Usuriaga: il volo spezzato del Palomo

Usuriaga: il volo spezzato del Palomo

Febbraio 5, 2023 0 Di Juri Gobbini

L’11 febbraio 2004 alcuni amici erano seduti a giocare a carte in un angolo della Calle 52 nel barrio 12 de Octubre di Cali – uno dei quartieri più pericolosi della città colombiana – quando una moto sfrecciò, avvicinandosi a tutta velocità. Immediatamente, tutti capirono quello che sarebbe successo, anche se non fecero in tempo a reagire. Scene così, in Colombia, erano molto comuni. Malgrado la gente si sforzasse di vivere in maniera normale.

Dalla moto partirono una serie di spari, i quali centrarono l’indifeso obiettivo, ferendolo a morte. A giacere a terra, crivellato di colpi, c’era un ragazzone di colore con le treccine, il quale, malgrado una carriera da calciatore, non era mai riuscito ad abbandonare le proprie origini, tornando al 12 de Octubre, il suo barrio, ogni volta che poteva.

Nemmeno il trovarsi di fronte ad una leggenda aveva frenato il freddo lavoro dei sicari. Quel maledetto 11 febbraio 2004 Albeiro Usuriaga vide il proprio nome aggiungersi alla lunga lista – che già comprendeva Omar Cañas ed Andrés Escobar – di calciatori colombiani uccisi. Un elenco che si sarebbe ulteriormente ampliato negli anni con un altro nazionale come Elson Becerra, assassinato a Cartagena nel 2006.

Usuriaga era stato un personaggio molto importante nella Colombia che a fine anni Ottanta aveva iniziato a farsi largo nella mappa del calcio internazionale, come dimostrò la partecipazione dei Cafeteros ad Italia ’90 dopo 28 anni di assenza da una Coppa del Mondo. Una generazione guidata da Carlos Valderrama e René Higuita, con gente del calibro di Freddy Rincón, Andrés Escobar, Bernardo Redín e Leonel Álvarez a comporre una squadra destinata a rimanere nella memoria degli appassionati del calcio, non solo quello colombiano.

Quella Colombia ottenne il ticket per l’Italia solo dopo uno spareggio intercontinentale contro Israele. Nel quale proprio Usuriaga si elevò a protagonista, segnando il gol decisivo nella gara d’andata. Una rete di pregevole fattura, al termine di un’azione avviata da Valderrama e rifinita in gol da Usuriaga, dopo un delizioso scambio con Luis Alfonso Fajardo.

In quel momento Usuriaga già era per tutti il Palomo. Giocatore pieno di talento ma anche scapestrato, indisciplinato e soprattutto eccentrico. Anche nel look. Come quando decise di sfruttare un premio datogli da un’azienda di abbigliamento, vestendosi completamente di bianco come fosse una colomba, e guadagnandosi perciò il soprannome di Palomo. Paloma, in spagnolo, significa appunto colomba.

Usuriaga fra Atlético Nacional e Colombia: i rapporti difficili con Maturana

Usuriaga non era titolare nella Colombia di Francisco Maturana, ma aveva dimostrato di essere un jolly imprevedibile, con i suoi lampi di genio che potevano cambiare la partita in qualunque momento. Per questo la sua assenza dal Mondiale lasciò molto perplessi. Maturana mai entrò nei dettagli sul reale motivo di quella mancata convocazione, alludendo a un’esclusione per ragioni tecniche, anche se esistono versioni differenti.

Per qualcuno fu una punizione per l’ennesimo atto di indisciplina – in più di una occasione era scappato dal ritiro – mentre altri sostennero che Usuriaga aveva avuto problemi con qualche compagno di squadra. Tanto che i senatori del gruppo avevano imposto a Maturana l’esclusione dell’attaccante. Leggenda narra di una catena d’oro rubata a René Higuita, con Usuriaga come maggior sospettato del furto, anche se nemmeno in questo caso esistono conferme.

Classe 1966, Usuriaga era arrivato al fútbol per caso. Da ragazzino, vista la statura di 192 cm, giocava a basket nei campetti del barrio e sognava di diventare una stella della NBA. Fino a quando accompagnò un amico a un provino con l’America de Cali.

«¿Y ese negro por qué no juega?» chiese Edgar Mallarino, incuriosito da quell’insolito spettatore. L’ex centrocampista dell’America, quel giorno incaricato di giudicare gli aspiranti calciatori, gli procurò le scarpette e lo fece partecipare. Ci aveva visto giusto: il diamante era grezzo, ma le basi tecniche e fisiche c’erano eccome. Quel ragazzone sarebbe diventato un campione.

Tuttavia, per un giovane a cui mancavano i fondamentali tattici e che giocava in maniera istintiva, a Usuriaga risultò più complicato del previsto farsi largo in prima squadra e perciò venne mandato in prestito al Tolima e al Cucuta, prima che Maturana decidesse di portarlo con sé all’Atlético Nacional Medellin.

