Amilcar Barbuy: O Generalissimo

Amilcar Barbuy: O Generalissimo

Febbraio 28, 2023 0 Di Nicola Luperini

Con la sua presenza numero 280 in Serie A, un cameo di pochi minuti nella vittoria per 2-0 contro l’Atalanta, Zlatan Ibrahimovic è tornato protagonista del nostro calcio dopo una lunga assenza per infortunio. Come tutte le cose che riguardano la leggenda svedese, anche questa apparizione non arriva per caso e tutto è tranne che passeggera. Zlatan può infatti aggiungere all’infinita lista dei suoi record quello di longevità nel nostro massimo campionato: è diventato infatti il giocatore di movimento più anziano a metter piede su un campo di Serie A.

41 anni e 146 giorni gli permettono, infatti, di superare il record appartenuto per 16 anni a Billy Costacurta. Il difensore, infatti, lasciò la Serie A nel maggio del 2007, giocando la sua ultima partita a 41 anni e 2 giorni, trovando addirittura la gioia del gol su calcio di rigore in un match di fine stagione contro l’Udinese. Un gol che lo rende, Ibrahimovic permettendo, il marcatore più anziano della storia del nostro campionato.

Il caso di Amilcar Barbuy, idolo di Corinthians e Palestra Italia

Tuttavia, per lunghi anni che appartengono agli albori del calcio, un banale errore anagrafico ha concesso di credere ad una favola che poi, col tempo, ha cambiato connotati. 

La favola di un calciatore capace di giocare in Serie A a 52 anni: Amilcar Barbuy.

Non era un personaggio qualunque, Amilcar Barbuy.  Nato nel 1893, negli Anni ’20 fu uno dei cardini del Palmeiras, all’epoca ancora denominato Palestra Italia. E pensare che fino al 1924 era stato uno dei simboli di una delle rivali per eccellenza del Verdão: il Corinthians.

La partenza di Barbuy non fu un evento facile da digerire per il Corinthians. Le sue motivazioni, però, sono da ricercare lontano dal campo da gioco. O meglio, lontano dalle dinamiche sportive, visto che il motivo del dissidio tra Barbuy e il Timão era geograficamente vicinissimo al terreno di gioco. Il padre di Amilcar era infatti proprietario di un bar che si trovava proprio di fronte alla sede del Corinthians. Nel 1923, uno dei dirigenti del Timão decise che quel bar doveva appartenere alla sua famiglia ed estromise Barbuy senior dall’attività, consegnando le chiavi del locale in mano ad un parente.

Un affronto che Barbuy non mandò giù e che segnò la crisi tra lui e la squadra. Amilcar abbandonò il Corinthians, aspettando delle scuse che non arrivarono mai. Fu così che iniziò a prendere in considerazione il corteggiamento del Palestra Italia, in un momento in cui si trovava senza squadra. Un passaggio che è importante sottolineare, visto che un trasferimento diretto dal Corinthians ai biancoverdi sarebbe stato difficile da digerire.

All’epoca come oggi era difficile, quasi impossibile, per un calciatore brasiliano, farsi voler bene sia dai tifosi del Time do Povo che quelli del Verdão. Barbuy ci riuscì in poco tempo. La personalità e il carisma di Barbuy erano ammalianti. Come ricorda il sito ufficiale del Palmeiras, negli anni ’20 ancora la professione di allenatore non era riconosciuta. Spesso capitava che fosse il capitano della squadra ad impartire le direttive ai compagni in campo. Fu immediato, per i colleghi del Palestra Italia, riconoscere nel volante di Rio das Pedras le stimmate del comandante. D’altronde, i soprannomi non vengono mai dati per caso: Amilcar Barbuy era, per tutti, O Generalissimo.

Sotto la sua guida, dopo un paio d’anni di rodaggio, il Palestra Italia riuscì ad aggiungere alla propria bacheca il titolo del Campionato Paulista che mancava dal 1920. I secondi posti collezionati tra il 1921 e il 1924 avevano ferito profondamente l’animo dei biancoverdi, che col titolo del 1926 si liberarono di quella che ormai era diventata un’ossessione e riuscirono pure a ripetersi l’anno successivo.

