Boulaye Dia, il ribelle

Boulaye Dia, il ribelle

Maggio 2, 2023 0 Di Luca Sisto

L’atmosfera che si respira sin dalle prime ore del mattino, racconta di mesi di festeggiamenti arrivati, finalmente, al culmine.

Qualche tempo fa, primi di febbraio, il Napoli che non aveva ancora giocato in Champions con l’Eintracht Francoforte, e neppure Kvaratskhelia aveva ancora segnato quel gol clamoroso all’Atalanta, in città e in provincia, in tanti avevano già idea che questo Terzo Scudetto sarebbe arrivato, più “presto” che “tardi”.

A causa di una chiusura autostradale, ero partito da Scafati, primo paese della provincia di Salerno, confinante con Pompei, ma con 081 come prefisso, per recarmi a lavoro, passando per tutti i comuni del vesuviano, man mano che ci si avvicinava verso la città di Napoli.

Ebbene, fra Portici ed Ercolano c’era già aria di festa. I balconi erano già addobbati con bandiere e festoni azzurri. Ascoltavo la radio, ma la sensazione era netta. Al diavolo la scaramanzia.

Già, il Diavolo. Quello che, dopo l’Eintracht, ci avrebbe rispedito a casa, ad aprile, togliendoci la soddisfazione di una cavalcata Champions più lunga. Non prima di aver affossato il Napoli “aprilante”, privo di Osimhen e della giusta fermezza mentale, al Maradona, anche in campionato.

Napoli – Eintracht e la Coppa del destino

Un mese, aprile, in cui gli uomini di Spalletti si sono riscoperti fragili. Un mese, però, che ha anche regalato uno dei veri gol Scudetto, di un campionato vinto, nella testa dei napoletani, già a gennaio con il 53° punto su venti gare disputate, in quel Napoli-Roma 2-1, prima di ritorno. E suggellato, appunto, il 23 aprile, dal gol di Raspadori allo Stadium. Lo stesso Raspadori che, nell’arco del campionato in corso, aveva segnato un solo altro gol (meglio in Champions come bottino), peraltro decisivo, contro lo Spezia al Maradona. Quel giorno portai allo stadio mio figlio per la prima volta, avevo una mezza premonizione. Al tempo del secondo Scudetto avevo la sua stessa età, ma era difficile che i “grandi” portassero “i piccoli, troppo piccoli” allo stadio. Portandoci mio figlio, seppur in un contesto di curva più tranquillo, ho di certo capito perché.

Una lunga festa Scudetto, a cui Boulaye Dia non si è piegato

Al ritorno dei ragazzi da Torino, a Capodichino, si è scatenata la prima grande festa. In un contesto quasi fictional-gomorriano, i motorini al seguito del pullman degli Azzurri erano il preludio a ciò che avremmo vissuto domenica 30 aprile.

La partita con la Salernitana, inizialmente prevista per sabato 29, era stata rinviata per motivi di ordine pubblico. Calcio e basket, a colpi di ordinanze della prefettura, si sono scambiati i giorni di gara. E mentre sabato la GEVI Napoli batteva Pesaro tornando a sperare in una difficile salvezza, il lunch match di domenica fra Inter e Lazio aveva apparecchiato la tavola.

Ora, immaginate la Salernitana, in lotta per la salvezza, con l’insperata svolta tecnica offerta dal redivivo Paulo Sousa, al posto dell’uomo dei miracoli Davide Nicolaarrivare al Maradona mentre un intero popolo, che vive a meno di 50 km dall’Arechi, è convinto di festeggiare lo Scudetto. Stavolta con l’ausilio della maledetta matematica.

Per di più, senza tifosi granata al seguito. Per carità, sia mai di vedere di questi tempi due tifoserie nello stesso stadio. Fu così anche all’andata, del resto.

Una Salernitana che, dal portiere Ochoa fino all’attaccante Boulaye Dia, era per la verità tutta rintanata nella propria metà campo, a difesa del fortino e del pari.

Ci sono voluti 62 minuti per veder capitolare il piano gara ultradifensivo dei granata. Un colpo di testa del terzino sinistro uruguayano Mathias Olivera, su cross da calcio d’angolo del pimpante Raspadori di questa settimana.

Dopo il gol del vantaggio partenopeo, lo spartito non è cambiato. Il Napoli a gestire il possesso, sempre più lento, e la Salernitana a difendere l’aria di rigore. Sprecano Elmas, su azione personale, e Raspadori, il gol del ko.

Dall’altra parte, però, c’è un guastafeste. Un uomo venuto da lontano, passato dalle notti di Champions con la maglia del Villarreal alle calde atmosfere di Salerno, prima di esultare in faccia ai qatarioti al Mondiale degli Sceicchi, con la maglia della nazionale dei Leoni della Teranga.

Uno che, quindi, di gol estemporanei – pur in una stagione clamorosa in cui è parso davvero fuori contesto, nel senso migliore del termine – se ne intende.

Dia Boulaye! Sembra fare il verso ad “Alì Bumayé”, il canto di battaglia con cui gli abitanti dello Zaire incitavano il fu Cassius Clay ad “uccidere” sportivamente George Foreman, durante il mitico “Rumble in the Jungle” , in quella notte africana del 1974. Davanti a Mobutu e a milioni di telespettatori collegati da tutto il mondo.

Ma questa era solo Napoli-Salernitana. Uno pseudo-derby, di una rivalità campanilista che non ha senso di esistere. Con le bandiere finalmente sventolanti nello stadio stracolmo, ora che conviene al cinema di Aurelio De Laurentiis. Una sfida che sa di Scudetto solo per uno strano scherzo del calendario. In una città in festa da mesi, che attende solo la matematica. Una festa distrattiva in una città auto-distruttiva ed esagerata in ogni goccia di sudore e lacrime versati.

Dia se ne è letteralmente infischiato. Tunnel sulla fascia al miglior giocatore del campionato, Victor Osimhen. Ingresso in area dal vertice destro dell’attacco, e sinistro imparabile sul secondo palo. Uno a uno, col Napoli che in dieci minuti non trova il gol della vittoria, e finisce fra gli applausi dei suoi non troppo delusi tifosi.

Le lacrime del nigeriano raccontano però di uno stress che gli Azzurri si portano dietro ormai da mesi. Quello di un campionato vinto da troppo tempo, con le avversarie che si sono dedicate più alle Coppe che ad ipotizzare una qualsiasi velleità di rimonta. Si spiegano anche così i 18 punti di distacco dalla Lazio dell’ex Maurizio Sarri, unica uscita anzitempo dalle Coppe (prima Europa e poi Conference League) ormai appesa, a sei giornate dal termine, solo all’ipotesi di uno spareggio che non arriverà mai.

Boulaye Dia non si è piegato alle logiche dell’ordine pubblico. A quelle delle TV e dei tifosi che da tutto il mondo hanno invaso Napoli, sperando che la notte del 30 aprile sarebbe durata per sempre.

Al contrario, i granata sono stati accolti come eroi al ritorno nella vicina Salerno. Comprensibile la voglia di farsi beffe dei poco amati vicini di casa. E di festeggiare, a modo loro, un pareggio che sa di vittoria.

L’epilogo di un’impresa napoletana solo rimandata. Ma la sensazione di essersi seduti a capo di una tavola imbandita a festa, con i piatti più prelibati davanti agli occhi, e non aver mangiato bene, resta.

 

Immagine di copertina tratta dal profilo Instagram Footsen1.