche merito del Sudtirol, che con i suoi successi sta fungendo da forza trainante per il calcio nella mia regione. Strutture all’avanguardia, mentalità vincente, un allenatore di categoria. Si meritano solo applausi.”
La dimensione umana di Stefan Schwoch supera quella del calciatore
Quello che ci resta di questa chiacchierata con Stefan Schwoch è la dimensione umana del personaggio. Un uomo che ha sempre anteposto i suoi valori e le sue idee all’ambizione di far carriera a tutti i costi e che ha sempre cercato di farsi voler bene, riuscendoci senza troppo sforzo. Alla fine, il segreto è davvero semplice.
“Non ho mai negato una foto o un autografo ad un tifoso. Mi son sempre fermato a far due chiacchiere con chi me le chiede. Il tifoso è la parte vera del calcio. Quella che rimane sempre a dispetto di società e calciatori, che son destinati a passare e fare le valigie. Essere accolto con entusiasmo nelle piazze dove ho giocato mi riempie d’orgoglio perché mi fa pensare di aver lasciato un bel ricordo. Il mio obiettivo, nel corso della mia lunga carriera, è sempre stato quello di farmi ricordare come una persona intelligente e un uomo leale ed onesto. I gol vengono dopo.”
Intervista a cura di Nicola Luperini, per la rubrica “La Tana del Lupo”. Pisano, content editor per Sottoporta – il calcio internazionale, cura per Football&Life gli argomenti più caldi della settimana sul calcio italiano, dalla Serie A alle serie minori. Ma non solo. Appassionato di Football Manager, racconta anche qui le sue avventure.
Immagine di copertina tratta da Pinterest.