Stefano Cusin: l’uomo che insegna calcio al mondo

Stefano Cusin: l’uomo che insegna calcio al mondo

Marzo 3, 2023 0 Di Luca Sisto

Sono giorni frenetici in Egitto. Il Sud Sudan, qualificato alla Coppa d’Africa under-20, dopo aver raggiunto la finale della CECAFA u-20 nel novembre 2022, ha appena ottenuto la prima vittoria nella competizione contro i pari età della Repubblica Centrafricana. Il successivo pareggio contro l’Uganda, selezione che aveva sconfitto il Sud Sudan nella finalissima della CECAFA, qualifica la giovanissima nazionale ai quarti di finale contro il temibile Gambia.

Nel frattempo, sempre in Egitto, la nazionale di basket del Sud Sudan domina il proprio girone di qualificazione e vola ai Mondiali di basket per la prima volta nella sua storia. Una sorpresa a metà, vista la bontà del progetto portato avanti dall’ex star NBA Luol Deng, e la tradizione cestistica che la diaspora sud-sudanese porta avanti negli USA, in Canada e in Australia. Una diaspora che influenza le vite di una popolazione reduce da guerre sanguinose, che hanno lasciato sul campo milioni di morti, e da un complicato e pressoché fallimentare processo di State Building, che rende il Sud Sudan, a 11 anni e mezzo dall’indipendenza dal Sudan, uno degli stati più poveri e ingovernabili al Mondo.

In questo contesto sportivo, mentre sono al cellulare intento a seguire gli ultimi risultati e gli highlights delle due competizioni, al TG si parla di una modella australiana, dal chiaro cognome sud sudanese e dalla storia “tipica” delle centinaia di migliaia di rifugiati che la guerra ha prodotto. Vite spezzate, un campo profughi in Kenya, in una distesa sterminata di tende, donne, bambini e uomini da cui solo pochissimi riescono ad uscire. Lo sbarco in Australia, una nuova esistenza. Una seconda possibilità che alcuni hanno sfruttato, come i sud sudanesi che militano nella nazionale australiana e nelle varie selezioni giovanili.

Parlando con mia moglie a tavola, le racconto alcune di queste storie. Come quella di Stefano Cusin, l’allenatore italiano “giramondo”, un appellativo troppo spesso abusato, ma che nel caso del nostro globetrotter ha probabilmente più senso che altrove. Mister Cusin da neppure un anno è mezzo è l’allenatore della nazionale di calcio del Sud Sudan. Affascinato anch’io dall’Africa come il soggetto del brano dei Luf feat Davide van de Sfroospensavo da mesi di contattarlo, di parlargli e di porgli qualche domanda. Volevo saperne di più, dell’uomo, del suo incredibile lavoro. Gli scrivo e, per mia somma sorpresa, visti gli impegni impellenti, risponde praticamente subito. Già questo, la dice lunga sulla persona che andiamo a raccontarvi in questa intervista. Sono emozionato, ma è Cusin a rompere il ghiaccio: “condividere esperienze è sempre un piacere”E non possiamo fare altro che ringraziarlo per averle condivise con noi e con i nostri lettori.

Stefano Cusin ha allenato in Palestina, vincendo tutto a livello di club con l’Ahli Al-Khalil. Ha allenato l’Al-Ittihad di Tripoli in Libia, in stadi gremiti fino al midollo, al tramonto dell’era Gheddafi. Ed ora il Sud Sudan, la nazionale maggiore, ma non solo: è direttore tecnico e coordinatore delle nazionali giovanili, ivi compresa l’under-20 che si sta ben comportando nella Coppa d’Africa di categoria in Egitto. Un uomo che non ha paura di nulla?

“Sono sempre stato interessato a realtà diverse. Anche senza una tradizione calcistica affermata: è uno scambio. Ho insegnato calcio, ma nel frattempo ho avuto la fortuna di conoscere e apprezzare nuove culture. Non è questione di avere o meno paura, parliamo di esperienze che arricchiscono il tuo bagaglio, ti rendono migliore mentre fai esattamente ciò che ami, trasmettendo le competenze calcistiche apprese nel corso della carriera”.

