
Guardiola al Barcelona B e la sua prima stagione da allenatore
Giugno 17, 2023 0 Di Juri GobbiniPep Guardiola the G.O.A.T.
Guardiola il sopravvalutato.
Pep Guardiola il manager più influente del nuovo secolo. Anzi, della storia del calcio.
Con quei soldi, qualsiasi fantoccio sarebbe capace di fare un triplete! Io lo chiamerei ad allenare il La Spezia. Poi vediamo di cosa è capace!
Dopo la vittoria del Manchester City in Champions League, il web è stato inondato di opinioni contrastanti su Pep Guardiola, in una estremizzazione tipica – ahimè – dei tempi moderni. Da un lato, chi lo considera uno dei più grandi manager della storia. Da un altro, chi minimizza i suoi successi, considerandoli un’ovvietà per i tanti soldi spesi dai suoi club e per il parco giocatori che ha sempre avuto a disposizione.
Il lavoro di Guardiola come allenatore è stato oggetto di libri, video ed analisi profonde. Specie dal punto di vista tattico. Su di lui si è scritto e detto di tutto. Il tecnico catalano ha senza dubbio cambiato la maniera di giocare a calcio degli ultimi 15 anni. Molti lo hanno copiato integralmente. Mentre altri hanno cercato di riadattare le sue idee agli uomini a disposizione.
Alcuni hanno invece deciso di sezionare il suo modo di giocare per poter identificarne i punti deboli ed annientare squadre sulla carta imbattibili. Nessuno è rimasto indifferente, e già questo basterebbe a sottolineare la sua enorme influenza nel calcio moderno. Lo stesso Guardiola non si è poi cullato sugli allori, evolvendosi nel tempo, con piccole o grosse novità che gli hanno permesso di rimanere nell’élite. Grazie, va comunque detto, anche ai club, che lo hanno supportato appoggiandolo nelle scelte di mercato.
Stagione 2007-08: Guardiola al Barcelona B
Tuttavia, la stagione più determinante nella vita di Guardiola come allenatore fu la prima, quella 2007-08, quando a soli 36 anni prese in mano il Barcelona B, appena retrocesso in Tercera División, la quarta serie spagnola.
Inizialmente, a Guardiola era stato proposto un importante ruolo dirigenziale nel settore giovanile. Ma l’ex centrocampista blaugrana aveva insistito di voler testarsi come allenatore. Un contratto di due anni, con una prima stagione di collaudo dove era però obbligato a far risalire immediatamente il Barcelona B. Se fosse andata male, difficilmente l’estate successiva gli sarebbe stato offerto il timone della prima squadra.
Guardiola assunse le redini del Barcelona B, presentandosi al pubblico con molta umiltà ma con le idee chiare. Nelle sue prime interviste, precisò che il Guardiola giocatore era una cosa, mentre il Guardiola allenatore sarebbe stata un’altra. E ricordando che sarebbe partito da zero, vista la totale mancanza di esperienza.
Il Barcellona di Bobby Robson e l’eredità calcistica della stagione ’96-’97
Formatosi come giocatore sotto la guida di Johan Cruijff, Guardiola aveva avuto anche altri maestri da cui attingere. Bobby Robson, Louis van Gaal e persino Carletto Mazzone e Fabio Capello. Un altro tecnico da cui Guardiola aveva imparato molto era stato poi Juanma Lillo, durante il suo breve passaggio ai messicani del Dorados de Sinaloa. Successivamente si era preso la briga di viaggiare fino in Argentina per visitare Cesar Menotti, Ricado Lavolpe e soprattutto Marcelo Bielsa. A Rosario, in casa del “Loco”, davanti ad un asado, i due ebbero una conversazione intensissima che durò per ben dieci ininterrotte ore.
La puntigliosità di Guardiola si vide anche all’ora di scegliere il proprio staff. Tito Vilanova, Doménec Torrent e Carles Planchart formarono la squadra di fedelissimi con cui si imbarcò in questa prima avventura. Torrent – di recente sulle panchine di Flamengo e Galatasaray – venne selezionato per la sua conoscenza del fútbol regionale catalano, mentre Planchart fu l’incaricato di analizzare le squadre rivali – una novità, in una squadra di quarta serie- compito che occupa tuttora nel Manchester City.
