Quando il Napoli cercava un….Bomben: l’enigma difesa
Luglio 24, 2023L’attuale staff di mercato del Napoli assomiglia sempre più a quegli imperterriti temerari che, nelle Americhe, in Africa o Dio chissà dove, setacciavano palmo a palmo i corsi d’acqua o sventravano le montagne pur di trovare oro e diamanti. La ricerca di un degno sostituto di Kim – reduce da una fenomenale stagione in azzurro, eppure già sedotto dal fascino della Bundesliga – ricorda anche quelle girandole scosse da un vento tumultuoso, si è perso il conto, ormai, dei nomi dei papabili successori, nemmeno un conclave sarebbe risultato a tal punto indecifrabile.
Dai costosissimi e perciò non abbordabili Scalvini, Le Normand, Konaté, Ibañez e Kilman ad Hancko, Lucumì, Itakura, Bella-Kotchap e Koch, fino ai più proponibili Danso, Schuurs e Lacroix. Alla faccia di quanti, ingenuamente, nutrivano l’incrollabile certezza che, una volta soddisfatta dal club bavarese la clausola di recesso per Kim, la dirigenza partenopea avrebbe magicamente (ed immediatamente) estratto dal cilindro il fatidico successore. Era ovvio, invece, credere il contrario, visto il continuo gioco al rialzo delle quotazioni che caratterizza di questi tempi il mercato, specialmente quando si sa che una società ha denaro da spendere e nessuno, dico nessuno, vuol perdere l’occasione di approfittarne.
È anche vero che non è affatto semplice sostituire uno del calibro del sudcoreano. Normale che gli addetti al mercato e lo stesso presidente De Laurentiis pensino e ripensino sul da farsi. Meglio evitare sorprese o, peggio, fregature. I nomi di Ignacio Fideleff e Bruno Uvini, tanto per capirci, sono ancora impressi come un monito nella mente di chi non dimentica che la rinascita del Napoli è stata tutt’altro che immune da errori o sviste.
Sostituire un grande difensore non è mai facile
Storia vecchia, d’altronde. Per quanti hanno una certa età è facile ripercorrere le ere passate e rammentare qualche nome, presto (se non subito) cancellato dal tempo inesorabile. Ricordo quando, appena bambino, m’innamorai del Napoli di Vinicio, che tra i suoi meriti aveva quello indiscutibile di aver pescato dalla B un terzino, Tonino La Palma del Brindisi, e di averlo reinventato sostituto dello stopper Giovanni Vavassori, infortunatosi ad un ginocchio l’anno precedente e rimasto a lungo inattivo.
A quel Napoli va di lusso, anche se non vince lo scudetto per un soffio, ma può vantare l’attacco più prolifico e la terza miglior difesa (in condominio col Milan) del torneo. La Palma, poi, costituisce con ‘la roccia’ Tarcisio Burgnich una coppia di difensori di rara affidabilità e, mettendo a frutto la sua pregressa esperienza di incursore di fascia, alla fine del campionato totalizza perfino 2 reti in 27 presenze su 30. Intanto, Burgnich si avvicina al pensionamento, Vavassori fatica a ritrovarsi – alla fine non tornerà più il brillante e sicuro marcatore di prima – e, così, il Napoli si rimette a caccia di alternative per la retroguardia, scommettendo addirittura su due elementi ‘di prospettiva’, come si direbbe oggi (molto spesso abusando dell’espressione).
Il primo è Sauro Catellani, cresciuto nel vivaio dell’Inter, passato poi a quel Verona che il Napoli avrebbe strapazzato nella finale di Coppa Italia edizione ’75-’76, quella, per intendersi, col duo Del Frati-Rivellino sorprendentemente in panchina al posto di Luis Vinicio, in aperta polemica col presidente Ferlaino perché, secondo le malelingue (bene informate, però, a quanto pare), si era già accordato con Bruno Pesaola per avvicendarlo.
Per la cronaca l’aitante Catellani è della contesa, peraltro gli spetta la (ingrata) marcatura di Beppe Savoldi, a segno ben due volte nello scoppiettante 4-0 col quale gli azzurri liquidano gli scaligeri e si aggiudicano il trofeo. Ciononostante, Sauro approda in riva al Golfo e vi rimane tre anni, senza però mai convincere. Anche perché nella sua seconda annata partenopea, stagione ’77-’78, il Napoli preleva dal Varese un rampante diciottenne, Moreno Ferrario, che per oltre un decennio, poi, avrebbe ricoperto il ruolo di marcatore centrale da titolare indiscusso.