Il sodalizio con Walter Zenga l’ha condotto in giro per il mondo: dal Golfo Arabo al Wolverhampton. Ma qual è il sogno di Stefano Cusin?

“L’ho sempre detto. L’apice della mia carriera sarebbe partecipare ai Mondiali, allenando una nazionale africana. Sono più di vent’anni che faccio l’allenatore di professione, e questo è da sempre il mio sogno. Farò di tutto per riuscirci”.

Le questioni politiche dei Paesi in cui allena, come nel caso del Sud Sudan, influenzano il suo lavoro?

“Le questioni politiche restano al di fuori dell’ambito sportivo. Anzi, possiamo dire nel caso specifico che questo Paese, il Sud Sudan, si può riunire, unificare attraverso lo sport. Non potremmo ovviamente risolvere tutti i problemi attraverso il calcio o il basket, ma possiamo dare un futuro a questi ragazzi.

Credo che la variabile principale per consentire a me e allo staff di eccellere nel lavoro, sia la vicinanza della Federazione, nel caso delle nazionali, e dei presidenti, con riferimento ai club. E, a proposito del Sud Sudan, siamo in piena sintonia con i vertici federali. Questo ci permette di svolgere il lavoro al meglio, e la cosa si riflette a beneficio degli atleti e dei risultati che, insieme, possiamo conseguire. A Cipro e in Sud Africa ho avuto dei presidenti molto assenti, a causa di impegni politici e imprenditoriali, ed è stato più complesso lavorare”.

Ma qual è il segreto di Stefano Cusin? Come fa a ottenere risultati in pochissimo tempo? Esiste un pattern consolidato? Il Mister sembra avere le idee molto chiare.

A Coverciano la mia tesi verteva proprio sull’allenare all’estero. Ci vuole un approccio personalizzato, adatto ad ogni contesto. Nelle prime sedute, faccio molte domande. Partiamo da allenamenti condotti inizialmente da allenatori locali. Gli aspetti principali sono l’empatia e il dialogo che vai a creare. In secondo luogo, pian piano, cominciamo un percorso su più fronti: fisico e atletico, per mettere a posto la squadra. Parallelamente, un lavoro tattico, metodologico, per dare un’identità alla squadra.

La presenza di assistenti locali è fondamentale per due motivi. Innanzitutto per superare rapidamente il language barrier, in secondo luogo per lasciare un’eredità sportiva duratura. Il mio percorso incrocia quello di chi mi è vicino. Una volta lasciato, però, il progetto deve andare avanti. Sono molto orgoglioso di vedere i miei assistenti o i miei ex giocatori intraprendere un percorso di capo-allenatore. In Palestina, ad esempio, uno dei miei sta portando la sua squadra in prima divisione. Ed è certamente fra i miei compiti principali, quello di insegnare calcio e formare i professionisti del futuro”.

Cusin allenatore è abituato a girare il mondo. Ma non si sente sottovalutato in Italia?

“Non credo, anzi. Allenare in Italia sarebbe anche più semplice per me, perché non ci sarebbe la barriera della lingua, della cultura. Non mi sono mai posto il problema dell’essere o meno sottovalutato in Italia. Conta avere una visione comune. Nel nostro Paese spesso troviamo altre problematiche: presidenti assenti, dirigenti che non ti hanno scelto, squadre costruite da qualcun altro con criteri diversi. Il progetto è fondamentale, ed è forse per questo che all’estero ho avuto la fortuna di trovarmi bene nella stragrande maggioranza dei casi.

Ho allenato diverse nazionali giovanili, come Camerun e Congo, e attualmente ritengo l’esperienza in Sud Sudan molto soddisfacente. Difficile dire se, ad oggi, potrei trovare un soluzione altrettanto favorevole in Italia. Adesso sono concentrato e coinvolto al 110% con la nazionale sud-sudanese. In futuro, chissà”.

Tornando alla sua attuale esperienza, ritiene ci siano dei calciatori del Sud Sudan pronti per un’esperienza all’estero, magari in Europa?