A Vilanova, ex compagno di Guardiola nelle giovanili blaugrana, toccò invece il ruolo di braccio destro. La loro sinergia fu fondamentale nella crescita di Pep come tecnico, tanto che Vilanova lo seguì anche al Camp Nou. Vilanova era stato giocatore professionista con 216 presenze fra Liga e Segunda, e aveva allenato anche le giovanili del Barcelona, dove ebbe ai suoi ordini futuri campioni come Lionel Messi, Gerard Piqué e Cesc Fabregas. In lui, Guardiola trovò sostegno ma anche collaborazione diretta, visto che alcuni accorgimenti tattici – su tutti lo spostamento di Messi nel ruolo di “Falso Nueve” – furono suggeriti proprio dall’assistente.
Non a caso, una volta partito Guardiola nel 2012, il Barcelona decise di affidare a Vilanova la panchina del Camp Nou. Il tecnico catalano riuscì a vincere una Liga, in quello che sembrava un naturale proseguimento del cammino ricco di gloria aperto da Guardiola. Purtroppo, lo sfortunato Vilanova dovette interrompere la sua avventura come tecnico dopo appena un anno per concentrarsi su un’altra battaglia, quella contro un tumore, che purtroppo non riuscì a superare.
Una partenza lenta
Quando Guardiola prese in mano il Barcelona B si trovò di fronte subito ad alcuni problemi: la retrocessione aveva portato allo scioglimento del Barcelona C, la terza squadra blaugrana, ed inoltre si doveva far spazio ai giovani del Juvenil A che avevano appena terminato il corso. Rigirare un minestrone più pastoso del previsto non spaventò però Pep, anche se la squadra partì abbastanza lentamente e questo ritardò la messa in pratica delle sue idee.
La Tercera División di allora era composta da 18 gruppi, da cui sarebbero uscite le 18 squadre promosse in Segunda B, allora ancora divisa in quattro gironi contro i due attuali. Vincere il campionato non sarebbe bastato, perché le prime quattro avrebbero comunque disputato un play-off interzonale contro le squadre provenienti dagli altri gruppi.
Il Barcelona B venne inserito ovviamente nel girone catalano. Là trovò squadre storiche come l’Europa, il Sant Andreu, il Reus o il Palamós, ma fu anche costretto a giocare in campetti di provincia, come quello de la Pobla de Mafumet o de Cassá de la Selva. O quello di Premiá del Mar, dove il 2 settembre 2007 Guardiola fece il proprio esordio assoluto su una panchina.
Davanti ad alcuni spettatori di lusso– fra cui il presidente Joan Laporta- il filial blaugrana si scontrò subito con la dura realtà della Tercera. Un campo in erba artificiale ed avversari agguerriti, con il portiere Oier Olazábal come miglior culé in campo in quel pareggio a reti bianche. La prima vittoria tardò solo una settimana, con un 4-2 casalingo al Balaguer, a cui seguì però la prima sconfitta nella carriera di Guardiola, quella sul terreno del Manresa. Un 2-0 che le cronache di allora attribuirono alla mancanza di fluidità nella circolazione del pallone. Una caratteristica che avrebbe fatto grandi le squadre allenate da Guardiola, ma che in quel momento il mister catalano non aveva ancora ottenuto da i suoi ragazzi.
I risultati, ma non le prestazioni, tornarono comunque. A fine ottobre 2007 il Barcelona ritrovò la vetta, che in quel momento condivideva con Reus e Sant Andreu, anche se gli ultimi due successi erano arrivati con due reti nei minuti finali. Contro il Banyoles, con la squadra sotto 2-1, Guardiola era stato costretto a sostituire l’infortunato Dimas Delgado, rimpiazzandolo con Sergio Busquets, che quel giorno fece il suo debutto stagionale.