Per inciso, l’anno del suo arrivo Moreno fa coppia con Francesco Stanzione, a suo tempo prodotto delle giovanili azzurre, voluto dopo qualche tempo a Napoli dall’emergente tecnico Gianni Di Marzio. Prima di rivelarsi una meteora ed essere ceduto appena l’anno successivo al Monza in B.
Il secondo dei neoacquisti dell’estate del ’76 rappresenta un autentico test per riconoscere un tifoso ‘doc’, di quelli che sanno tutto, ma proprio tutto, del Napoli. Gianfranco Guerrini è il suo nome, come La Palma gioca terzino nel Brindisi e, pure nel suo caso, il club di Ferlaino lo ingaggia perché è ormai tempo che la vecchia bandiera Gigi Pogliana, dopo dieci anni di sgroppate sulla fascia mancina, sia ammainata.
Se Catellani non riesce ad imporsi da titolare nel suo triennio di permanenza all’ombra del Vesuvio, Guerrini, invece, il campo non lo vede praticamente mai. Fa appena in tempo a posare con la casacca ornata della coccarda tricolore della Coppa Italia, poi si dissolve nel nulla.
La meteora Francesco Bomben
Non è l’unico dei ‘carneadi’ azzurri, se è vero che poco dopo, nella stagione ’79-’80, si accasa nel capoluogo campano quello che, forse fin troppo fiduciosamente, era stato ribattezzato come ‘il nuovo Ferrario’. Manco quello messo sotto contratto due anni addietro fosse già diventato vecchio. Francesco Bomben è un altro di quelli che mettono a dura prova la memoria dei ‘patuti’ napoletani, zazzera bionda ed appena ventunenne, solo 14 presenze nella serie cadetta con la Spal prima di tentare il grande salto nel Napoli, che nel frattempo salutava proprio Catellani.
Anche per Francesco Bomben nemmeno una presenza in campionato (solo una in Coppa Italia e una in UEFA) e un ricordo fugace e sbiadito con le nuove maglie Puma, quelle con le maniche bordate da una fascia bianca molto simile ad una lingua di calce viva giustapposta sull’azzurro.
Guerrini e Bomben sono gli esempi più lampanti di come certe ‘intuizioni’ di mercato siano destinate a lasciare il tempo che trovano. E non tanto o non solo perché riguardano nomi poco altisonanti. Al Napoli, giusto per insistere sulla retroguardia, sono giunti anche elementi come Vittorio Caporale, libero del Torino scudettato nel ’76, e l’ancora più referenziato Mauro Bellugi, libero-stopper che, quando sbarcò dalle nostre parti, era ancora nel giro della Nazionale di Bearzot.
Ruud Krol: il Profeta e la classe operaia azzurra nella stagione 1980-81
Nessuno dei due colmerà durevolmente il vuoto lasciato da Burgnich, occorrerà attendere l’arrivo del magnifico Rudy Krol perché il pubblico del ‘San Paolo’ possa ammirare uno dei più eccelsi interpreti del ruolo di regista difensivo. E pensare che, per la stagione ’83-’84, il duo Ferlaino-Juliano aveva deciso, clamorosamente a torto, d’ingaggiare Marco Masi, ex enfant prodige di scuola Toro, per assicurarsi il successore dell’olandese volante…
Questo amarcord – solo per limitarsi al ruolo del centrale difensivo e tacendo su quello di fluidificante di sinistra, appena accennato con Guerrini e per il quale sarebbe necessario un capitolo a parte – non può chiudersi senza ricordare le apparizioni, prive di un seguito duraturo, di Raimondo Marino (da non confondere con Vincenzo Marino, terzino destro del Napoli primavera campione d’Italia nel ’78-’79), Roberto Amodio, Carmine Della Pietra ed Ugo Napolitano, tutti tentativi, non riusciti, d’inventarsi in casa una soluzione al rompicapo difensivo.
Testo di: Alfonso Esposito. Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta dall’archivio personale dell’autore.