Football Manager, ep. 4: Colón

Football Manager, ep. 4: Colón

Marzo 20, 2023 0 Di Nicola Luperini

6 Maggio 2055. Dopo aver vinto il campionato con l’Al-Faisaly è tempo di inventarsi qualcosa di nuovo. C’è un solo continente dove ancora non ho allenato: il Sud America.

Nonostante Amodio mi preghi in ginocchio di pensarci bene, di non fare passi affrettati, di vagliare alcune ipotesi a suo dire vantaggiose, decido per una volta di non ascoltarlo.

Poche ore dopo aver salutato i ragazzi, ho già un biglietto aereo in mano. Come sempre, di sola andata. 

Nelle 22 infinite ore di volo che mi separano dall’Arabia Saudita all’Argentina faccio quello che mi riesce meglio quando non alleno:  una dormita bella grossa. Dopo uno scalo ad Addis Abeba e un altro a San Paolo del Brasile, atterro finalmente a Buenos Aires. Il caldo saudita è un ricordo.

In viaggio per Buenos Aires

In Argentina mi accoglie una pioggia fine ma insistente, che entra nelle ossa e resta lì. Emilio, il baffuto tassista che mi accompagna alla mia prossima sistemazione, mi ricorda che stiamo entrando in inverno e che per la bella stagione dovrò aspettare Novembre, Ottobre se va bene. Mi stringo nelle spalle e incasso il colpo. Ho altro a cui pensare.

Non ho ancora firmato un nuovo contratto, sono a tutti gli effetti un disoccupato del pallone in una terra che non ho mai visto prima e che inverte il regolare scorrere delle stagioni. Una fortuna, almeno, ce l’ho. Per l’alloggio non dovrò pagare.

Il mio amico Juri Gobbini ha una famiglia larga quanto il mondo e radici forti a Buenos Aires. Quando l’ho chiamato per avvisarlo della mia “piccola improvvisata” in Argentina non mi ha neanche fatto concludere la frase. <<Se non hai ancora deciso dove andare, sei ospite mio e della mia famiglia. Non provare neanche a dire di no. A che ora arrivi? >>

Tranquillo Juri, non ti dico no. Chissà se mi avrebbe ospitato comunque se avesse saputo che mi sarei piantato in casa sua per quasi un anno.

Il telefono di lavoro non squilla mai. Quando lo fa, è per avvisarmi di una notifica su Facebook. Hai dei ricordi da vedere! Io non voglio ricordi. Voglio emozioni nuove.

Poi, finalmente, arriva il Maggio del 2056. Fuori dalla finestra cade la stessa pioggia che mi accolse all’aeroporto un anno prima, ma un timido sole freddo sbuca dalle nuvole. Il telefono squilla mentre sto vedendo una replica di un vecchio Boca-River e quasi non rispondo, perché mi sono dimenticato che suono produca la suoneria. Dall’etere spunta la voce di Alessandro Amodio che mi urla nell’orecchio: << Corri a Santa Fe, veloce! >>

Chiamo un taxi direzione aeroporto. Stavolta il conducente è meno chiacchierone di Emilio e non riesco a capire come si chiami, ma guizza tra le strade di Buenos Aires e mi permette di prendere il primo volo. 

Colón

Il 5 Maggio 2056 firmo per il Colón. Il mio primo allenamento al Cementerio De Los Elefantes (così viene chiamato da tutti lo Stadio intitolato a Estanislao López) è per me una sorpresa. I giocatori sono giovani, ma hanno esperienza. Corrono come pazzi, vogliono impressionarmi e diventare importanti. Sanno che a Santa Fe bisogna lottare e sputare il sangue per farsi voler bene dalla tifoseria. Ma io son qui per far fare loro il passo che separa il calciatore amato dall’eroe del pueblo: vincere.

Già, perché il Colón non è ancora mai riuscito a vincere un campionato nei suoi 151 anni di storia. Nel 2021 ha vinto la Copa de Liga, trascinato dal leggendario Luis Miguel Rodriguez, El Pulga. Ma il campionato, quello mai. Ci è andato vicino nel 1997, quando chiuse la campagna di Clausura al secondo posto, arrendendosi solo al River Plate di Enzo Francescoli.

Sono passati quasi 60 anni da quella gioia sfiorata: è tempo di andarcela a prendere.

Entrando in corsa, a 4 giornate dalla fine dell’Apertura, ho modo di fare le mie classiche prove tattiche per capire se il calcio offensivo che vorrei proporre si sposa bene con le caratteristiche della rosa. L’esperimento funziona: 10 punti, con vittoria prestigiosa contro l’Independiente e pareggio col Boca Juniors. Tutto promette bene.

El Clasico Santafesino

Quando esce il calendario del campionato di Clausura, tutta Santa Fe esplode in un grido: “Primera fecha, El Clasico!”. Già, El Clasico Santafesino. Alla stilatura dei calendari è sempre la prima partita che ogni tifoso, sia del Colón che dell’Union, va a cercare. Stavolta la ricerca è breve: subito contro alla prima giornata, al Cemeterio.

Tutta Santa Fe è in fermento, forse è la prima volta in più di 30 anni di carriera che mi capita di vivere un’attesa così viva, pulsante, che ti entra nelle viscere. Arriva il giorno della partita e il Cementerio bolle, trema, vive. 40mila persone affollano le tribune, la hinchada è da brividi, guardo i giocatori e capisco dai loro occhi che questa partita non la possiamo perdere. Non la perderemo.