Una forte personalità

Amilcar Barbuy non temeva di mostrare la sua personalità debordante anche nei confronti di chi, sulla carta, era più potente di lui. Durante un torneo tra rappresentative statali, nel quale vestiva la maglia dello stato di San Paolo, la formazione di Barbuy subì dei gravi torti arbitrali nel match contro la rappresentativa di Rio De Janeiro. Quando chiese lumi all’arbitro sul perchè delle decisioni che avevano palesemente penalizzato i suoi, Barbuy osservò lo sguardo del direttore di gara posarsi sugli spalti dello stadio São Januario. Sulle tribune sedeva Washington Luis, il Presidente della Repubblica brasiliana, nativo dello stato di Rio. A quell’occhiata, l’arbitro di gara lasciò seguire parole ben poco criptiche: “Sennò mi uccideranno”.

Barbuy, in preda alla collera, portò via la sua squadra dal terreno di gioco, dirigendosi verso gli spogliatoi. Un funzionario gli si avvicinò, riportandogli la furia di Washington Luis, che pretendeva che il match ricominciasse subito. La risposta di Barbuy, lapidaria: “Dì al Presidente che in Brasile comanda lui, ma sul campo comando io!”

Quella del Palestra Italia fu l’ultima maglia indossata da Barbuy nella sua carriera da calciatore.

Ed è qui, nella stagione 1931-32, che la sua storia si lega a quella dell’Italia.

Amilcar Barbuy approda in Italia: nasce la “Brasilazio”

Il Presidente della Lazio, Remo Zenobi, era in cerca di un condottiero valoroso e tenace, in grado di guidare la sua squadra sui difficili campi della Serie A. Non è dato sapere come venne in contatto con Amilcar Barbuy o chi accese in lui l’idea di affidare le Aquile ad un tecnico che veniva dal Brasile. Forse fecero la loro parte i due verdeoro che già militavano nella Lazio dalla stagione precedente, i cugini João e Octavio Fantoni, affettuosamente soprannominati Ninão e Nininho. Lo sfortunato Octavio, pochi anni più tardi, nel 1935, morirà per un’infezione patita in seguito ad un infortunio al naso riportato durante una gara contro il Torino.

Magari furono loro a suggerire all’orecchio di Zenobi il nome del Generalissimo, pur non avendo mai avuto la fortuna di averlo come allenatore. I due, infatti, arrivarono alla Lazio da un’altra Palestra Italia, quella che poi sarebbe diventata nota come Cruzeiro. Oppure, più semplicemente, Zenobi fece valere i suoi interessi commerciali in Brasile.

Sta di fatto che Barbuy accettò di buon grado la chiamata della Lazio. Nutriva la speranza di diventare finalmente un allenatore professionista.

Sì, perché fino a quel momento Barbuy aveva giocato, ed allenato, senza mai aver percepito uno stipendio. Anzi, aveva dovuto addirittura versare la quota sociale alle associazioni dove militava per poter giocare. Sembra incredibile, specie se rapportato ai campioni moderni, pensare che il pilastro del centrocampo di due delle migliori squadre brasiliane, capace di giocare per 19 volte con la maglia della Seleção, vincendo per due volte il Campionato Sudamericano (la Copa America una volta si chiamava così), si mantenesse facendo lo stampatore grafico ed era proprietario di un negozio di articoli elettrici. Ma era esattamente così.

Tuttavia, Barbuy non arrivò da solo. Con lui si stabilirono a Roma molti reduci di Corinthians e Palestra Italia, legati dall’amore per il loro condottiero. La “campagna acquisti” della Lazio del 1931, vista con gli occhi di oggi, è una delle più curiose di sempre. Assieme a tre calciatori acquistati perlustrando tra Roma e dintorni, prelevati da Frascati, Rieti e Forza e Coraggio, nella capitale giunse una vera e propria colonia brasiliana da squadre blasonate e prestigiose. André Tedesco dal Santos, Del Debbio, Castelli, Demaria e Guarisi dal Corinthians, Rizzetti e Serafini dal Palestra Italia insieme ad Amilcar.

Lazio 1931-32 (wikipedia)

Una formazione della Lazio 1931-32 (foto tratta da wikipedia)

Nella capitale dell’Italia fascista si era appena verificata una pacifica invasione verdeoro. I giornalisti locali e nazionali fecero molto presto a soprannominare quella squadra Brasilazio.

“Vado in Italia. Sono stanco di essere un dilettante nel calcio, dove quella condizione è cessata da tempo, viziata dall’ipocrita sistema di rimborsi che le società elargiscono ai propri giocatori, riservandosi il grosso degli introiti. Io sono povero, sono un paria del calcio. Vado nel Paese dove sanno come remunerare l’attività di un giocatore”.

