Bolsonaro e la Seleção: ne parliamo con Davide Tuniz

Bolsonaro e la Seleção: ne parliamo con Davide Tuniz

Gennaio 30, 2023 0 Di Luca Sisto

Tempo dopo la sconfitta, mai riconosciuta, alle ultime presidenziali brasiliane da parte di Bolsonaro contro Lula, i suoi “seguaci” più violenti hanno assaltato il Parlamento brasiliano.

Un tentativo maldestro di golpe che ha ricordato da vicino i trumpisti a Capitol Hill. Non un caso, vista l’affinità elettiva fra Jair e Donald. Tutto ciò mentre l’ex presidente brasiliano era in Florida a godersi il tragicomico teatrino da lontano.

A mente fredda, abbiamo chiesto all’amico e collega di Sottoporta – Il Calcio Internazionale, Davide Tuniz, esperto di questioni calcistiche e socio-politiche brasiliane, alcune delucidazioni per meglio comprendere la situazione.

E, soprattutto, per capire il perché dei rapporti che molti calciatori (ritirati o in attività) di spicco, da Rivaldo a Neymar, hanno intrattenuto con Bolsonaro.

E cosa dobbiamo aspettarci dalla democrazia brasiliana, diversa da quella americana, ma comunque capace – per adesso – di reggere il colpo dopo le sanguinose dittature del ‘900, che pure utilizzavano la Seleção e i suoi eventuali successi a scopo politico e propagandistico.

Bolsonaro ha utilizzato elementi di spicco dello sport per mantenere un certo potere mediatico. Come mai tanti calciatori anche non provenienti da un ceto borghese, come Rivaldo, hanno fornito un appoggio pubblico così forte all’ex presidente?

“L’appoggio a Bolsonaro è molto tipico dei brasiliani che risiedono all’estero, o che hanno comunque un reddito elevato. Se parli con la stragrande maggioranza dei brasiliani che vivono fuori, otterrai delle risposte estremamente classiste, una visione del Brasile simile a quella che i cubani esuli hanno dell’isola. La società brasiliana soffre di classismo. C’è una netta differenza tra il ceto medio-alto e quelli più poveri. La divisione delle classi sociali si registra anche dal punto di vista urbano. Quando vivevo nelle favelas, ai miei amici non sarebbe mai venuto in mente di uscire in centro. L’incomunicabilità è reciproca: il povero è disprezzato e Lula viene visto come colui che dà appoggio ai poveri, che quindi “campano” sulle spalle delle persone oneste.

Come dicevamo, alla base dell’appoggio a Bolsonaro c’è quindi la visione classista della società. Uno degli slogan di Bolsonaro è “un bandito buono è un bandito morto”. Una sorta di distanza ancora maggiore dagli strati bassi della società. Non vale la pena investire in programmi sociali, dare una chance alle persone delle classi medio basse. L’unico linguaggio è quella repressione, ma è difficile capire questo aspetto per chi non vive in Brasile. La società è effettivamente impermeabile, ed è uno dei motivi principali per cui esiste questo grosso appoggio a Bolsonaro delle classi medio-alte, in cui di certo rientrano anche i calciatori.

Non solo, c’è tutto un discorso sulla religione, sulle chiese pentecostali. Oggi gli evangelici hanno superato i cattolici come appartenenza religiosa e, come sappiamo, molti calciatori fanno continuamente riferimento a quella Chiesa. Gli evangelici hanno un controllo politico capillare del territorio, e la deriva individualista del credo è ormai entrata a far parte stabilmente della società brasiliana. Grazie soprattutto a questo aspetto, Bolsonaro ha vinto le precedenti elezioni ed è riuscito a tener testa a Lula nelle ultime, pur con l’immagine pessima del suo precedente mandato”.

La dottrina di Bolsonaro è esattamente il messaggio della “teologia della prosperità”: sei gradito a Dio se hai successo. Il povero, che non ha successo personale, non è gradito a Dio. Questa è la grande alleanza fra la Chiesa pentecostale e l’ideologia che Bolsonaro ha portato al potere”.

