Hasta siempre, Morro García

Hasta siempre, Morro García

Febbraio 6, 2023 0 Di Luca Sisto

Da bambino, Santiago García lo chiamavano “El Negro”, gli amici più grandi della “bandita”, la combriccola di scalmanati del barrio Colón, nel Complejo Habitacional America, un casermone di case popolari tirato su nell’oblio dello Stato e dell’Onnipotente.

Uno di quei posti in Sudamerica, e nello specifico a Montevideo, dove puoi scegliere due strade, negli angoli stretti e bui delle callecitas. Una porta al pallone, al potrero. L’altra ad una vita di gang, pistole e morte certa.

Alla nonna materna però, il fatto che l’apodo riflettesse, come spesso da quelle parti, il colore della pelle, non piaceva. Cominciò a chiamarlo in modi diversi fino a che, a “Morro”, Santiago García si voltò e le sorrise con quel suo faccione tondeggiante.

“Al Godoy volevano sempre che perdessi due kg”“El Morro está gordito, El Morro non corre”  – dicevano. Ma io sono così, sono rotondo, devo alimentare il mio culone! Se non mangio non ho energie. Sono il capocannoniere storico del club ma a qualcuno forse non sta bene che sia un uruguayo, per di più nero e grasso”.

Nel gennaio 2014, il suo Nacional fece visita al Peñarol per un derby che di “amistoso de verano” non aveva nulla.

A dieci minuti dalla fine, sul punteggio di 1-0 per gli ospiti, i giocatori in campo persero la testa. Il più attivo fu proprio lui, Morro García. Finì male. Due giorni in gattabuia, tre mesi di squalifica e sei mesi senza poter lasciare il Paese.

Insieme a lui, in carcere, finirono altri otto giocatori dei due club. Una rissa degna della Royal Rumble, e fortuna che si trattava di un’amichevole.

“Per giocare in Libertadores in trasferta dovevo pagare una multa”, ricorda, “il club in carcere ci mandò delle racchette da ping pong, una pallina e del cibo. Fino al processo (per direttissima) per due giorni le autorità si erano dimenticate di noi. Da una parte stavamo noi del Nacional, dall’altra quelli del Peñarol. Per fortuna nessuno ebbe la brillante idea di vendicarsi”.

Gli ultimi giorni del Morro García

Il Godoy l’aveva messo temporaneamente fuori squadra. Troppi guai nella sua vita? La squalifica per droga, l’accusa di guida in stato di ebbrezza. El Morro non resse, nonostante l’amore della nonna, della madre che lavorava tutto il giorno, della moglie e della figlia, El Morro García non ha mai fatto pace con il suo animo irrequieto.

Il 4 febbraio 2021, in isolamento per il covid, decise di porre fine al suo viaggio sulla Terra. Aveva compiuto 30 anni pochi mesi prima, ma la depressione non gli lasciò scampo.

Al suo funerale erano presenti tanti ex compagni del Nacional e una rappresentanza del Godoy Cruz, l’ultima squadra per la quale aveva deciso di destreggiare nella sedici metri avversaria il suo corpaccione: immarcabile, letale sia spalle alla porta sia quando metteva in moto a pieno giri i quadricipiti e i polpacci per puntare la porta, come un toro scatenato. In campo, come nella vita. Il Nacional chiese celebrarlo con una cerimonia nell’Estadio Gran Parque Central, ma le autorità rifiutarono per i protocolli anti-covid, al quale prima di togliersi la vita il ragazzo era risultato positivo.

Il feretro percorse tutta la strada che costeggia la sede del “Bolso”, dove centinaia di tifosi erano lì ad attenderne l’ultimo passaggio.

Tifosi del Nacional circondano il feretro del Morro durante il corteo funebre (immagine tratta da Wikimedia Commons)

Due giorni più tardi, El Matador Cavani realizzò un gol con la maglia dello United, festeggiandolo alla maniera del Morro. Una dedica speciale dal connazionale di Salto. Altri uruguayani, come Suarez, fecero lo stesso. A volte, l’amore della gente non è abbastanza.

Hasta siempre Morro García.

 

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.