Mario Zurlini, colpevole di essere libero

Mario Zurlini, colpevole di essere libero

Febbraio 19, 2023 0 Di Alfonso Esposito

Contro di lui hanno congiurato il tempo e la cattiva memoria. Mario Zurlini, che ha lasciato la scena di questo mondo giovedì scorso, ha legato la sua storia calcistica al Napoli praticamente per un decennio, dal ’64 al ’74. Ha fatto parte del club contribuendo ad issarlo nuovamente dal purgatorio della B al paradiso della massima divisione. Ha militato con leggende del club come Altafini e Sivori, Cané e Sormani, tenendo a battesimo, fra gli altri, giovani virgulti come Montefusco, Improta ed Abbondanza. Con Dino Panzanato ha composto una coppia inossidabile di difensori di rarissima solidità ed efficacia. Eppure, su di lui la cronistoria del Napoli è a dir poco avara di elogi.

Un Libero vecchio stampo

Forse perché interpretava un ruolo, quello di libero, che da troppo tempo ormai è il simbolo di una visione riduttiva del football. Una sorta di “spazzino dell’area di rigore” buono solo a ramazzare in caso di pericolo e poco o nulla propenso a costruire. Un baluardo difensivo pressoché statico, se non immobile. Nulla di più falso. Perché a scavare bene nei meandri della memoria, si scopre altro. Acquistato dal Parma, ben presto diviene una delle colonne del Napoli. L’intesa con Panzanato è di quelle che fanno dormire sonni tranquilli agli allenatori. 

Libero, si è detto. Su di lui quest’etichetta pesa come un marchio d’infamia. Forse anche perché, del tutto involontariamente, ha contribuito un’affermazione di Luis Vinicio, che, illustrando la genesi del suo Napoli a zona, chiarì che essa vide la luce solo nella stagione ’74-’75 – e non l’anno precedente, come molti, erroneamente, ancora credono – e, inoltre, spiegò che, infortunio di Zurlini a parte, a lui serviva come perno della retroguardia un altro tipo di interprete e scelse Burgnich dell’Inter, osservando che con Zurlini non avrebbe mai potuto disporre la difesa in linea.

Vinicio gli preferì Burgnich e Mario Zurlini chiuse al Matera

Non era una bocciatura. Ma solo la presa d’atto che serviva un elemento più funzionale al rivoluzionario progetto tattico che ‘O Lione covava da tempo nel suo fiero animo di condottiero innovatore.

Ciononostante, le parole del tecnico suonarono come una sorta di condanna definitiva per Zurlini. Un ostracismo per manifesta incapacità tecnica, mentre si trattava solo di una scelta di natura tattica. Punto. Scarso non era il buon Mario, se non altro perché nel listone dei convocabili per il mondiale messicano del 1970 figura anche il suo nome, per quanto il c.t. Ferruccio Valcareggi, alla fine, gli preferisca Pierluigi Cera – reiventato battitore libero da Scopigno, al Cagliari, per rimediare all’infortunio di Tomasini – ed il fiorentino Ugo Ferrante.

Napoli 1971-72: Mario Zurlini è il primo da destra in piedi (immagine tratta da wikipedia)

Il sospetto che, col tempo, abbia pagato dazio a svariati luoghi comuni diventa una certezza se solo si ha cura di rammentare che, nel marzo del 1971, quando il Napoli esce ridimensionato dal Comunale di Torino per 4-1 ad opera della Juve, è lui che, involatosi in attacco, chiude una triangolazione al limite dell’area bianconera e segna il punto della bandiera con un diagonale rasoterra che lascia sul posto l’estremo juventino Tancredi, costretto poco dopo ad un’uscita a valanga per fermare un’altra incursione del numero 4 azzurro. Già, perché quella che sembra l’icona polverosa di un calcio retrogrado e sorpassato vestiva, però, innovativamente il 4, non il 6. 

Riposa in pace, Mario. E dimentica l’oltraggio ingeneroso della cattiva memoria, tu che in una foto della tua ultima annata all’ombra del Vesuvio compari con l’ombra di un baffo appena accennato, educato e misurato, come te. Che da uomo sensibile scegliesti di non scendere in campo nell’atto conclusivo del torneo cadetto ’64-’65, quando il Napoli, nella tua città, festeggiò la promozione in A proprio mentre il Parma retrocedeva in C e, da signore, preferisti passare la mano e non infierire a casa tua. Perché il successo, in fondo, non è proprio tutto nel calcio.

 

Testo di: Alfonso Esposito. A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, edito da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina: Official Twitter Account SSC Napoli.