Quando approdò a Roma, probabilmente, Amilcar non aveva nessuna intenzione di rimettere piede sul terreno di gioco. Tuttavia, ad un certo punto della stagione, fu costretto a fare di necessità virtù. La stagione dei biancocelesti non stava certo prendendo una piega desiderabile. Dopo 10 giornate, la Lazio aveva raccolto appena 6 punti, frutto di 2 vittorie e 2 pareggi. Oltretutto, la 10° giornata era stata una coltellata al cuore per le Aquile, sconfitte in un derby dicembrino contro la Roma, piegate dalle reti di Volk ed Eusebio.

Un esordio casuale e un record “inesatto”

I 14 giorni che avvicinarono la Lazio alla partita successiva, quella interna contro il Bari, non furono certo facili. Una serie di infortuni a raffica funestarono la vigilia, costringendo Amilcar a presentarsi alla partita del 20 dicembre 1931 contro i Galletti con gli uomini contati.

Immaginiamo la scena: dopo essersi guardato rapidamente intorno, sconsolato, Amilcar chiese un paio di scarpini e una divisa da gioco. Agli sguardi stupiti e gli occhi strabuzzati di chi gli stava intorno, O Generalissimo deve aver risposto così: “Beh? Che avete da guardare? Oggi gioco io. A San Paolo l’ho fatto per una vita, no? E vi dirò di più: vinciamo pure”.

Possiamo solo immaginare la scarica elettrica che attraversò in quel momento lo spogliatoio dello Lazio. Una tensione positiva che si tradusse in vittoria. I laziali ebbero la meglio del Bari, con un 3-2 in rimonta. Non può essere un caso che, sull’1-2 per i pugliesi, a salire in cattedra sia stato uno dei brasiliani del gruppo. Fu infatti Filò Guarisi, figlio di genitori italiani emigrati a San Paolo, a risolvere la contesa con una doppietta, col gol vittoria siglato quasi allo scadere. 

Quel 20 dicembre del 1931 Amilcar Barbuy contava 38 anni, 7 mesi e 9 giorni. Scendendo in campo contro il Bari, diventò il più anziano calciatore ad aver mai debuttato in Serie A. Un record che sarebbe durato a lungo: a batterlo fu un portiere, Maurizio Pugliesi, che debuttò in Serie A con la maglia dell’Empoli il 15 maggio 2016, all’età di 39 e 6 mesi. 

Un primato durato 84 anni e mezzo, ma che in un certo senso dura ancora, visto che nessun giocatore di movimento ha mai giocato la sua prima partita in Serie A ad un’età più veneranda di quella di Amilcar.

E Ibra? Che c’entra con Amilcar Barbuy da San Paolo?

Qualche riga fa, abbiamo accennato che Amilcar fu per un certo periodo considerato il più anziano calciatore ad aver mai giocato in Serie A per un errore anagrafico. Un errore, forse, dettato dall’esagerazione dei racconti di quella giornata in cui Amilcar scese in campo contro il Bari. Molte versioni dell’impresa di Amilcar, infatti, riportano che l’anno di nascita del brasiliano fosse il 1879, aggiungendo così ben 14 anni all’età del Generalissimo. Per molto tempo, dunque, si è creduto che Amilcar avesse giocato la sua prima (e unica) partita in Serie A all’incredibile età di 52 anni.

Per fortuna di Ibrahimovic, la narrazione di quell’evento, per quanto epica e straordinaria, ha dovuto fare i conti con la realtà. La ricerca storica ha restituito l’età giusta ad Amilcar Barbuy, concedendo ad Ibra, e a Costacurta prima di lui, di diventare il calciatore di movimentato più attempato della Serie A.

Un’apparizione fugace ma indimenticabile, quella del Generalissimo nella nostra Serie A. Un vero e proprio racconto di eroi e condottieri del passato, che forse ci avvicina alla dimensione umana che tanto ci manca del calcio di oggi.

 

Testo a cura di Nicola Luperini, per la rubrica “La Tana del Lupo”. Pisano, content editor per Sottoporta – il calcio internazionale, cura per Football&Life gli argomenti più caldi della settimana sul calcio italiano, dalla Serie A alle serie minori. Ma non solo. Appassionato di Football Manager, racconta anche qui le sue avventure.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia