Arsenio Iglesias: il padre del Super Depor

Arsenio Iglesias: il padre del Super Depor

Maggio 14, 2023 0 Di Juri Gobbini

Il 14 maggio 1994, Arsenio Iglesias arrivò stravolto nella sala stampa del Riazor. Il Deportivo La Coruña aveva appena perso la Liga, e il tecnico gallego si presentò davanti ai giornalisti pronunciando una frase mitica, destinata a rimanere impressa nella storia del club: «Mucho que decir, poco que contar.»

Tanto da dire, poco da raccontare. Quel pareggio era un risultato che si poteva analizzare con fiumi d’inchiostro, ma quelle sei parole bastarono e avanzarono per spiegare il surreale pomeriggio vissuto al Riazor. La tenace resistenza di un Valencia che non si giocava nulla. Le distrazioni per le notizie provenienti da Barcelona – il Sevilla si era infatti portato ben due volte in vantaggio prima di cedere ai blaugrana. Infine, il rigore in pieno recupero.

Donato, il tiratore designato, che era stato sostituito. Bebeto che aveva girato alla larga dal dischetto. Il silenzio del Riazor. Alla fine, era stato Miroslav Djukic a prendersi la responsabilità. Ma il suo maledetto errore al dischetto aveva rovinato per sempre la festa di una città e di una tifoseria, che dopo decenni di anonimato si erano trovate improvvisamente al centro delle cronache.

Per Arsenio, oltre alla cocente delusione, anche l’enorme fardello di doversi sedere davanti ai giornalisti e spiegare perché il suo Depor si era inceppato sul più bello consegnando la Liga al Barcelona. Il tecnico, visibilmente commosso, ammise di provare una grande tristezza, soprattutto per la gente. Concluse poi il proprio discorso con “Que Dios reparta suerte” – che Dio dispensi fortuna – uscendo fra gli applausi dei tanti giornalisti presenti.

A dir la verità, Arsenio aveva guardato con circospetto come la città si era colorata di biancoceleste nei giorni precedenti alla gara, tanta era la certezza che il Deportivo avrebbe vinto la sua prima Liga. Il mister era un gallego di provincia, di quelli vecchio stampo, sempre cauto per non dire pessimista. Ne aveva viste tante nei suoi 63 anni – la maggior parte legati al Deportivo – per poter essere fiducioso anche di fronte a un momento storico come quello.

Debutto con gol

Arsenio Iglesias, di mestiere attaccante, aveva esordito con la maglia del Deportivo in una trasferta a Barcelona. Era il 28 ottobre 1951: non troppo distante dallo stadio di Les Corts quel giorno si corse il Gran Prix di Barcelona nel circuito cittadino di Pedralbes, decisivo per assegnare il titolo di campione del mondo di Formula 1. A spuntarla fu l’argentino Manuel Fangio che conquistò il primo dei suoi cinque titoli mondiali.

Il debutto di Arsenio, invece, risultò agrodolce: il Barcelona si impose 6-1, ma il giovane attaccante segnò il gol della bandiera. Una rete che il Mundo Deportivo attribuì erroneamente al compagno Ricardo Vélez, ma che la La Voz de Galicia diede al suo vero autore. Come calciatore, Arsenio rimase a La Coruña fino al 1957, giocando una stagione agli ordini di Helenio Herrera e dividendo lo spogliatoio con un giovanissimo centrocampista, anche lui gallego, che poi avrebbe fatto la fortuna di Barcelona, Inter e nazionale spagnola: Luis Suarez Miramontes.

Arsenio Iglesias da calciatore (foto Marca)

Dopo la retrocessione del Deportivo in Segunda, Arsenio proseguì la propria carriera con Sevilla, Granada – arrivando a una finale di Coppa del Generalissimo, persa contro il Barcelona – e poi Oviedo, prima di chiudere con l’Albacete. Una volta appese le scarpette al chiodo tornò in Galizia, dirigendo per una stagione il Fabril – la squadra riserve del Deportivo – sedendosi sulla panchina del Riazor per la prima volta a metà della stagione 1970-71.

Una costante nella carriera di Arsenio come allenatore furono le tante partite decisive da disputarsi all’ultima giornata. Di quelle da giocarsi con il cuore in gola, dove il confine fra eroe e villano è sottilissimo. Già nella sua stagione d’esordio, il Deportivo si trovò a giocarsi la promozione in Primera all’ultimo turno, in uno scontro diretto con il Rayo Vallecano, che lo precedeva di due punti.

