Napoli – Juventus UEFA 1989: amarcord di una profezia
Marzo 19, 2023Diciamolo, l’urna di Nyon non è stata originale abbinando al Napoli il Milan per i quarti di Champions. Era marzo dell’89 quando i quarti di Coppa Uefa misero di fronte Napoli e Juventus in una sfida fratricida – si fa per dire, visto che mai azzurri e bianconeri si sono sentiti fratelli – che ho vissuto per intero sulla mia pelle. Sì, perché per l’andata a Torino ebbi la pessima idea di assistere al match in onda sulla Rai in compagnia di due persone di fede juventina.
Vi prego di non infierire, insieme al mistero della Trinità divina e dell’invincibile passione delle donne per le maratone nei centri commerciali questo è uno degli arcani che nella mia non breve esistenza non sono ancora riuscito a spiegarmi. Sta di fatto che quella sera m’intossicai come non mai.
Prima una bordata dal limite di Pasquale Bruno, “l’animale”, che incenerì Giuliani – come sia riuscito quel gol del mercoledì di coppa al brutale stopper zebrato è cosa che ancor oggi mi domando – poi una dannata deviazione di Corradini su cross del nanerottolo portoghese Rui Barros dalla destra. E, prima dell’intervallo, eravamo già sotto di due reti. Non ne riemergemmo. Le marcature di Bruno su Careca e Galia su Maradona funzionarono a dovere. In più, dovetti sorbirmi gli sfottò spietati dei due sodali di serata, che ammiccavano divertiti quando non ridevano sguaiati. Maledetti, confesso che li ho detestati ed evitati per quindici giorni.
Napoli-Juventus al San Paolo, il ritorno
Per il ritorno ero in curva al San Paolo. Lo stomaco stretto in una morsa, non degnavo nemmeno di uno sguardo il panino con salsicce e friarielli confezionatomi amorevolmente da mamma. L’impresa era più che ardua. Nell’ultimo turno di campionato loro erano franati a San Siro col Milan (4-0). Ma noi, che a -3 tallonavamo l’Inter capolista del Trap e del duo tedesco Matthäus e Brehme, avevamo penato non poco col Cesena, in lotta per non retrocedere. C’era voluta la mano di San Gennaro ed un’incredibile autorete di Chiti a 10’ dallo scadere – meravigliosa la sua torsione di testa su cross dal fondo di Lui – per prevalere e spegnere i fischi dell’intervallo.
Insomma, l’ambiente era teso, e non poco. Poi, uscire per mano di quelli lì avrebbe significato onta, disonore, “scuorno” per tutto l’anno. Non potevamo fallire. E non fallimmo. Bianchi dovette rimescolare le carte. Le assenze per squalifica di De Napoli e Fusi lo convinsero a piazzare Alemao in cabina di regia con Crippa e Carannante a fare da incursori laterali. In avanti Careca e Carnevale assistiti dal genio di Lanus.
Neppure due minuti di gioco e Laudrup, piazzato da Zoff in attacco con “Spillo” Altobelli, va in rete, ma l’arbitro Kirschen della DDR annulla per fuorigioco. Sospiro di sollievo generale e scossa che elettrizza lo stadio. I cori diventano assordanti e sembrano spingere fisicamente in avanti gli azzurri, che al 10’ passano: campanile da centrocampo di Renica che spiove direttamente in area, dove Bruno strattona Careca, che va giù, mentre defilato sulla sinistra giace a terra Carnevale, anche lui andato al tappeto in precedenza ed ancora riverso sull’erba. I bianconeri protestano vorrebbero un fuorigioco inesistente, dal momento che Carnevale era del tutto impossibilitato a prendere parte all’azione. Lui, intanto, ha già piazzato il pallone sul dischetto, guarda Tacconi, lo ipnotizza e lo spiazza senza pietà.
Uno è rimontato, ne serve un altro. Lui ci crede, guarda il pubblico e lo carica col suo solito gesto dei pugni chiusi e delle braccia piegate all’altezza del gomito. Ci provano di testa Carnevale e Careca, Tacconi è un demonio alato, vola e sventa. Dobbiamo ringraziare Massimo Mauro – n. 10 juventino e futuro partenopeo – che appena prima dell’intervallo si fa soffiare un pallone da Alemao. Il “tedesco” s’invola sul centro sinistra e serve Carnevale, che fa sfilare la palla quel tanto che basta per rubare meno di un metro a Favero e saettare a rete: 2-0!
Il gol di Renica fa tremare la città
Il gap è annullato, ma non basta. Niente, nemmeno stavolta addento il panino, ho altro per la testa e per l’addome. Nella ripresa ancora Tacconi smanaccia a mano aperta un’incornata di Carnevale su punizione del “pibe”, poi la Juve controlla. Spazio al tormento dei supplementari. Dopo poco esce anche il nostro capitano, rilevato da Ciccio Romano, ma il punteggio rimane quello. Perfetta parità, l’estremo supplizio dei rigori sembra allungare all’infinito sia i patemi di tutto il San Paolo che il mio personalissimo digiuno.
Ma di entrambi ha pietà Antonio Careca, che arpiona un pallone schizzato fuori dall’area che sembrava un flipper impazzito, con un dietrofront fulmineo ritorna nei sedici metri juventini, eludendo la ferrea sorveglianza di Bruno, e scodella al centro a mezz’altezza, proprio sulla linea dell’area piccola, dove Renica, rimpicciolendosi come nemmeno il più elastico dei contorsionisti, si avventa sospinto dall’energia di ogni tifoso – me compreso, s’intende, quel gol è anche mio – e colpisce di testa (o di tempia, boh), spalancando per tutti noi le porte della semifinale.
Lo stadio sembra una di quelle bolge infernali descritte da Dante. Vola di tutto. Anche il mio panino che, da uomo, pardon ragazzo, di poca fede m’ero deciso a tirar fuori dallo zainetto verde militare rassegnandomi a divorarlo in attesa dei rigori. Addio cena e ben mi sta! È stato allora che ho capito davvero la legge di gravità, perché ho visto aprirsi il mezzo filone di pane cafone e precipitare in basso i vari componenti secondo il loro peso specifico. Sembrava impossibile, ma ci eravamo riusciti. E tutti sanno come andò a finire allora. Perché temere ora?
Testo di: Alfonso Esposito. Di Careca ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”, edito da Urbone Publishing. A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Pinterest.