Football Manager, ep.3: dall’Algeria all’Al-Faisaly in Arabia Saudita
Febbraio 10, 2023 0 Di Nicola LuperiniL’Avvocato è stato di parola. Dal suo ufficio napoletano ha risolto tutti i problemi con l’Hotel Latifi nel tempo necessario a me per rientrare in Italia da Tirana. La curiosità di capire dove mi avrebbe condotto la mia nuova avventura, che Alessandro sembrava aver già definito, mi mangiava.
Così vado subito da lui, con le valigie ancora in mano e un sacchettino con dentro una calamita raffigurante la piazza centrale di Gramshi. Magari, l’Avvocato l’avrebbe attaccata al frigo, in cucina.
Neanche il tempo di entrare nel suo studio che già venni raggiunto dalla sua voce e una domanda: “Sei pronto ad andare in Africa?”. Stavo per dire “se mi riposassi un po’ non mi farebbe schifo”, ma non riesco neanche a cominciare la frase. Alessandro aveva scambiato la prima “S” per un Sì, e già mi aveva preso sottobraccio per uscire in direzione aeroporto e spiegarmi tutto.
Next stop: Algeria
Tlemcen è quasi una città di confine. Più vicina al Marocco che ad Algeri, ai piedi di imponenti montagne, i suoi colorati mosaici, i profumi dell’olio e dei vini, le imponenti moschee raccontano l’unione tra cultura islamica, andalusa e francese. Un luogo, quindi, di cultura. La missione sarà farlo diventare un luogo di calcio.
La squadra che mi è stata messa a disposizione per la stagione 2035/2036 è innegabilmente di qualità. Ci sono giovani interessanti da far crescere e subito, durante la prima giornata, mi accorgo che possiamo lavorare sul calcio offensivo e arioso che piace a me. L’esordio è buono, un terzo posto che mi fa coltivare grandi ambizioni per l’anno successivo. Il WA Tlemcen non era mai arrivato così in alto: solo nel 2029 erano riusciti ad arrivare quarti.
L’asticella viene quindi piazzata ancora più su, ma il 2037 è frustrante. La squadra non sembra saper reggere il triplice impegno campionato-Coppa continentale-Champions League Araba e ne paga le conseguenze in classifica. Finiamo con un quinto posto senza infamia né lode che mi costringe a ripensare qualcosa per l’anno successivo. Che sarà quella buono.
Nel 2037/2038 il Tlemcen riesce finalmente a mettersi alle spalle le squadre più forti d’Algeria, ASO Chlef ed Esperance Setif in primis, e diventare campione. Due giovani ragazzi, in mezzo a tutti gli altri protagonisti, hanno tirato avanti il carro per tutta la stagione e si sono erti a protagonisti. Aliou Ba, trequartista centrale senegalese, classe 2016, ha illuminato la strada con 20 gol e 17 assist. Molti dei suoi passaggi illuminanti sono finiti sui piedi e sulla testa di Aziz Bruce, 27 anni, centravanti del Ghana autore di 32 gol e ovviamente capocannoniere del torneo.
Dopo una notte di festeggiamenti e bagordi per le strade di Tlemcen, alla luce dorata di una splendida luna piena, è già tempo di salutare tutti e fare le valigie.
Andorra
Dai massicci montuosi e rigogliosi del Temlcen, il mio nuovo aereo mi porta alle pendici dei Pirenei. Atterro a Barcellona, un rapido passaggio alla Barceloneta dove Alessandro mi viene incontro in costume, con un drink in mano e il contratto da firmare. Poi lui rimane lì a godersi il sole, mentre io prendo un auto a noleggio e mi dirigo verso Andorra.
Dopo 3 ore di macchina, passo il confine a San Julià de Loria e punto verso Engordany.
La vista dall’alto della città è mozzafiato. Incastonata tra le montagne come un nido d’aquila tra gli alberi, Escaldes-Engordany mi accoglie tra le sue braccia fredde ma ribollenti d’acqua termale.
Avrei voglia di buttarmi subito nelle sorgenti benefiche ma non posso. Devo pensare al calcio e all’Engordany.