Un gol in avvio di Antonio Eduardo López Beci fu sufficiente a dare al Deportivo la promozione nella Liga, campionato dove rimase però due sole stagioni, con Arsenio Iglesias che lasciò di nuovo per avventurarsi in altre realtà, alternando Primera e Segunda División: Hércules Alicante, Zaragoza, Burgos, Elche, Almeria.

Arsenio Iglesias: l’Ulisse Gallego e la sua Itaca

Arsenio, durante la sua carriera, se ne andò spesso da La Coruña, anche se in realtà non si distaccò mai del tutto dalla sua seconda casa. Come un Ulisse gallego, Arsenio tornò sempre alla sua Itaca, il Riazor, ogni qualvolta ce ne fosse stato bisogno. Anzi, soprattutto nei momenti del bisogno.

Negli anni Ottanta, infatti, l’entusiasmo in città verso la squadra di calcio era ai minimi storici. Gli sportivi de La Coruña, avevano concentrato le proprie attenzioni sul Liceo, la locale squadra di hockey su pista che si stava imponendo come realtà a livello europeo e mondiale. Otto Campionati spagnoli, dieci Coppe del Re, sei Coppe dei Campioni, cinque Coppe Intercontinentali. Prima de Super Depor, il fiore all’occhiello della città era senza dubbio il Liceo.

Il Deportivo, infatti, era passato da essere un equipo ascensor – di quelli che salgono e scendono di categoria con molta frequenza – all’anonimato e ai bassifondi della Segunda. Arsenio, nel frattempo, era finito ad allenare il Compostela, in Tercera, quando il telefono squillò di nuovo. Stavolta la situazione era critica. Il Depor era finito in una spirale negativa che lo stava spingendo verso la retrocessione in Segunda B.

La squadra aveva fallito l’appuntamento con la vittoria per ben 17 partite, e quando Arsenio la prese in mano si trovava all’ultimo posto. Lentamente, con il vecchio condottiero al timone, il Depor riuscì a risalire la china, portandosi all’ultima giornata a pari punti con l’Hércules Alicante e due punti dietro il Bilbao Athletic. Delle tre, solo una si sarebbe salvata.

Al Deportivo serviva non solo una vittoria con il Racing Santander, ma anche una combinazione di fattori a favore. E mentre Bilbao Athletic e Hércules vennero entrambe sconfitte, al minuto 91 la gara del Riazor era ancora inchiodata sullo 0-0.

Con pochi secondi a disposizione, la retrocessione sembrava quindi inevitabile. Il club, in profonda crisi economica, sarebbe probabilmente fallito e sparito dalla mappa del calcio. Invece, il miracolo si avverò: all’ultimo sospiro Vicente Celeiro trovò il diagonale vincente, segnando non solo il gol salvezza, ma anche la rete più importante della storia del club.

Il Super Depor

Senza quella salvezza non avremmo mai sentito parlare del Super Depor, e difficilmente Augusto César Lendoiro – il presidente del pluridecorato Liceo di hockey – si sarebbe imbarcato in quella incredibile avventura. Arsenio rimase alla guida della squadra, che con l’ambizioso presidente iniziò a rinforzarsi e a puntare la promozione. Prima il play-off perso con il Tenerife, poi, finalmente, il secondo posto al termine della stagione 1990-91 che valse il ritorno nella Liga.

Ovviamente, anche in questo caso il finale di campionato non risultò troppo adatto ai deboli di cuore. Il Deportivo si presentò all’ultimo turno in terza posizione, un punto dietro all’Albacete e due dietro alla capolista Murcia, che visitava proprio il Riazor con due risultati su tre a disposizione.

Arsenio riuscì a compiere l’ultimo miracolo, e il Deportivo vinse 2-0 con doppietta dell’attaccante serbo Zoran Stojadinovic. Il mister salutò tutti: troppo stancante la Segunda, figuriamoci adesso, a 60 anni, allenare in Liga. Tuttavia, ad otto giornate dalla fine, nella stagione 1991-92 l’Ulisse gallego tornò di nuovo alla sua Itaca.

Il Deportivo aveva ancora bisogno di lui, e Arsenio – come al solito – non seppe dire di no. Il suo ritorno servì ad evitare la retrocessione diretta, ma la salvezza passò attraverso uno spareggio con il Betis Sevilla, la quarta classificata in Segunda División. Il Deportivo si impose 2-1 al Riazor, sbagliando pure un rigore. Al ritorno il Betis schiacciò i galiziani, che riuscirono in qualche modo a portare a casa lo 0-0.