Quella era la squadra che avrebbe vinto la Coppa Libertadores e tenuto poi testa al Milan di Arrigo Sacchi per 120 minuti nella finale di Coppa Intercontinentale, ma senza l’apporto di Usuriaga difficilmente i colombiani sarebbero potuti arrivare tanto in alto. Palomo decise l’andata dei quarti di Libertadores contro i Millonarios, segnò un poker nella semifinale contro il Danubio vinta 6-0, e fu anche sua la rete del 2-0 nella finale di ritorno contro l’Olimpia Asunción, gol che spedì la sfida ai rigori, dove poi Higuita fece il resto, portando la Coppa Libertadores per la prima volta in Colombia.

Il 1989 fu un anno particolare per la Colombia. Da un lato i risultati sportivi, dall’altro il tanto sangue sparso dalla guerra dei cartelli della droga contro lo Stato, come il massacro de la Rochera, la strage aerea del Volo Avianca e l’uccisione del politico Luis Carlos Galán, in quel momento candidato alla presidenza della Nazione. In un’esplosione di violenza incontrollata, il campionato fu sospeso dopo l’omicidio dell’arbitro Alvaro Ortega. Approfittando della vetrina internazionale che il Mondiale e la Libertadores gli avevano concesso, molti giocatori vennero in Europa.

L’esperienza in Spagna: il primo colombiano a segnare nella Liga

Malgrado il Mondiale visto in tv, Usuriaga si guadagnò un ingaggio in Spagna, al Malaga. Un’esperienza infruttuosa – giocò appena 15 gare realizzando solo 4 reti – anche se lo inserì di diritto nella storia, visto che fu il primo colombiano a segnare nella Liga. Il richiamo della sua Cali e del barrio 12 de Octubre risultò però troppo forte, e Usuriaga tornò in patria, di nuovo all’America, dove si ritrovò con Maturana, rientrato pure lui in Colombia dopo la deludente esperienza di Valladolid.

Come se si trattasse di un Balotelli ante-litteram, Usuriaga venne etichettato come un personaggio che faceva di tutto per mettersi nei guai. Irresistibile con le donne, amante delle feste, stravagante nel look, non era raro vederlo gironzolare nei campi di allenamento a torso nudo e viaggiare a tutto gas a bordo di una jeep – malgrado non avesse la patente – con una decina di ragazzini seduti sul cassone e con musica sparata a decibel disumani dagli enormi altoparlanti.

Usuriaga odiava la disciplina e detestava i giornalisti, che secondo lui si immischiavano nella sua vita privata e lo avevano convertito in un brutto anatroccolo sempre pronto a combinare qualche casino. Per questo nel 1994, dopo la mancata convocazione al Mondiale, Usuriaga decise di andarsene di nuovo dalla Colombia, stavolta atterrando in Argentina. A chiamarlo era stato l’Independiente di Avellaneda, una grande che stava attraversando un periodo di transizione. Ricardo Bochini, il grande idolo, si era ritirato nel 1991 dopo una carriera ricca di magie e successi, lasciando un vuoto – emozionale e tecnico – apparentemente incolmabile. 

La tifoseria del Rojo era alla ricerca di un nuovo eroe da venerare, e il prescelto non poteva essere più diverso dal proprio predecessore. Mentre Bochini aveva una aspetto umile, un cuoio capelluto che si era diradato progressivamente, Usuriaga era invece uno spilungone con le treccine afro, gli orecchini vistosi, le mani pieni di anelli e braccialetti, con catenine d’oro che gli ornavano il petto.

Usuriaga visse in Argentina il miglior momento della propria carriera, divertendosi in campo e ottenendo in cambio l’affetto incondizionato della gente. Imprevedibile, poteva andarsene in velocità, caracollare e dribblare nello stretto, non disdegnando nemmeno colpi irriverenti come tocchetti, pallonetti liftati o rabone. Un repertorio di traversura praticamente illimitato.

Le vittorie con l’Independiente

All’inizio fu impiegato ala destra. In seguito, il tecnico Miguel Ángel Brindisi lo spostò al centro e gli concesse libertà di muoversi su tutto il fronte dell’attacco alla ricerca del punto in cui avrebbe causato più danni agli avversari. L’Independiente vinse il Torneo di Clausura del 1994. E il colombiano riuscì finalmente a realizzare un vecchio sogno, quello di finire nella copertina della prestigiosa rivista argentina El Grafico

Il binomio Usuriaga-Independiente funzionò anche nei mesi successivi, durante i quali arrivò una Supercoppa Sudamericana, a cui fece seguito una Recopa Sudamericana. Era l’Independiente di Gustavo López, Daniel Garnero e della meteora interista Sebastián Rambert, in quel momento considerato uno dei migliori talenti argentini.