Una squadra passata alla storia di Andorra nel 2018, quando dopo un secondo posto in campionato riuscì ad eliminare i sammarinesi del Folgore, diventando la prima squadra andorrana a superare un turno di Champions League. Sembrava l’inizio di una storia splendida, ma la premessa non è stata seguita da un racconto all’altezza: a 20 anni da quel giorno, i bianconeri ancora non hanno vinto neanche un titolo nazionale.
Sono qui per cambiare la storia.
Il primo anno serve, come quasi sempre nella mia carriera, a prendere le misure con il calcio locale e capire i rapporti di forza tra le squadre. Santa Coloma e San Julià sono le squadre da battere e io mi accontento di navigare in acque tranquille, ampiamente sopra la zona retrocessione, per studiarle da lontano e immaginarmi il modo migliore per batterle.
Trovo il campionato andorrano per molti versi simile a quello albanese. Tanto agonismo, nessun risparmio di energie e molta attenzione alla fase difensiva. Dopo una lunga serie di consulti con Coach Vitale, decidiamo di adottare uno stile di gioco adatto alle esigenze del campionato. La parola d’ordine è equilibrio, ma impostato in modo tale da essere letale ogni volta che ci avviciniamo alla porta avversaria.
L’Engordany finisce per dominare il campionato, chiudendo con ben 9 lunghezze di vantaggio sul Santa Coloma, una potenza che fino a pochi mesi fa ci limitavamo a guardare da lontano.
Dopo 20 anni di tentativi, inoltre, riesco finalmente a vincere una Coppa nazionale. La finale tra l’altro è molto curiosa. A contendermi il trofeo, infatti, c’è l’Engordany B: la mia squadra riserve.
Non per questo mi concedono una vittoria facile: la partita finisce 4-3 per noi, al termine di un emozionante scontro a viso aperto. Double completato.
I festeggiamenti andorrani sono decisamente diversi da quelli che ho vissuto in Algeria. Niente danze folli al chiaro di luna, nessun pullman scoperto per le via di una città in delirio. I tifosi mi vengono a salutare in Avinguda Carlemany, chiamata così in onore di Carlo Magno, che secondo la leggenda avrebbe donato l’indipendenza ad Andorra.
Magari non avrò compiuto eroiche gesta da tramandare ai figli o da leggere nei libri di storia e di leggende popolari, ma ad Engordany qualcosina ho lasciato pure io credo, no?
Direzione Angola
La mia avventura da allenatore, però non si ferma qui. I condottieri hanno sempre sete di avventura, e allora via di nuovo, ancora alla volta dell’Africa.
In Angola prendo prima possesso della panchina del Real do M’buco (potevo mai rifiutare l’incarico da una squadra con un nome del genere?) in Seconda Divisione, conducendola alla promozione al primo colpo e a qualche salvezza, senza mai riuscire a fare il salto di qualità necessario per competere con le squadre più forti. Poi, un giorno, il telefono squilla: mi vogliono al Bravos do Maquis, sempre in Angola. Evidentemente sono rimasti colpiti dalle clamorose salvezze raggiunte allo M’buco, e mi propongono di andare da loro per provare a vincere il campionato. Non posso rifiutare, è il mio obiettivo. Mi trasferisco quindi a Luena, la città dei Bravos. Qui 40 anni prima, nel 2002, fu ucciso dalle truppe governative il guerrigliero Jonas Savimbi, fondatore di uno dei più importanti partiti politici del paese, l’UNITA, attivissimo durante la guerra civile angolana.
E’ un luogo di una certa rilevanza sociale per la storia dell’Angola.
A Luena trovo le condizioni adatte per vincere il campionato, e il successo arriva presto. La stagione 2044-45, infatti, al termine di una lungo testa a testa contro il 1° De Agosto, i miei biancoverdi riescono a laurearsi Campioni di Angola, alzando poche settimane più tardi anche la Confederations Cup Africana, battendo con un 3-2 complessivo i marocchini del Wydad Casablanca.
Sono successi che dovrebbero spianarmi la via per il calcio europeo che conta, non pensate anche voi? E invece no.
Vacanze ai Caraibi
Gli anni successivi li passo tra Anguilla e Antigua & Barbuda, dove vinco i due campionati nazionali.
Ad Anguilla vinco nel 2048, portando al successo l’Uprising FC. La squadra gioca le sue partite casalinghe a The Valley, la città più popolosa dell’arcipelago: neanche 4mila abitanti.