Una salvezza festeggiata in lacrime da Arsenio, il quale, abbracciandosi al difensore uruguayo Martín Lasarte, pronunciò una delle sue frasi mitiche:“Cuánto sufrimos, Martín!”. Fu in quel preciso instante che vennero messe le fondamenta per il Super Depor, almeno la versione originale, quella made in Arsenio Iglesias.

Scampato il pericolo, Lendoiro impegnò tutta la propria astuzia per rinforzare la squadra. E a dir la verità, anche le risorse economiche che il club non si poteva permettere. Il Deportivo pagherà fattura una decina d’anni dopo, ma in quel momento La Coruña divenne un destino molto attrattivo. Non solo per mestieranti spagnoli, ma anche per squisiti calciatori stranieri, molti di questi brasiliani, Mauro Silva, Donato e Bebeto su tutti.

Arsenio, da buon conoscitore di calcio – sempre contraddistinto dalla sua prudenza – costruì una squadra equilibrata partendo dalla difesa, con il suo motto “Orden y talento” – ordine e talento – che rispecchiò al meglio quel Super-Depor. Dalla cintola in giù, equilibrio tattico, disciplina e risolutezza. Dal centrocampo in avanti, libertà di esprimere il talento. Un talento rappresentato non solo da Bebeto, ma anche da Fran Gonzáles, il ragazzino del posto, o neniño, come era solito chiamarlo Arsenio.

Il rapporto Arsenio-Fran fu di quelli padre e figlio: il vecchio mister rivedeva se stesso in quel ragazzino, che come lui rispecchiava i valori tipici galiziani. Entrambi poi erano nati e cresciuti in provincia, Arsenio ad Arteixo, Fran a Carreira.

Con Djukic come elegante libero a tirare i fili da dietro, con Luis Maria Lopez Rekarte e Nando come infaticabili trottatori sulle fasce, con Voro e Ribera come tosti marcatori, con Donato e Mauro Silva a garantire qualità e quantità in mezzo, con Fran ad illuminare l’attacco, con Claudio Barragán o Javier Manjarin come seconda punta di movimento, e con Bebeto a rifinire le giocate in gol, il Depor decollò verso vette mai toccate prima d’ora.

Il Deportivo dopo la conquista della sua prima Copia del Re (foto tratta da Onda Cero)

In quattro stagioni al Riazor, Bebeto segnò la bellezza di 86 reti, vincendo un titolo di capocannoniere, mentre il portiere Francisco Liaño fu per ben due volte il meno battuto della Liga. Nella stagione 1993-94 il cantabrico stabilì un record ancora imbattuto – Marc Andre Ter Stegen, permettendo – ovvero 26 partite totali senza incassare reti e solamente 18 gol subiti, gli stessi di Jan Oblak (Atletico Madrid, stagione 2015-16).

Oltre alla clamorosa beffa della stagione 1993-94, con Arsenio alla guida il Deportivo conquistò un terzo e un altro secondo posto, stavolta con molti meno drammi. Il Riazor iniziò ad essere teatro di indimenticabili notti europee. Fra le prime imprese realizzate ci fu la vittoria ai supplementari con il Rosenborg; la remontada contro il Tirol Innsbruck – sconfitta 2-0 all’andata; vittoria 4-0 al ritorno. La vittoria 1-0 nell’andata degli ottavi di Coppa UEFA contro il Borussia Dortmund, successo reso però vano dalla rimonta tedesca al termine di una partita di ritorno spettacolare risolta da un gol del giovanissimo Lars Ricken negli ultimi secondi di gioco.

L’Ultimo ballo e l’esperienza di Madrid

Con il Super Depor come rivelazione, tutto il mondo del fútbol spagnolo si accorse finalmente di Arsenio. Mitiche divennero le sue conferenze stampa, piene di aneddoti, dove Arsenio si convertì in un maestro della retranca, la malizia nell’usare giochi di parole o doppi sensi, per nascondere il vero messaggio della frase. Un Arsenio che venne poi ribattezzato lo Zorro, il Brujo o il Sabio di Arteixo. Zorro (volpe) per la sua astuzia, Brujo (stregone) per la sua capacità di fare miracoli in situazioni avverse, Sabio (saggio) per le sue qualità umane ma anche per la sapienza calcistica.

