Claudio Sala: il poeta e la nuova primavera granata
Luglio 5, 2023Il bello dell’estate è anche questo, ti viene in mente un’idea e, magari, non devi nemmeno chiederti il perché, pure la ‘ragion pura’, tanto cara ad Immanuel Kant, va in vacanza e la fantasia corre a briglie sciolte. Già, la fantasia, quella che, solo perché ti capita di vedere un paio di baffi, ti fa riavvolgere il nastro della memoria, fino a quando eri bambino ed assistevi da spettatore ad un duello all’ultimo… pelo. Avevo sette anni quando il Torino di Gigi Radice rinverdiva i fasti remoti del grande Toro di Valentino Mazzola e si aggiudicava lo scudetto, a discapito proprio dell’eterna rivale di sempre, la Juve. Il campionato di A targato ’75-’76 vedeva trionfare i granata di appena due lunghezze (45 punti), e per di più all’ultima giornata.
Alla fine vinsero proprio i baffi di Claudio Sala, il “poeta del gol”, che per il soprannome ho sempre associato al mio idolo d’infanzia, Johan Cruijff, “il profeta del gol” e di quel calcio totale, o meglio universale, che fece innamorare tutti, me compreso, in quegli anni. Sala rappresentava, forse senza nemmeno saperlo, il punto di svolta del calcio italiano, il nuovo che avanzava in modo inarrestabile. Quel nuovo incarnato due anni prima dalla Lazio di Maestrelli, Chinaglia, Re Cecconi e D’Amico (appena scomparso, ahimè), prima che la “vecchia signora” di Carletto Parola si riappropriasse del tricolore, col Toro appena sesto in graduatoria.
Il Toro di Claudio Sala e la stagione ’75-’76
Ma il torneo ’75-’76 stravolge le gerarchie ed anche i ruoli individuali, se è vero che proprio Sala – che gli album e gli almanacchi, nei due campionati precedenti, etichettano dapprima come mezzala di punta e poi addirittura come centravanti – per brillante intuizione di Radice si ripresenta ai nastri di partenza come ala destra (ma con licenza di svariare su tutto il fronte d’attacco) e, soprattutto, con un bel paio di baffi nuovi di zecca e belli folti, degni del suo grado di capitano di quella meravigliosa truppa granata che avrebbe sgominato il dominio bianconero.
Sala che, dopo un precedente prestito al Monza, aveva militato anche nel mio Napoli, durante la stagione ’68-’69, quella dell’addio di Omar Sivori, da cui raccolse il testimone e la stessa maglia n. 10. Sala, che per anni abbiamo conosciuto come “alter ego” in Nazionale dello juventino Franco Causio, “il barone”, suo irriducibile rivale nel derby della Mole, pure lui mezzala prima ed ala tornante (una volta si diceva così…) poi, anche se a Franco i baffi cresceranno solo in seguito.
Sala, che Bearzot, ‘fissato’ col blocco juventino trapiantato in azzurro, relegava in panchina. Inutile dire che parteggiavo per lui e non per Causio, vuoi per la mia congenita ritrosia dinanzi ai titoli nobiliari, veri o putativi che fossero, vuoi perché il Torino, nell’immaginario collettivo, pure di noi bambini, simboleggiava la pacifica insurrezione contro lo strapotere bianconero.
Era con lui che, dopo i primi sei nomi, riprendeva la ‘cantilena’ di un undici che in molti avrebbero mandato perennemente a memoria, “Claudio Sala-Pecci-Graziani-Zaccarelli-Pulici”, con tanto di nome di battesimo per “il poeta”, allo scopo di distinguerlo dall’altro Sala, Patrizio, che di ruolo faceva il mediano, portava il n. 4 e con Claudio non aveva nulla in comune, se non il solo cognome.
Era il Toro di “giaguaro” Castellini tra i pali, che a Napoli, a differenza di Claudio, avrebbe vissuto non la prima, ma la seconda giovinezza. Di Vittorio Caporale, anonimo comprimario nel Bologna e, poi, insostituibile regista difensivo granata, al punto di meritarsi l’appellativo di “Caporalbauer”, come un piccolo Beckenbauer in salsa nostrana. E di Eraldone Pecci, acutissimo cervello di quella squadra ed anche lui, dieci anni dopo, approdato ai piedi del Vesuvio.
Ma, soprattutto, era il Torino dei “gemelli del gol”, Graziani e Pulici, capaci di mettere a segno insieme ben 36 dei 49 gol complessivi dei neocampioni d’Italia, 21 per “Puliciclone”, che si laurea tiratore scelto del torneo. Una formazione che l’anno dopo si sarebbe perfino superata – non solo in fatto di punti ottenuti, addirittura 50, ma pure per le marcature complessive della sua coppia di bomber, 37 contro le 36 dell’anno prima e con Graziani, stavolta, re dei bomber, capace di eguagliare il compagno di squadra e di reparto con 21 centri – ma che, per uno di quei paradossi che solo il calcio sa regalare, avrebbe mancato d’un niente il bis, per ‘colpa’ della solita Juve, guidata dall’emergente Giovanni Trapattoni e prima a quota 51.
I gemelli del gol innescati da Claudio Sala, il segreto del successo
Se, comunque, il Torino di quegli anni regala gioie e successi, mietendo vittorie e consensi, se vanta la coppia di cannonieri più deflagrante della massima serie lo si deve soprattutto al “poeta”, che con invenzioni e scorribande manda in tilt le difese avversarie. La finta come l’improvviso cambio di ritmo di un verso, l’assist simile ad una rima baciata o ad un enjambement, il cross elegante al pari di una perifrasi, il gol paragonabile ad una raffinata sineddoche: per questo ed altro, tanto altro ancora, il popolo granata lo osanna come “il poeta”.
Perché se Cruijff, oltre che “profeta”, è stato definito (da Roberto Beccantini) addirittura “il padre del calcio moderno”, quello che, insieme agli altri ajacidi ha mutato irreversibilmente il corso del football, Claudio Sala ha declamato calcio, rinnovellando nei suoi ‘versi calcistici’ armoniosi, struggenti ed anche nostalgici un mito ineguagliabile e lontano come il grande Toro. Per questo in tanti, se non tutti, gli vogliamo bene e, non se la prenda Causio, lo preferiamo un po’ di più. Perché i baroni, come tutti i nobili, possono anche scrivere la storia di un’epoca, poi, però, passano. I poeti, invece, restano scolpiti nel cuore. Per sempre.
Testo di: Alfonso Esposito. Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.
Ringrazio l’Autore per l’articolo.
Mi ha regalato tante emozioni.
Mi ha fatto tornare bambino.
Quando sognavo di essere Claudio Sala oppure Pulici e purtroppo madre natura mi aveva dato due piedi con i quali sarei potuto essere al massimo Santin oppure Danova oppure Mozzini.
Grazie.
Davvero
Gentile Pino,
Grazie a te per averlo letto e apprezzato. Che dire, piedi come quelli del poeta granata sarebbero rarità anche oggi.
Un abbraccio e continua a seguirci!