Tuttavia, man mano che si metteva in evidenza sui campi, contemporaneamente Palomo si cacciava in qualche guaio ogni qualvolta tornava in Colombia. Nel 1995 fu arrestato per essere in possesso di una moto rubata. Successivamente, subì una condanna per aver aggredito un poliziotto. Mentre si trovava in libertà condizionata, conducendo ubriaco, distrusse la propria auto in un incidente stradale. Fortunatamente né lui né altri ebbero conseguenze. 

Rientrato nel giro della nazionale a suon di prestazioni, Usuriaga si rifiutò però di andare in tournée– sembrerebbe per un disaccordo sul rimborso spese – tanto che alcuni compagni mostrarono il loro dissenso. Leonel Alvarez arrivò a dire che “Usuriaga aveva del marcio in testa”. Nel 1997, poi, un’altra mazzata: la positività alla cocaina che portò con sé una squalifica di due anni. 

Usuriaga si rifugiò nel solito 12 de Octubre, assieme alla sua gente. Passando le giornate come quando era adolescente. Malgrado in molti gli consigliassero di andarsene da lì – in fin dei conti era un calciatore professionista –Usuriaga mai riuscì a staccarsi dal barrio, dove viveva il resto della sua famiglia e dove riceveva affetto e venerazione. «Qui nel barrio Albeiro pagava gli studi ad almeno 20-25 ragazzini, li vestiva e li manteneva», raccontò Duván Lenis Caicedo, suo amico d’infanzia, nel documentario La Jaula del Palomo.

Il rientro sui campi dopo la squalifica non poté essere più bizzarro. Usuriaga trovò un contratto con il General Paz Juniors. Un piccolo club di Cordoba che disputava la terza serie argentina. Il colombiano fu investito da un affetto incredibile, quello della comunità che circondava il club. Di nuovo amato dalla gente, trascinò la squadra a una storica promozione nel Nacional B. Un idolo, ormai anche a quelle latitudini. 

Si pensava che il Palomo fosse tornato. Ma Usuriaga non era più quello brillante ed esuberante visto con l’Independiente. La pausa, l’avanzare dell’età e una vita non proprio da atleta gli avevano appesantito le gambe. Perciò vivacchiò un paio di stagioni fra Argentina, Paraguay e Venezuela. Prima di ritornare al solito punto di partenza: il barrio 12 de Octubre.

La morte di Albeiro Usuriaga e un funerale molto particolare

In realtà, nel febbraio 2004 Usuriaga era a Cali solo di passaggio. Sarebbe dovuto andare in Giappone, da dove gli era stata recapitata una buona offerta. Un’ultima tappa nella sua tormentata carriera. Un volo verso l’oriente che il Palomo non riuscì però mai a spiccare. 

Inizialmente, si pensò che la sua morte fosse legata a un regolamento di conti, dovuto a qualche affare losco con la malavita. Oppure che Usuriaga fosse stato involontario testimone di un omicidio. In seguito, però, si scoprì che il giocatore aveva avuto una relazione amorosa con la donna di un noto sicario, il quale, accecato dalla gelosia, si era vendicato facendo uccidere il calciatore.

Il giorno del funerale, tutta Cali venne a salutarlo per l’ultima volta. Una montagna di gente celebrò il Palomo ballando, saltando e cantando, come se di una festa, e non di un funerale, si trattasse. Tanto che il sacerdote minacciò addirittura di interrompere la messa, ricordando alle persone che quella era una onoranza funebre e non un party.

La figura di Usuriaga col tempo non ha perso importanza. Anzi, il ricordo di Palomo è sempre vivo. Soprattutto a Cali e fra i tifosi dell’Independiente. Come se non se ne fosse mai andato. Nel 2009, quando ad Avellaneda bussò alle porte del club un giovane colombiano, in molti videro la reincarnazione di Usuriaga e iniziarono a sognare. Il ragazzino, di nome Carlos Albeiro Ríos Usuriaga, dichiarò poi di essere il figlio del defunto campione, e immediatamente venne aggregato alle giovanili dell’Independiente.

Malgrado la forte somiglianza fisica, sul campo però c’era poco che facesse ricordare il Palomo. Il ragazzino se ne tornò così in patria, e in seguito si scoprì che non si trattava del figlio del crack colombiano, bensì del nipote. Il giovane, che sognava di diventare anch’egli calciatore, andò incontro purtroppo a una fine simile a quella dello zio: venne ucciso nelle strade di Cali in circostanze analoghe a quelle del Palomo.

Anche dall’aldilà, però, Usuriaga continua a regalare emozioni. Nell’aprile 2019, dopo aver giocato il numero della sua tomba (3582), circa 1800 scommettitori di Cali si divisero il montepremi di 526.034 dollari spettanti ai vincitori del Chontico Millonario, una lotteria colombiana. L’ennesima travesura di un eroe poco ricordato nel mondo del calcio, ma che la sua gente non ha mai dimenticato.

 

Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo e del libro “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina tratta El Tiempo.