Tuttavia, essere profeti in patria è sempre risultata un’impresa stancante, e per Arsenio non fu diverso. Spesso piovvero critiche da parte di media e tifosi, che gli imputavano l’esagerata cautela in campo e quel modo di fare troppo provinciale, proprio quando il Deportivo si stava convertendo in un prodotto da esportare all’estero.

Il suo rapporto con Lendoiro risultò poi abbastanza freddo, tanto diversi erano i due. Arsenio sempre prudente e riservato, al contrario dell’ambizioso presidente, che non aveva esitato a lanciarsi in spacconate fin dal ritorno del Deportivo nella Liga nel 1991: “¡Barça, Madrid, ya estamos aquí!”

Malgrado le critiche, Arsenio ebbe dalla sua parte i tifosi, quelli della curva. Che in lui videro l’essenza del deportivismo. Il gruppo Riazor Blues sempre lo appoggiò e lo difese, incluso con un coro abbastanza provocativo nei confronti degli altri tifosi, quelli borghesi che stavano seduti in tribuna: “Hay un hombre en Riazor, que todos tratan como un cabron; nadie se quiere acordar, que fue él quien nos ascendió; nos salvò en la promocion, y la UEFA nos llevò; tribuna meno criticar, dedicaros a animar; Arsenio, tú nunca te irás, con los Blues siempre estaràs; Arsenio eres Dios! Arsenio eres Dios!”.

Nella stagione 1994-95 però la sua avventura era giunta alla fine. L’arrivo di Jon Benjamin Toshack per la successiva temporada non era più un segreto, ma Arsenio tirò dritto per la sua strada, portando il Deportivo in finale di Coppa del Re. Una sfida contro il Valencia, la squadra che gli aveva fatto perdere la Liga dodici mesi prima. Una gara che fu giocata in due atti, visto che venne sospesa per un fortissimo acquazzone abbattutosi su Madrid. In quel momento il punteggio era di 1-1, ma quattro giorni dopo, ad Alfredo Santa Elena bastarono cinque minuti per trovare il gol della vittoria.

Il destino, nel calcio, spesso è beffardo, ma quel giorno Arsenio ottenne giustizia. Fu il primo trofeo vinto dal Deportivo nella sua storia e anche il primo titolo per una squadra galiziana. Che a riuscirci fosse stato Arsenio risultò il premio di una lunga carriera, la quale però non si interruppe lì come tutti pensavano.

Nel gennaio successivo, infatti, il telefono di casa Iglesias squillò di nuovo e dall’altro capo c’era nientemeno che Lorenzo Sanz, presidente del Real Madrid. Jorge Valdano era stato appena esonerato, e ai blancos serviva una mano sapiente in grado di rindirizzare la barca.

Il tecnico prese le redini con il Real al settimo posto, ma malgrado i leggeri miglioramenti i blancos arrivarono solo sesti, fallendo la qualificazione alla Coppa UEFA e venendo eliminati dalla Juventus nei quarti di Champions League. Arsenio non se la passò troppo bene nella capitale. Uomo semplice ed umile, fu schiacciato dal peso del club e dal suo gigantesco circo mediatico. Col senno di poi, la sua scelta fu un errore. Ma come ammise lui stesso, quando chiama il Madrid, è impossibile dire di no.

Busto di Arsenio Iglesias (Wikipedia)

Busto di Arsenio Iglesias (Wikipedia)

Una volta ritiratosi definitivamente, Arsenio lavorò come opinionista, guidò la nazionale della Galizia nelle sue sporadiche amichevoli, e tornò a dirigere alcuni dei suoi ex giocatori con la squadra di calcetto dei Veterani del Deportivo. Nel 2016, fu invitato al Riazor per un tributo alla sua figura e se andò dal suo stadio visibilmente commosso per il tanto affetto ricevuto dalla gente. Da quel momento le sue uscite pubbliche si fecero sempre più rare, fino allo scorso 5 maggio, giorno della sua scomparsa.

Ma, come, cantavano i Riazor Blues nel loro coro: “Arsenio, tú nunca te irás”. Arsenio non se ne andrà mai. Perché continuerà a vivere nei cuori e nei ricordi di tutti i tifosi del Deportivo.

 

Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo, del libro “Dalla Furia al Tiki-Taka” (Urbone Publishing) e de “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina tratta da Eldesmarque.