L’esordio di Busquets
Era il 28 ottobre 2008, e Busquets esordì firmando il gol del momentaneo pareggio quattro minuti dopo il suo ingresso in campo. Fu la prima di 23 partite disputate da “Busi” con il filial quella stagione. Meno di un anno dopo, il centrocampista avrebbe esordito in Liga e in Champions League, iniziando una rapida scalata nell’élite che lo vide diventare un perno insostituibile del Barcelona e della nazionale spagnola.
L’arrivo sulla scena di Busquets migliorò di molto le dinamiche della squadra – schierata col classico 4-3-3 – e piano piano Guardiola iniziò ad ottenere quella fluidità di gioco che era mancata negli inizi. Il girone d’andata si concluse con il Barcelona B secondo a tre punti dal Sant Andreu, con i giovani blaugrana che erano riusciti a ridurre il gap grazie alla vittoria nello scontro diretto.
Tuttavia, in quel momento c’erano ancora tante cose da ritoccare. A partire da una difesa che incassava tantissimo, ben 24 reti subite contro le sole sei della capolista. Guardiola ebbe poi a che fare con la mancanza di disciplina di alcuni elementi, a cui stava poco a genio l’ossessione del nuovo tecnico e l’eccessiva cura dei dettagli, in campo e fuori.
Incerto sul da farsi, dopo aver chiesto consiglio a Cruijff, Guardiola decise di attuare con il pugno duro. O con me al 100%, o fuori da qui. Una dimostrazione di autorità che in seguito avrebbero pagato anche giocatori come Zlatan Ibrahimovic, Yayà Toure, Mario Mandzukic o Joao Cancelo. A lungo termine riuscì a forgiare lo spirito di gruppo, e il fatto che tutti finalmente remassero nella stessa direzione facilitò l’indottrinamento delle sue idee e la crescita della squadra.

Le decisioni spesso impopolari di Guardiola, il “pugno duro”, l’hanno spesso reso inviso a tanti calciatori – ma chi l’ha seguito, alla fine, l’ha portato in trionfo (foto tratta da wikipedia, Guardiola sospinto in aria dai suoi dopo la vittoria della Champions 2011)
Il girone di ritorno: testa a testa fra Barcelona B di Guardiola e Sant Andreu
Il girone di ritorno vide l’emozionante testa a testa fra Sant Andreu e Barcelona B, con il Reus come terzo incomodo. Ad un certo punto il primo posto sembrava una chimera, visto il distacco di 5 punti a 6 giornate dal termine. Fu un mese d’aprile convulso e ricco di emozioni, non solo sul campo. Il Barcelona B riuscì a chiudere il distacco, sorpassando i rivali in vista dello scontro diretto del Mini Estadi alla penultima giornata. In mezzo a tutto questo, comunque, dalle parti del Camp Nou si respirava un aria talmente tossica che lasciava intendere l’imminente arrivo di un terremoto societario.
Senza speranze di vincere la Liga, eliminato dal Valencia in Coppa del Re, i blaugrana si aggrapparono alla Champions League per salvare la stagione. Il Manchester United non fece però sconti, aprendo ancor di più una ferita che sanguinava da tanto, troppo, tempo. Anche il trono di Laporta era in pericolo, viste le tante pañoladas che il pubblico culé aveva riservato a giocatori e dirigenti. Furono settimane di fuoco negli uffici del club. Il nome di José Mourinho ribalzava con sempre più frequenza, mentre una parte della società spingeva per una soluzione interna, con Guardiola identificato come possibile successore di Frank Rijkaard.
Il giovane mister aveva dimostrato idee di gioco chiare, polso nel gestire lo spogliatoio, e quell’ossessione e maniacalità tipiche dei predestinati, di quelli capaci di cambiare la storia del fútbol. Ma in quel momento, ovviamente, scommettere su lui era un’arma a doppio taglio. Da un lato la leggenda locale, il “noi de Santpedor”, nelle cui vene scorreva sangue blaugrana fin dall’infanzia. Uno che conosceva perfettamente il club, e quello che significava non solo per la città di Barcelona ma per l’intera Catalogna. Da un altro, l’inesperto giovane che si prestava ad assumere una responsabilità probabilmente più grande di lui.
