Mats Wilander: quando il destino salva l’uomo ma uccide il tennista

Mats Wilander: quando il destino salva l’uomo ma uccide il tennista

Febbraio 5, 2023 0 Di Nicola Luperini

Il 1988 fu l’anno perfetto, per Mats Wilander. Il tennista svedese, all’epoca 24enne, era nel pieno di una carriera splendente. 6 anni prima era diventato, all’età di 17 anni e 288 giorni, il più giovane ad aver mai vinto il Roland Garros, portando a casa il suo primo Slam grazie al 3-1 inflitto all’argentino Guillermo Vilas. Il record sarebbe stato infranto 7 anni dopo dal giovanissimo statunitense di origini taiwanesi Michael Chang, capace di sorprendere lo svedese Michael Edberg e il mondo intero, dopo aver fatto fuori nei turni precedenti future star come Pete Sampras e grandi campioni come Ivan Lendl.

Mats Wilander e la rivalità con Ivan Lendl

Proprio al nome di Lendl si sarebbe intrecciata con un legame strettissimo la storia della carriera di Mats Wilander. Il terribile svedesino avrebbe infatti incrociato il cecoslovacco per ben 5 volte in una finale Slam, l’ultima delle quali proprio in quell’incredibile 1988.

Wilander cominciò la stagione contando su una forma fisica straordinaria e su una sete di rivincita implacabile. L’anno precedente aveva perso 2 finali Slam, a Parigi e New York, entrambe proprio contro Lendl, che lo sconfisse pure nella finale dei  Masters di quell’anno, anch’essa giocata nella Grande Mela.

Lo svedese non fallì il primo appuntamento importante dell’anno, gli Australian Open. Wilander arrivò fino alla semifinale senza mai concedere un set, sconfiggendo poi Stefan Edberg e Pat Cash negli ultimi due atti del torneo e alzando il trofeo australiano per la terza volta in carriera, dopo i successi consecutivi tra 1983 e 1984. Wilander fu il primo tennista nella storia del gioco a vincere lo slam oceanico sia su erba che su cemento.

Il ciclone scandinavo continuò a soffiare impetuoso sui campi da tennis quell’anno. Fino ad abbattersi sulla terra rossa parigina. Lo spagnolo Emilio Sanchez. Il rampante Andre Agassi e il beniamino di casa Henri Leconte, nulla poterono contro la straordinaria verve di Wilander. Secondo slam della stagione e terzo Open di Francia in carriera.

Due successi che lo proiettarono al secondo posto della classifica ATP e che lo lanciarono verso Wimbledon come uno dei favoriti, pronto a vincere il torneo inglese per la prima volta in carriera. Cammino spezzato dal cecoslovacco Miloslav Mecir, soprannominato Il Gattone dall’indimenticabile Gianni Clerici, che lo fece fuori ai quarti di finale.

Il sogno di Grande Slam di Wilander si era infranto sull’erba londinese. Ma la sconfitta non spense la sua ambizione. E la fiamma che gli bruciava in petto e nelle braccia tornò a divampare sui campi dello US Open. Ivan Lendl arrivava a New York con le chiavi degli impianti in tasca, dall’alto delle sue tre vittorie filate nel torneo. Il cecoslovacco sedeva, inoltre, in vetta alla classifica ATP da 157 settimane filate. Vincere nuovamente a Flushing Meadows avrebbe significato per lui superare le 159 di Jimmy Connors, che in quel momento storico rappresentava un record.

La finale di New York, che vide opposti proprio Lendl e Wilander, sembrò preconizzare un passaggio di consegne. Wilander ebbe la meglio di Terminator in quasi 5 ore, buttandolo giù sia dal trono degli US Open che da quello della classifica mondiale dopo quasi tre anni di dominio incontrastato.

Un destino a due facce

Il mondo della racchetta sembrava ai piedi di Mats Wilander. Giovane, bello, fortissimo. Una carriera folgorante e vincente, con una sequela di trionfi che sembrava essere solo l’antipasto ad una lunga serie di vittorie che ancora doveva arrivare.

La stagione era stata lunga e provante, per Mats Wilander. Le sue gambe sembravano averne, seppur in piccola parte, risentito. Nel dicembre del 1988, poche settimane prima della partenza del nuovo Australian Open, Wilander aveva prenotato alcune sedute fisioterapiche per trattare una fastidiosa sindrome da stress tibiale mediale ed arrivare al meglio al torneo australiano. 