Dopo un primo tempo a reti bianche, Molina e Aguiar segnano due reti in due minuti a inizio ripresa. Il tifo dei Sabaleros impazzisce, nessuno capisce più nulla, io non riesco a muovermi perché ho paura che mi crolli lo stadio in testa. L’Union segnerà poco dopo il 2-1, ma non avrà più modo di farci male. Vinciamo il Clasico e siamo già beniamini dei tifosi, ma non ci basta. Ricordate? Vogliamo diventare eroi.

Al Cementerio

Inizia un cammino che somiglia tanto ad una marcia. In casa siamo fortissimi. Evidentemente c’è un motivo se tutti chiamano il nostro stadio Cementerio. Da quando nel 1964 fu il Santos di Pelè, campione in carica della Coppa Intercontinentale e imbattuto da quasi 50 partite, a cadere per mano del Colón (all’epoca militante in Segunda Division) tra le mura di questo impianto, nacque la leggenda del Cimitero degli Elefanti, un luogo dove tutti i giganti del calcio venivano a morire. 

Sono passati quasi 100 anni da quel giorno, e magari le squadre che affrontiamo in casa non sono proprio giganti, ma tutte cadono. 7 vittorie su 10 incontri, con una sola sconfitta patita contro il Patronato. Il ruolino di marcia è impressionante anche fuori casa. Ne perdiamo solo due, alla Bombonera col Boca e al Monumental contro il River. Per il resto arrivano 6 vittorie nei restanti 7 incontri. Sbanchiamo anche il Libertadores de America, casa dell’Independiente.

Arriviamo all’ultima giornata davanti a tutti. Dietro di noi il River Plate, distante un punto soltanto. Manca l’ultimo miglio e dobbiamo farlo lontano da casa nostra. Giochiamo a Buenos Aires contro l’Argentinos Juniors, ormai salvo nella cervellotica classifica del Promedio. Il River, invece, gioca in casa contro l’Huracán.

Nello spogliatoio non vola una mosca. Il silenzio è irreale, ci ronza intorno alla testa e ci fa tremare. Guardo i ragazzi e non so cosa dire. Capiterà di nuovo una stagione come quella? Riusciremo a rialzarci se cadiamo? Ho paura di sbagliare qualcosa, di rovinare tutto. 

Héroes de Colón

Poi mi ricordo che c’è una parola, una parola sola che tutti mi ripetono da quando sono arrivato a Santa Fe. In un angolo dello spogliatoio dedicato agli ospiti c’è una lavagnetta bianca, appoggiata su un treppiedi tremolante. Una calamita aggancia alla sua superficie un pennarello rosso. I ragazzi stanno finendo di legarsi le scarpe, concentrati. Il rumore delle gambe del treppiedi che strusciano sul pavimento li sveglia da quella nube di tensione.

Alzano il capo e vedono me, col pennarello rosso in mano. La lavagnetta è girata in modo che loro non vedano cosa sto scarabocchiando. Poi finisco di scrivere, metto di nuovo il tappo al pennarello e giro la lavagnetta. Sulla superficie polverosa di quell’oggetto dimenticato campeggia una sola parola, scritta in rosso e in maiuscolo: HÉROES.

Impazziscono tutti. I ragazzi urlano, ruggiscono, sciolgono la tensione in abbracci e sguardi di coraggio. Tutto quello che vogliono diventare è quella parola scritta in rosso.

Ci riescono. Segna Aguiar dopo 14 minuti, rimaniamo in 10 per l’espulsione di Carrasco ma non molliamo un centimetro e  continuiamo a fare il nostro gioco. Al 92°, poi, Ojeda finalizza alla perfezione un contropiede da manuale. Quando vede la palla gonfiare il sacco, si butta a terra e inizia a piangere. I compagni lo seppelliscono. Il Colón è campeón per la prima volta della sua storia e quei ragazzi sono davvero diventati degli eroi. 

D’altronde Emilio, il tassista baffuto, lo aveva profetizzato. La bella stagione l’avrei rivista a Novembre. E oggi è il 5 Novembre del 2056. Quale stagione è più bella di quella in cui si vince?

Il viaggio di ritorno da Buenos Aires è una festa che anticipa quella di popolo, folle e colorata, che troviamo a Plaza 25 de Mayo. I tifosi dell’Union (Los Tatengues, i bravi ragazzi) quel giorno sono costretti a chiudersi in casa e guardare un film, forse due, chiudendo gli avvolgibili delle finestre per provare ad isolarsi dal rumore di trionfo che arriva da fuori. 

Oggi a far festa è il Colón de Santa Fe. I Sabaleros, i pescatori, oggi comandano la città. Per le vie del barrio Centenario si vedono solo il rosso e il nero. 

E io, perso nei colori della festa, mi dimentico che è già tempo di prendere la strada ed inventarmi una nuova avventura, chissà dove.

Testo a cura di Nicola Luperini, per la rubrica “La Tana del Lupo”. Pisano, cura per Football&Life storie nascoste sul calcio dalla provincia ai Mondiali. Ma non solo. Appassionato di Football Manager, racconta qui le sue avventure.

Twitter Account: @NicoLuperini

Immagine di copertina tratta da Wikipedia