Christian Atsu e l’eterna lotta fra destino e libero arbitrio

Christian Atsu e l’eterna lotta fra destino e libero arbitrio

Febbraio 20, 2023 0 Di Luca Sisto

Fu Lucrezio, nel De Rerum Naturaa riportare alla luce per i latini la filosofia epicurea sul libero arbitrio e sul caso, il destino, la fortuna. Che i latini identificavano appunto annotando, accanto alla parola res, secunda (per la fortuna) e adversa per la sfortuna.

Epicuro, greco di Samo, credeva nel libero arbitrio. Ma giustificava il caso e il conseguente “caos” che ne poteva derivare, attraverso la teoria del clinamenun’impercettibile inclinazione degli atomi che muovevano il mondo. Una deviazione dal flusso naturale, vettorialmente disposto dall’alto verso il basso. Appunto, una deviazione minima, non visibile ad occhio nudo. Pur nella sua distanza dalla fisica moderna, Epicuro cercava di dirci qualcosa: che tutte le nostre scelte, per quanto orientate secondo un flusso che non sembra subire, o causare, deviazioni dal naturale svolgersi delle cose, sono comunque soggette a scontrarsi con altre particelle, atomi, o flussi vettoriali, se vogliamo riportare la filosofia della fisica epicurea ai giorni nostri.

Un terremoto delle proporzioni di quello che ha colpito la Turchia e la Siria il 6 febbraio, è un evento probabile ma non prevedibile. Come la nostra stessa penisola può testimoniare più volte, purtroppo, l’unica salvezza è nella cura degli edifici anti-sismici. A prescindere dalla portata estrema del sisma, appare evidente come né in Turchia, né tantomeno in Siria, la stragrande maggioranza degli edifici fosse a norma. Il bilancio delle vittime si aggrava di ora in ora. A due settimane dal sisma il numero complessivo di morti accertati è di oltre 46mila, con un contingente incalcolabile di danni e di sfollati.

La nostra piattaforma, nella stragrande maggioranza delle pubblicazioni, utilizza il calcio come pretesto per raccontare altro. Certo, il calcio non ci fa schifo: capita sovente che un racconto semplicemente sportivo si prenda la scena. Che sia una bella storia di sport; il profilo di un calciatore che si è particolarmente distinto in una data circostanza; un’intervista a un calciatore italiano che si è rifatto una vita e una carriera all’estero.

Va da sé che, come tutti, siamo rimasti profondamente colpiti e addolorati dagli eventi in Anatolia. Atterriti dal rincorrersi delle notizie che vedevano, per ciò che generalmente ci riguarda più da vicino, coinvolti calciatori e addetti ai lavori dei club turchi. Come il caso dell’Hatayspor e di Christian Atsu, una storia senza lieto fine, nonostante le speculazioni delle prime ore sul ritrovamento in buone condizioni del ragazzo.

Tutte informazioni dalle quali ci siamo però tenuti alla larga in quanto non ufficiali. Col passare delle ore, sono emersi diversi dettagli sugli ultimi giorni di Christian Atsu, rilanciati da più portali. La storia ormai la conoscete tutti: l’ex nazionale ghanese aveva manifestato la volontà di andare via dal club per trovare spazio altrove. Nell’ultimo turno giocato contro il Kasimpasa, un giorno prima del terremoto, è entrato all’82 al posto di Aabid e, al 97′, ha trovato un’insperata rete con un calcio di punizione su cui il giovane portiere turco (nato a Duisburg, Germania), Erdem Canpolat non è apparso impeccabile. Il tiro di Atsu era diretto nello specchio della porta non coperto dalla barriera, la palla è rimbalzata a pochi centimetri dalle braccia protese di Canpolat, che non è riuscito a spingerla fuori.

La rete sembra abbia fatto cambiare parzialmente idea ad Atsu, che dopo un colloquio con l’allenatore Volkan, un tempo ex successore del mitico Rustu fra i pali della nazionale, aveva deciso di annullare il volo per la Francia del giorno successivo. Non è tutto: pare che Atsu fosse rientrato nel suo appartamento, poi crollato, solo mezz’ora prima del terremoto, dopo una serata con gli amici.

Nell’eterna lotta fra destino e libero arbitrio, tutte le azioni e le scelte di Christian Atsu l’hanno portato incontro ad una morte che non poteva prevedere. Comprendiamo però lo sforzo, portato avanti da chi segue la passione per il racconto sportivo, di tentare di dare un nome, un volto, almeno ad alcune delle persone scomparse a causa del sisma. Non abbiamo però condiviso la solita caccia alla notizia del calciatore vittima degli eventi. Una narrazione figlia dei social network e della maggiore esposizione mediatica di chi può viralizzare più facilmente i contenuti.

Nel frattempo, l’Hatayspor si è comprensibilmente ritirato dal campionato e non verrà retrocesso.

Fra gli oltre 45mila morti della serie di terremoti che ha devastato l’Anatolia, sono molte le storie che i media hanno scelto consapevolmente di far risaltare. Un’intera squadra di pallavolo cipriota, composta da bambini di 12-13 anni, è scomparsa sotto le macerie dell’hotel che li ospitava insieme agli adulti che l’accompagnavano.

Una famiglia siriana, scampata al terremoto, ha trovato riparo in una casupola di fortuna fatta di terra, fango e pietre. Per scaldarsi ha utilizzato una stufa, ma un corto circuito ha incendiato casa. Sono morti tutti, sembra un film della serie di Final Destination.

La foto simbolo del terremoto resterà probabilmente il padre che tiene la mano della figlia morta, ancora intrappolata fra le macerie.

Se ne possono contare decine di storie così. Pur riflettendoci a lungo, non troveremo mai parole sufficientemente convincenti per trovare il perché di tutto questo. Sono millenni che gli esseri umani riflettono su destino e libero arbitrio.

E non so neppure rispondere al perché la nostra categoria di “narratori” ed editori si sia così morbosamente attaccata alla drammatica vicenda di Christian Atsu. Quanti di coloro che ne hanno scritto l’hanno visto giocare in nazionale? Parliamo di un calciatore da oltre 60 presenze col Ghana. Quanti lo ricordavano davvero al fianco di un giovane Lukaku in una foto negli spogliatoi di Stamford Bridge? Quanti potevano dire di aver visto in diretta, o quantomeno negli highlights del giorno successivo, la punizione che, con un effetto farfalla imprevedibile, l’ha portato a prendere tutta una serie di decisioni, le quali hanno fatto sì che non avrebbe mai più potuto riabbracciare sua moglie, i suoi figli, gli amici stretti.

Chissà se, come gli ha augurato chi come l’attaccante interista lo conosceva, Christian Atsu si sia ricongiunto al Dio in cui fortemente credeva. Lui, come tanti altri che hanno atteso per giorni o che tutt’ora aspettano di essere tirati fuori dai resti delle case che avrebbero dovuto proteggerli, e che hanno finito per crollare sui loro capi indifesi, seppellendoli.

Non ho risposte per tutto questo. Ma se storie come la sua sono servite a dare un volto e un nome alla cifra di un’immane tragedia, allora comprendo. Comprendo la partecipazione al lutto, che è collettivo. Mentre la sofferenza è sempre personale, individuale, e poco incline a sposarsi con il dramma altrui.

E quella, non la diano a bere per un pugno di clic, resta alle famiglie dei caduti.

 

Immagine di copertina tratta da Euronews.