Poi è la volta di Antigua e Barbuda, dove giocando in maniera super offensiva è fin troppo facile portare al successo il Bolans FC, interrompendo un dominio incontrastato del Grenades, che vinceva il campionato da tempo immemore.
Siamo nel 2049, e nel solito anno in cui Denis Villeneuve ambienta il seguito del leggendario Blade Runner io ricomincio il mio giro del mondo.
Gli amanti delle isole tropicali e dei Long Island sulla spiaggia sarebbero forse rimasti a godersi le Antille, ma io ho una missione da compiere e accetto una chiamata dall‘Arabia Saudita.
In Arabia Saudita con l’Al-Faisaly
La sfida è far diventare l’Al-Faisaly, una squadra in lotta per la salvezza nella Premier Division araba, una squadra in grado di competere con le superpotenze del golfo come l’Al-Ittihad e l’Al-Hilal. In questa linea temporale, l’Al-Nassr non ha mai potuto godere delle prestazioni di CR7 e annaspa sulla linea di galleggiamento tra il vivere e il morire, retrocedendo spesso e volentieri.
Al primo anno la retrocessione viene evitata grazie ad investimenti invernali che ci consentono di pescare qualche sudamericano interessante, lasciandoci le sabbie mobili alle spalle.
Dall’anno successivo si comincia a fare sul serio: nel 2050/51 ci giochiamo il titolo fino all’ultima giornata, perdendo lo scontro diretto proprio all’atto finale del campionato e vedendo scappare l’Al-Ittihad, che ci alza la coppa dei vincitori in faccia.
Forse non eravamo ancora pronti per vincere, ma non ci scorderemo di questo momento. Ci servirà da combustibile per un incendio che piano piano, inevitabilmente, dovrà divampare. Negli anni successivi mettiamo le basi per quello che dovrà essere, facendo l’altalena tra il podio e la metà della classifica: settimo posto nel 2052, terzo nel 2053. sesto nel 2054.
Ma il 2055 sarà diverso. Guidati dalle 15 reti del centravanti estone Robi Toome e dagli assist dell’argentino Lucas Espindola ci esibiamo in un girone di andata praticamente perfetto: 14 vittorie e una sola sconfitta, Al-Hilal distante 9 punti e Al-Ittihad addirittura 14. I ragazzi forse credono di aver già il titolo in tasca, e forse un po’ anche io. Nel girone di ritorno la musica cambia e iniziamo a perdere terreno.
La paura ha preso il posto della sicumera e temiamo di non riuscire più a vincerlo, questo maledetto campionato. Il vantaggio accumulato ci permette di reggere il colpo e arriviamo allo scontro diretto contro l’Al-Ittihad a due giornate dalla fine. Loro hanno una partita in meno e ci separano 5 punti: se perdessimo, arriverebbero due punti sotto con la possibilità di sopravanzarci all’ultima giornata. Si decide tutto in una singola partita.
Il timore di fallire è tanto, ma riusciamo a metterlo da parte. Doppietta di Majrashi, gol di Espindola e vinciamo 3-1, alzando finalmente il trofeo al cielo. Stavolta siamo noi ad esultare in faccia all’Al-Ittihad, che vinceva il campionato da 10 anni di fila, vendicando quel giorno di 4 anni prima e permettendo alla ferita di cicatrizzarsi.
A stagione finita, spicca la stagione sensazionale del centrocampista centrale saudita Mohammed Al-Abbad, 16 gol e 9 assist, 8 volte premiato come migliore in campo.
Ad Harmah, orgogliosa città del Sudair, è tempo di festeggiare i loro eroi in maglia color del vino di Borgogna.
Per me, invece, è il momento di preparare nuovamente i bagagli. Come diceva Jon Bon Jovi, è il giorno del giudizio a Santa Fe…
Testo a cura di Nicola Luperini, per la rubrica “La Tana del Lupo”. Pisano, content editor per Sottoporta – il calcio internazionale, cura per Football&Life gli argomenti più caldi della settimana sul calcio italiano, dalla Serie A alle serie minori. Ma non solo. Appassionato di Football Manager, racconta anche qui le sue avventure.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia, che raffigura lo stadio dell’Al-Faisaly, Al Majma’ah Sports City.