Napoli – Eintracht e la Coppa del destino
Marzo 14, 2023Il freddo dicembrino non si era ancora palesato in città. Attendevo il ponte dell’Immacolata per una passeggiata in centro, in mezzo alle botteghe dei pastori, per aggiungere qualche personaggio al presepe che costruivamo con papà. Ma quel pomeriggio non c’era spazio nella mia testa per nulla di tutto questo. Il mio unico pensiero, il 6 dicembre 1994, era dedicato alla partita Napoli – Eintracht, gara di ritorno valida per gli ottavi di Coppa UEFA.
Il Napoli versione 1994-95, con Boskov che aveva rimpiazzato Guerini in corsa, arrivava a quella sfida dopo aver perso la gara d’andata per 1-0. Superati i primi due turni contro i lettoni dello Skonto Riga e i portoghesi del Boavista, i tedeschi sembravano una squadra difficile da battere. Ma nell’idea di un tifoso non c’è posto per la sconfitta, soprattutto se hai nove anni.
Alle 4 del pomeriggio, mi mettevo in fila per due con i compagni di classe, in uscita da scuola. Nessuno poteva accompagnarmi allo stadio in infrasettimanale. Del resto avevo cominciato solo da pochi mesi a frequentare la curva B. E nessuno dei miei amici aveva il Napoli come priorità, quel pomeriggio. Cesare aveva allenamento di pallanuoto, Salvatore di basket e mi convinsi che, ormai, mi sarei seduto sullo stretto tavolo della cucina, in religioso silenzio dettato dall’ansia pre-partita, a tifare per il mio Napoli con lo stomaco chiuso, tanto che non c’entrava neppure una merendina. Difficile spiegarlo a mia madre, che osservava il mio viso incupito. Ha cominciato presto, avrà pensato.
Eintracht-Napoli, andata: la rivincita di Maurizio Gaudino
“Due a uno c’abbasta…”
Il compianto Italo Kuhne intervistava amabilmente il paisà Maurizio Gaudino dello Stoccarda, sul prato del San Paolo. Il Napoli aveva appena ripreso per i capelli una partita storta, la finale d’andata della Coppa UEFA 1988-89, rimontando il gol del centrocampista di chiare origini tricolori, su vistoso errore di Giuliani. Sarebbe stato un peccato gettare alle ortiche un cammino fatto di vittorie clamorose contro Bayern Monaco e Juventus, ma non solo. Roba da Champions moderna. Ma Gaudino era convinto che al ritorno a Stoccarda il Napoli non ce l’avrebbe fatta. Così non fu, per fortuna. Il Napoli dominò conquistando la sua unica Coppa UEFA, probabilmente una vittoria paragonabile per importanza – anche perché arrivata nel mezzo – ai due Scudetti dell’epoca maradoniana.
Maurizio nel 1994 giocava ancora, anzi, era uno dei giocatori di maggior valore ed esperienza dell’Eintracht Francoforte. Una squadra, quella tedesca, di tradizione nelle Coppe. Aveva vinto una clamorosa UEFA con semifinali tutte targate Bundesliga nell’edizione 1979-80. L’Eintracht aveva eliminato il Bayern, il Borussia Moenchengladbach lo Stoccarda. Sempre loro. In finale, l’Eintracht di Rausch la spuntò sul Borussia di Heynckes in virtù dei gol segnati in trasferta, con un giovane Lothar Matthaus che inaugurava il suo cattivo rapporto con le finali europee. Certo, nulla in confronto alla terribile delusione di diciannove anni più tardi.
Era il 24 novembre 1994, a Francoforte. Un altro calcio, un altro Napoli. Quando si tifava davvero a prescindere dal risultato. Ma già all’epoca una partita poteva condizionare l’umore per settimane. Anzi, nel caso del doppio confronto fra Napoli e Eintracht, diciamo che la condizione di rivalsa sarebbe durata 29 anni.
Una discesa di Komljenovic dopo un confuso batti e ribatti a centrocampo, gettava scompiglio nella retroguardia partenopea. Cross in mezzo e colpo di tacco smarcante proprio di Maurizio Gaudino. I rimpalli fecero il resto: nel tentativo di anticipare il bomber ghanese Tony Yeboah, partner d’attacco del funambolico nigeriano Okocha, ammirato ai recenti mondiali americani, Renato Buso bucò le mani titubanti di Pino Taglialatela. Uno a zero per i tedeschi, risultato finale alla Commerzbank Arena, con triplice fischio decretato dall’arbitro della finale dei mondiali statunitensi, l’ungherese Sandor Puhl.