“Nella nazionale maggiore, credo sarebbe un salto eccessivo. Parliamo di calciatori già formati, al top delle proprie possibilità. Nelle giovanili, delle quali sono direttore tecnico a tutto tondo, probabilmente, qualcuno riuscirà a fare il salto. Ma deve essere graduale. Dal campionato locale ad un campionato africano maggiore. E una volta misuratisi con realtà diverse, magari si può arrivare anche in Europa. Vedo qualità, ma c’è bisogno di tempo, di fare un percorso definito.

La fisicità dei sud sudanesi è certamente più competitiva per il basket, che ha ottenuto risultati incredibili. Parliamo della popolazione composta mediamente dalle persone più alte al mondo. Relativamente al calcio siamo un po’ svantaggiati, poiché le comunità sud sudanesi all’estero, come in Australia, in Canada e negli USA, scelgono il basket prevalentemente. Anche per un percorso formativo che gli fornisce un’istruzione di alto livello. 

Ma anche quando si approcciano al calcio, se dimostrano di essere abbastanza bravi, i sud sudanesi vengono cooptati nella nazionale del Paese in cui stanno crescendo. Basti vedere quanti nazionali di genitori sud sudanesi militino nell’Australia a livello maggiore e giovanile: è difficile andare lì e convincerli che c’è calcio anche nel loro Paese d’origine, ma con i risultati, pian piano, riusciremo magari a convincere qualcuno di loro”.

Sulla conciliabilità nella nazionale delle diverse etnie, in un Paese come il Sud Sudan, Cusin è categorico.

“Il discorso è relativo unicamente al merito. Gioca e viene convocato chi è più bravo, chi sta meglio. Non voglio parlare di etnie nella mia nazionale. Non dimenticherò mai, dopo aver diramato la prima lista di convocati poco più di un anno fa, che mi venne detto di aver convocato troppi giocatori dinka. Pertanto, non è questione di appartenere a questo o a quel gruppo etnico. La nazionale deve unire, e credo in un calcio senza barriere di questo genere. Le abilità calcistiche devono rappresentare l’unico criterio di selezione”.

Ai Mondiali si è insistito molto sul fatto che gli allenatori delle nazionali africane fossero tutti d’origine africana.

“La questione è stata a mio giudizio travisata. Vi faccio subito due esempi: Regragui del Marocco è nato in Francia e si è formato calcisticamente in Europa, ha ottenuto solo più tardi la cittadinanza marocchina. Otto Addo, che fra l’altro è tornato subito al Dortmund, è ghanese ma di formazione tedesca, appunto. Anche qui, parliamo di un falso dibattito. Il progetto prescinde dalle origini e dall’identità dell’allenatore.

Si possono creare i presupposti per fare un buon calcio anche se non si è nati nel Paese la cui selezione, o club, si sta allenando. Le variabili che contano sono diverse, lo dicevamo poc’anzi. Conta anzitutto avere piena sintonia con l’ambiente e con i vertici federali o del club. Si deve partire da qui per poter lavorare in un certo modo”. 

Un’ultima domanda: dove si vede Stefano Cusin fra cinque anni?

“Non saprei. Vado dove mi porta il cuore, dove c’è un calcio pulito, gioca chi merita e la parola data vale un contratto. Non so dove mi vedo: sicuramente in panchina, da qualche parte. Non è che viva alla giornata, ragiono per micro-progetti. Il nostro lavoro, come sottolineato in precedenza, è uno scambio. Insegnando calcio ho la possibilità di introiettare nuove culture e lasciare qualcosa agli addetti ai lavori che avranno la responsabilità della situazione dopo di me. Se mi guardo indietro cinque anni fa, probabilmente non avrei mai detto di essere qui, oggi, ad allenare in Sud Sudan. La vita è bella per quello, ti dà sempre l’opportunità di continuare il sogno, di sorprenderti. Fra cinque anni sarò ancora su un campo da calcio, ma non saprei dire dove. 

 

La redazione ringrazia Stefano Cusin per la sua disponibilità, per la sua professionalità, gentilezza e umanità. Con l’augurio di una carriera sempre in crescita, inseguendo il sogno dei Mondiali con una sua nazionale africana.

Immagine di copertina tratta dal sito ufficiale di Stefano Cusin, che vi invitiamo a visitare a questo link.