Il rischio di fallimento era alto. Ma chissà, forse Laporta pensò che i tifosi avrebbero avuto più pazienza con una leggenda come Guardiola. Lo stesso ragionamento che aveva fatto Josep Núñez quando chiamò Johan Cruijff nel 1988 nel bel mezzo della più grossa crisi societaria vissuta dal club. E quello che avrebbe fatto di nuovo lo stesso Laporta con Xavi nel novembre 2021. Anche la precedente scelta di Rijkaard, risultata poi vincente, aveva sollevato all’inizio molti dubbi, visto che l’olandese era fresco di retrocessione con lo Sparta Rotterdam.
Guardiola scelto come nuovo allenatore della prima squadra
Dopo settimane di speculazioni, ad inizio maggio il club confermò finalmente Guardiola come nuovo tecnico del Barcelona. I dubbi sollevati da Cruijff – voce sempre ascoltata dalle parti del Camp Nou – su Mourinho, l’insistenza di Txiki Begiristain, allora DS blaugrana, avevano convinto Laporta. Ma prima c’era da terminare la stagione. Il Barcelona B pareggiò lo scontro diretto con il Sant Andreu mantenendo il punto di vantaggio, confermando la vittoria in campionato la domenica successiva, grazie a un sofferto 1-0 al Nou Sardenya contro l’Europa con un gol di Victor Vazquez.
Victor Vázquez era il fiore all’occhiello di quel Barcelona B, una deliziosa mezzapunta che nella Masia aveva fatto parte della “generazione del 1987”, quella comprendente anche Messi, Piqué, Fabregas. Il giovane aveva tutti i mezzi a disposizione per trionfare, ma non aveva fatto i conti con gli infortuni che gli avrebbero impedito il grande salto. In seguito, Guardiola lo fece comunque debuttare con il Barcelona e lui segnò persino un gol in Champions League. Ma la sua carriera si sviluppò altrove: Belgio, Messico, Qatar e MLS.
Il primo posto garantiva un miglior accoppiamento nella griglia di partenza dei play-off interzonali. Ma, per conquistare l’obiettivo della promozione, Guardiola aveva davanti ancora due sfide. La prima fu con il Castillo, squadra di Castillo del Romeral, paesino costiero dell’isola di Gran Canaria. Gli avversari imposero il pari nella sfida d’andata, ma nel ritorno al Mini Estadi i blaugrana vinsero con un contundente 6-0, con doppietta di Emilio Guerra.
Guerra, attaccante malagueño abituato ai polverosi campetti delle categorie inferiori, era uno dei tre fuoriquota permessi dal regolamento scelti da Guardiola per completare il gruppo. Il mister aveva insistito nell’integrare la rosa con tre giocatori più svezzati, e la decisione portò i suoi frutti. Con i suoi 18 gol, Guerra fu il capocannoniere della squadra ed andò a completare un attacco assieme al promettente israeliano Gai Assulin – uno dei tanti “nuovi Messi” che non mantennero le promesse – il venezuelano Jeffrén – che ebbe alcune apparizioni in prima squadra, e divenne famoso per aver segnato il quinto gol nel “Clásico de la Manita” – e soprattutto il canario Pedro, il quale sarebbe divenuto un pilastro del Barcelona nei successivi anni.
Ad attendere il Barcelona in finale fu il Barbastro, squadra della provincia di Huesca. Il filial blaugrana era ormai un treno in corsa, e l’eliminatoria fu liquidata già all’andata, con un 2-0 in trasferta che ammetteva poche repliche. La festa promozione fu celebrata il 15 giugno 2007, con la vittoria casalinga per 1-0, ancora con rete di Victor Vázquez.
Due giorni dopo, Pep Guardiola fu presentato come nuovo allenatore del Barcelona. Il periodo di rodaggio era ufficialmente concluso. Adesso si iniziava a fare sul serio.
Da lì in avanti, il fútbol non sarebbe stato più lo stesso.
Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo, del libro “Dalla Furia al Tiki-Taka” (Urbone Publishing) e de “La Quinta del Buitre”.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.