Evaristo, il giustiziere del Clásico

Evaristo, il giustiziere del Clásico

Maggio 2, 2023 0 Di Juri Gobbini

Con il suo recente hat-trick nel Clásico, Karim Benzema non solo ha permesso al Real Madrid di qualificarsi alla finale di Coppa del Re, ma ha anche eguagliato Ferenc Puskás, l’unico giocatore blanco capace in precedenza di segnare una tripletta sul campo dei rivali. Un’impresa che né Alfredo Di Stefano né Cristiano Ronaldo – tanto per citare due delle massime leggende merengue – erano riusciti a completare.

L’antagonismo fra Real Madrid e Barcelona ha generato nell’arco del tempo molti aneddoti, numerose storie intrinseche e tanti momenti destinati a rimanere nella storia. Una delle immagini che descrive al meglio la rivalità fu senza dubbio quella che vide il “traditore” Luis Figo bersagliato da un fitto lancio di oggetti, fra cui la testa di un cochinillo, un maialino arrosto.

Tuttavia, le sfide fra i due club più grandi di Spagna sono state testimoni anche di momenti ricchi di contenuti sportivi, uno di questi accaduto il 23 novembre 1960.

Il Clásico in Coppa Campioni negli anni ’50

In quell’occasione il Real Madrid visitava il Camp Nou per il ritorno degli ottavi di Coppa dei Campioni, manifestazione giunta allora alla sua sesta edizione. Fino a quel momento, i blancos avevano fatto indigestione di trofei europei, vincendone cinque. Una supremazia assoluta che mise le fondamenta sulle quali è stata edificata la gloriosa storia del club.

Era da un po’ di tempo che il Barcelona stava cercando di ribaltare la storia a proprio favore, senza riuscirci del tutto. Negli anni precedenti i blaugrana avevano vinto due campionati di Liga e una Coppa del Generalissimo, ma in Europa il Madrid aveva sempre saputo imporre la propria legge. Nell’edizione 1959-60 della Coppa dei Campioni, erano stati proprio i blancos ad estromettere il Barcelona in semifinale, vincendo per 3-1 sia al Bernabéu che al Camp Nou.

La cocente eliminazione aveva visto l’abbandono di Helenio Herrera, e la panchina blaugrana era stata affidata a Ljubisa Brocic, uno jugoslavo giramondo che aveva diretto in precedenza PSV Eindhoven, Juventus, Stella Rossa Belgrado. Nonché le nazionali di Albania, Egitto e Libano. L’avventura di Brocic durò lo spazio di pochi mesi. Tuttavia fu lui che nel novembre del 1960 si trovava in panchina quando il Barcelona sfidò di nuovo il Real Madrid in Coppa dei Campioni.

Sulla carta, i blaugrana non avevano nulla da invidiare al Real Madrid. La difesa poteva contare su alcuni nazionali spagnoli come il portiere Antonio Ramallets e i difensori Joan Segarra, Ferran Olivella e Jesús Garay; in mezzo al campo l’architetto era Luis Suarez – l’unico nato in Spagna a vincere il Pallone d’Oro – mentre dalla cintola in su l’arsenale vedeva la presenza di gente del calibro di Laszlo Kubala, Sándor Kocsis, Zoltan Czibor, Eulogio Martínez ed Evaristo Macedo Filho.

Evaristo: un brasiliano al Barça

Cresciuto nel Madureira, squadra dell’omonimo quartiere nella parte nord di Rio de Janeiro, prima di passare al Flamengo, Evaristo era arrivato in Spagna nel 1957, subito dopo essere stato visto all’opera nel Campionato Sudamericano – l’attuale Coppa America – con la maglia del Brasile. In quel torneo la nazionale verdeoro era arrivata seconda dietro una Argentina guidata in attacco da Omar Sivori e Antonio Angelillo, ma Evaristo ebbe un buon ritorno in termini di gol. Ne segnò infatti ben otto, di cui cinque in una sola partita, contro la Colombia.