L’ex presidente è stato più volte definito genocida per quanto accaduto in Amazzonia, soprattutto durante il periodo più duro della pandemia. 

“Nei mesi della pandemia e della disastrosa gestione della stessa in Amazzonia, il Brasile non è sprofondato in un genocidio solo grazie ai governatori regionali, che hanno favorito delle misure di contenimento avversi a Bolsonaro”.

Come ha fatto quindi a mantenere il suo potere?

“Bolsonaro ha finanziato e operato un’enorme strategia di discredito dei media contrari alle sue politiche. Ha invitato tutti a seguire i canali e i gruppi social (via Telegram e Whatsapp) che inneggiavano al Bolsonarismo e screditavano il suo avversario. Ha avuto l’appoggio di tutti i media legati alle chiese evangeliche. Media come le radio, che sono diffusissime nelle vaste zone rurali del Paese.

Tutte le critiche alle politiche negative che ha adottato, come in Amazzonia o come per l’assassinio di Marielle, sono state quindi bollate come fake news. Quante volte l’abbiamo sentito gridare al complotto contro Globo, definendolo “spazzatura”.

Purtroppo nel ceto medio si è introiettata l’idea del votare il meno peggio, dopo anni di discredito mediatico del PT di Lula ( Partido dos Trabalhadores , ovvero Partito dei Lavoratori, un partito di sinistra e con idee progressiste), che comunque è una forza sociale che lo rende sempre l’interlocutore di determinate politiche avverse al Bosonarismo e alla destra in generale”.

Il Brasile sembra attualmente diviso da una linea 50/50 tra Lula e i bolsonaristi. Quest’ultimo tentativo di rovesciare lo Stato democratico, che ricorda i trumpiani a Capitol Hill, sarà la pietra tombale del bolsonarismo? O gli anticorpi di cui tanto si parla non sono così forti in un Paese che ha più volte sperimentato la dittatura?

“Il peggio è passato. A guardare agli eventi a mente fredda, c’è ora la sensazione del “tanto rumore per nulla”. Certo, come a Capitol Hill il significato politico va al di là dell’episodio stesso. Adesso siamo alla resa dei conti, in cui si sta cercando di mettere da parte i politici e le forze statali colluse col bolsonarismo. Il responsabile della sicurezza, che era a Orlando a casa di Bolsonaro, si è già consegnato al ritorno in Brasile.

Tutta la schiera di influencer e imprenditori legati a Bolsonaro presente durante la manifestazione è stata individuata e incriminata. Molti si sono dichiarati pentiti del loro contributo al tentativo di golpe, anche perché si sono resi conto che, quando la polizia federale interviene, la situazione diventa piuttosto problematica. Ci vanno con la mano pesante”.

La maglia della Seleção non si tocca: finalmente una presa di posizione, forse tardiva, della federazione brasiliana sull’uso che ne è stato fatto a fini propagandistici.

Credi che le polemiche intorno all’uscita del Brasile dai Mondiali sarebbero state ugualmente accese se alla guida non ci fosse stato Tite, che non ha mai appoggiato Bolsonaro?

“A mio parere la risposta è no. Nel senso che, per come il calcio è vissuto in Brasile, chiunque ci fosse stato sulla panchina della nazionale, sarebbe stato considerato automaticamente un fallimento quello di non vincere i Mondiali. La polemica successiva a Brasile-Croazia, era stata impostata dai media sul fatto che non avesse convocato Gabigol. Una critica che, vista la rosa a disposizione, non ha senso. I brasiliani hanno una sovrastima del campionato locale. Tite ha comunque convocato Pedro, ben conscio del fatto che sarebbe stata una riserva. Il Brasile con la Croazia ha perso ai rigori una partita già vinta. Le responsabilità sono anche dell’allenatore, ovviamente. Ma una sua diversa appartenenza politica non avrebbe cambiato nulla”.

 

La redazione ringrazia Davide Tuniz per la disponibilità.

Immagine di copertina tratta da Jornal NH.