Lo svedese avrebbe dovuto curarsi in America, a New York, dove appena tre mesi prima aveva raggiunto la vetta più alta della sua vita sportiva.

Mats Wilander acquistò i biglietti aerei del volo Pan Am 103, che collegava Francoforte a New York effettuando uno scalo a Londra. Tuttavia, non salì mai su quell’aereo. 

Forse non aveva voglia di imbarcarsi in un viaggio intercontinentale a ridosso dell’Open di Australia, preferendo concentrarsi sugli allenamenti in campo e augurandosi di trovare la forma migliore in modi diversi.

Ma a New York non arrivò mai neanche chi, su quel Boeing, si era imbarcato davvero. L’aereo fu bersaglio di un attentato terroristico: la detonazione in volo di un esplosivo al plastico gli fece immediatamente perdere quota fino a farlo precipitare. Il bolide volante, ormai diventato a sua volta una bomba di lamiere fiammeggianti, si schiantò al suolo investendo la cittadina scozzese di Lockerbie, polverizzando alcune abitazioni e uccidendone gli abitanti.

Nessuna persona che aveva salito le scalette di quell’aereo sopravvisse. Tutti i 259 occupanti dell’aeromobile persero la vita in quel maledetto 21 dicembre 1988.

I resti della fusoliera del volo Pan Am 103 (foto tratta da Wikipedia)

Wilander si ritrovò, nel giro di un attimo, dall’essere il più forte giocatore di tennis del mondo ad essere un sopravvissuto. Un miracolato baciato dal destino, che gli aveva impedito di salire su quella bomba ad orologeria che lo avrebbe ucciso insieme a tutti gli altri passeggeri.

Da quel momento, tutto per Wilander finì inesorabilmente per cambiare. La sensazione di essere un “lucky survivor” non smetterà mai più di accompagnarlo, finendo per influire sulla sua carriera tennistica. Il 1989 finì quindi per trasformarsi. Quello che sembrava essere l’anno dell’inevitabile consacrazione prese le sembianze di una stagione disastrosa. Il nativo di Vaxjo non raggiungerà neanche una semifinale slam, perdendo non solo la testa della classifica ATP, ma persino la Top 10, scivolando al 12° posto della graduatoria. Il 1990 non andò meglio, soprattutto fuori dal campo: al padre di Mats fu diagnosticato un cancro al sistema linfatico, che finì per portarselo via nel maggio dello stesso anno.

Il destino di Wilander si era ribaltato nel giro di pochissimo tempo. Sembrava che gli eventi avessero deciso di gettarlo nella polvere con la stessa velocità alla quale lo svedese aveva bruciato le tappe, diventando uno degli sportivi migliori del pianeta nel giro di pochissimi anni di carriera.

Dopo i tragici eventi di Lockerbie e gli strascichi psicologici che Wilander aveva dovuto subire, lo svedese vinse un solo torneo. Alzò la coppa del vincitore in un torneo minore, l’Open brasiliano di Ipatarica, nel novembre del 1990. Fu l’ultimo a poterlo fare: dall’anno dopo, il torneo sarebbe uscito dal calendario della stagione tennistica.

Dando un’occhiata più attenta alle date della vita di Mats Wilander, salta all’occhio quella del suo ultimo successo importante: la finale degli US Open del 1988, infatti, si giocò l’11 settembre. Una data che, 13 anni dopo, sarebbe diventata sinonimo della strage dei cieli più famigerata di sempre.

Un attentato terroristico, proprio come quello a cui Wilander scampò per una combinazione di eventi. 

Wilander ha saputo ricostruire la sua vita raccogliendo i cocci di quello che si era spezzato dentro di lui. Dopo aver abbandonato il tennis poco più che trentenne, è diventato uno dei volti più apprezzati di Eurosport, emittente per la quale commenta con competenza e pulizia le prove dello Slam.

Uno sportivo interrotto che ha saputo ripartire e completarsi come uomo. 

 

Testo a cura di Nicola Luperini, per la rubrica “La Tana del Lupo” / altri sport. Pisano, content editor per Sottoporta – il calcio internazionale, cura per Football&Life gli argomenti più caldi della settimana sul calcio italiano, dalla Serie A al calcio minors.

Immagine di copertina tratta da Tennis Majors.