Evaristo era entrato a far parte del giro della nazionale brasiliana già dal 1952, quando venne convocato per le Olimpiadi disputate ad Helsinki, torneo vinto dall’Ungheria di Puskás. Nel 1955 l’attaccante carioca debuttò con la Seleção in un’amichevole contro il Cile, lo stesso giorno in cui anche Garrincha vestì per la prima volta la casacca verdeoro.

Dopo gli insoddisfacenti risultati ottenuti nel Mondiale del 1954, il Brasile era alla ricerca di una nuova generazione in grado di portare finalmente la Canarinha sul tetto del Mondo. In attacco, in particolar modo, i posti da titolare erano rimasti vacanti. Edvaldo Izidio Neto, detto Vavá, attaccante del Vasco da Gama, si era impossessato del ruolo di centravanti. Mentre nel Palmeiras si stava affacciando alla ribalta anche un giovane dalle origini italiane: José Altafini.

Tuttavia, a far coppia con Vavá nelle qualificazioni al Mondiale del 1958 fu proprio Evaristo, anche se l’attaccante del Barcelona non andò mai in Svezia. In suo posto in squadra venne così preso da un ragazzino di soli 17 anni, tale Edson Arantes do Nascimento, meglio conosciuto come Pelé.

Secondi i suoi racconti, malgrado l’esplosione di Pelé, Evaristo sarebbe dovuto andare comunque al Mondiale, e incolpò il Barcelona di non averlo lasciato libero. In quegli anni i club potevano permettersi imposizioni del genere, e il Barcelona si era impuntato per via della Coppa del Generalissimo, che si sarebbe giocata in contemporanea con il Mondiale. La Spagna non si era qualificata, e il calendario era stato modificato di conseguenza.

In realtà, Evaristo quella Coppa non la disputò mai. Secondo il regolamento dell’epoca, infatti, ai giocatori stranieri non era consentito giocarla, ma i blaugrana furono impegnati in quelle settimane in alcune amichevoli di lusso, come quella con il Nacional de Montevideo, disputata lo stesso giorno in cui il Brasile di Pelé – autore di una tripletta – annientava la Francia in semifinale.

Dopo il Mondiale, continuando poi a giocare in Europa, per Evaristo fu impossibile ritornare nel giro della nazionale verdeoro. Il brasiliano si concentrò così nella propria carriera di club. Fu uno dei giocatori più talentuosi ad aver calcato il Camp Nou, di sicuro il primo ad averci segnato una tripletta, realizzata nel marzo 1958 contro il Valladolid qualche mese dopo l’inaugurazione dello stadio.

Gol di Evaristo al Real Madrid

Attaccante completo, rapido, tecnico, forte di testa e freddo sotto porta, Evaristo segnò tantissimo in maglia blaugrana, 105 reti in 151 gare, con una impressionante media di 0,69 reti a partita, migliore anche di quella di Romario (0,6), uno dei primi nomi che viene in mente quando si parla di bomber brasiliani che hanno vestito la camiseta blaugrana. Solo Ronaldo – 47 reti in 49 partite ufficiali – ha fatto di meglio.

Nel 1958 Evaristo si prese il lusso di firmare un’altra tripletta, stavolta nel 4-0 rifilato dal Barcelona al Real Madrid, anche se il suo gol più importante arrivò il 23 novembre 1960, in quel famoso ritorno degli ottavi di Coppa dei Campioni.

“Olivella arrivò a fondo campo, e quando vidi arrivare il cross ebbi la sensazione che non ci sarei arrivato con i piedi, perciò decisi di tuffarmi,” dichiarò Evaristo molti anni dopo al Mundo Deportivo. “I fotografi immortalarono me e il portiere in aria, quasi alla stessa altezza, e questa è una foto entrata nella storia del Barcelona.”

L’acrobazia dell’attaccante brasiliano fece epoca, non solo per il gesto tecnico, bensì per il significato del gol. La vittoria 2-1, unita al pareggio (2-2) dell’andata, sancì infatti il passaggio del turno per il Barcelona e la prima eliminazione europea per il Real Madrid. Un fatto mai accaduto nelle altre cinque edizioni della Coppa dei Campioni.