Napoli – Eintracht: una lunga attesa
Mentre prendevo posto, raccolto in “preghiera”, sulla mia personale postazione di bambino davanti la TV, il tavolo della cucina appunto, Vuja veniva intervistato dalla televisione straniera, in perfetto tedesco. Stuzzicato sulle assenze dei tedeschi, praticamente tutto l’attacco titolare, Gaudino, Yeboah e Okocha, Boskov si complimentò per l’atmosfera col pubblico napoletano, mentre alle sue spalle uno spettacolo di fuochi d’artificio illuminava il tardo pomeriggio partenopeo. Ma aggiunse che il suo compito era quello di preoccuparsi di quelli che mancavano al Napoli, come Boghossian e Fabio Cannavaro, sostituiti per l’occasione da Luzardi e Rincon.
Attesi invano per tutto il primo tempo che il Napoli facesse gol. I tedeschi chiudevano ogni varco, tanto che l’unica occasione era capitata sui piedi del nostro libero, Roberto Bordin, che oggi allena lo Sheriff Tiraspol, e che sugli almanacchi mi incuriosiva sempre per il fatto di essere nato in Libia.
Nulla da fare. Quel bambino era destinato a soffrire. Dieci minuti del secondo tempo e il Napoli subì il gol che tagliò le gambe. Falkenmayer, remember the name.
L’Eintracht avanzò ai quarti, dove fu la fortissima Juventus versione 1994-95 a sconfiggerlo, dopo un sonoro 3-0 nella gara di ritorno (1-1 l’andata in Germania). Quella Juve sarebbe giunta fino in fondo, antipasto di un’epoca comunque gloriosa in Europa per i colori bianconeri, seppur con una sola finale vinta, quella di Coppa Campioni contro l’Ajax nella stagione successiva. Sì, perché nella finale tutta italiana fu il Parma di Nevio Scala a spuntarla, inaugurando una stagione di storici successi per il club del criminale, mai perdonato, Calisto Tanzi.
La coppa del destino
Curiosamente, non sarà la Coppa UEFA, o Europa League, la coppa del destino per quel bambino che si disperava davanti la TV. Nella scorsa stagione, l’Eintracht ha conquistato l’erede di quella coppa, l’Europa League. L’ha fatto sconfiggendo in finale i redivivi scozzesi dei Rangers. Ma soprattutto, in semifinale, il fortissimo Barcelona di Xavi. Una squadra che aveva eliminato proprio il Napoli di Spalletti in precedenza. Chissà, il sorteggio avrebbe potuto prevedere già un anno fa una sfida che attendevo da quasi trent’anni.
Ed è stata invece la Champions League a rimettere di fronte quel bambino, ormai con troppi capelli bianchi, alle ferite di un passato da espiare. Perché per un tifoso c’è sempre un’altra partita. È il calcio.
“Espiazione”, è l’unica parola che mi viene in mente in maniera costante questa stagione. E dire che l’Eintracht ha più tradizione del Napoli persino nell’antesignana della Champions, giacché giunse in finale, perdendo per ben 7-3, contro il grande Real Madrid di Di Stefano nella stagione 1959-60. All’Hampden Park di Glasgow la Saeta Rubia ne fece tre, Puskas addirittura 4. Ultimo di cinque trionfi di una generazione irripetibile: la sexta sarebbe arrivata solo 6 anni più tardi col Madrid de los yé-yé.
Dopo la vittoria nella gara d’andata a Francoforte per 2-0, il Napoli punta, il 15 marzo, a raggiungere per la prima volta nella sua storia i quarti di finale di Champions League.
Potrebbe essere questa la stagione che i napoletani attendono da 33 anni, a proposito di 3.
Ed è questa la partita che, nel mio piccolo, aspetto da quasi 29 anni. Presente, stavolta, in Curva B.
Immagine di copertina tratta da www.fr.de: Tarantino del Napoli contrasta Tony Yeboah dell’Eintracht nella gara d’andata.