Rotta l’egemonia blanca, il Barcelona si trovò finalmente nelle condizioni di iscrivere il proprio nome nella storia e avviare un ciclo vincente. Invece, i blaugrana si fermarono sul più bello, perdendo in finale contro il Benfica. Iniziò così un periodo disgraziato – almeno in Coppa dei Campioni – che si sarebbe interrotto solo nel 1992.

La carriera di Evaristo in blaugrana si concluse però nell’estate 1962, quando il club provò a naturalizzarlo come spagnolo per poter rinforzare la rosa con un altro sudamericano, il centrocampista uruguaiano Alcides Vicente Silveira.

Un cambio di casacca senza strascichi

Vincitore del Campionato Sudamericano del 1959, edizione dove era stato votato miglior giocatore del torneo, Silveira ebbe una discreta carriera con Independiente e Boca Juniors, ma in Spagna non riuscì a dimostrare il proprio valore. La sua avventura in blaugrana durò infatti appena sette partite. Nel frattempo, però, Evaristo era stato costretto a cambiare maglia. E il brasiliano si accasò nientemeno che al Real Madrid, dove vinse altre due campionati.

Quello che nella rivalità sarebbe dovuto passare come un tradimento, in realtà non lasciò grossi strascichi dal punto di vista emozionale. Anzi, il suo è uno dei pochi casi di un giocatore considerato leggenda in entrambi i club. Questo nonostante l’esperienza di Madrid risultò alla fine meno prolifica di quanto atteso, per colpa di un infortunio al ginocchio che lo mise fuori causa per lungo tempo.

Nel 1965 Evaristo tornò in patria, al Flamengo, per un ultimo cameo prima di appendere le scarpette al chiodo ed avviare una lunghissima carriera da allenatore che lo vide protagonista di alcuni episodi curiosi. Nel 1985 fu lui a prendere in mano la Seleção in vista del Mondiale di Messico, ma il suo sogno fu di nuovo interrotto, stavolta per via di divergenze con la Federazione.

Evaristo e la carriera da allenatore

Rispetto al 1958, comunque, il sogno di Evaristo di andare a un Mondiale si materializzò lo stesso. Il brasiliano venne infatti chiamato nientemeno che da Uday Hussein, figlio del dittatore iracheno Saddam Hussein. L’Iraq si era qualificato infatti al Mondiale, e nonostante le modeste qualità della squadra e la situazione politica del Paese – all’epoca era in corso una feroce guerra contro i vicini dell’Iran – Evaristo accettò l’incarico, rimpiazzando il connazionale Jorge Vieira.

Il suo fu un lavoro più mentale che tecnico, visto che prese in mano la squadra direttamente per il torneo. Come da pronostico, gli iracheni furono eliminati nella fase a gironi, ma riuscirono a non subire nessuna goleada, perdendo di misura le tre gare contro Paraguay, Messico e Belgio. Anzi, la squadra guidata da Evaristo riuscì perfino a segnare un gol, quando Ahmed Radhi accorciò le distanze nella sfida con i belgi, battendo Jean-Marie Pfaff con un diagonale dal limite. Un gol storico, in quanto quella fu l’unica partecipazione della nazionale irachena a un Mondiale.

Evaristo allenò poi anche in Qatar, mentre in patria riuscì anche a vincere qualche titolo, come il campionato nazionale del 1988 con il Bahia o la Coppa di Brasile del 1997 con il Gremio Porto Alegre, oltre a svariati campionati statali. Dopo 56 anni, interamente passati nei campi di calcio, solo nel 2005 Evaristo decise di staccarsi dal mondo del fútbol. Non prima di aver fatto debuttare, durante la sua sesta tappa alla guida del Bahia, un giovane terzino destro, destinato anche lui a diventare leggenda a Barcelona: Dani Alves.

 

Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo, del libro “Dalla Furia al Tiki-Taka” (Urbone Publishing) e de “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina tratta da “Soy Madridista”.