
La cessione di Osimhen all’FC Centro Direzionale
Luglio 31, 2023La calura estiva ha deciso di rendere ancora più irrespirabile l’aria, mentre mi lascio alle spalle il portone dell’edificio in cui lavoro, al Centro Direzionale. Quel groviglio di lamiere, cemento e vetri che, quando ci batte il sole, diventa incandescente al punto che, pensi, stia per prendere fuoco. Non fosse per i condizionatori a palla.
Fra le aiuole lasciate all’incuria, nei pressi del Palazzo di Giustizia, schizzano a destra e sinistra ragazzi appassionati di skate e parkour. Qualcuno cade, ci riprova, ricade. Nel piazzale, verso sera, passeggiano ormai in pochi. Ci si rifugia nei bar, all’ombra, giocando a biliardino e bevendo una Tassoni.
Passeggiando verso la sagoma del Vesuvio, per raggiungere le scale che portano al parcheggio, cominciano a udirsi, in lontananza, i rumori organizzati dei ragazzi che cominciano a scaldarsi per la partitella.
Ieri c’erano quelli del Bangladesh, del Pakistan, dell’India e dello Sri Lanka, con i loro attrezzi per giocare a cricket. Sembravano davvero molto ordinati e diligenti.
Oggi, invece, è la volta del caro vecchio pallone.
A una decina di metri da me, tra amici che cercano di coniugare il napoletano, l’italiano, l’inglese, il francese e il wolof in mezzo ai gruppetti che compongono le squadre, scorgo la chioma platinata e una maglia numero 9, inconfondibile. Un po’ di esercizi di stretching, qualche indicazione ai compagni, una corsa su e giù per la fascia dirimpettaia al tribunale. Non può che essere lui: Victor Osimhen.
O, quantomeno, uno che gli somiglia parecchio. Da lontano.
Sono le 19:05, il sole comincia ad essere meno cattivo del vero Osimhen lanciato in contropiede all’Olimpico, si può giocare.
Dall’altra parte dell’Italia, a Dimaro, il vero Osimhen ha raggiunto i compagni. La sua cessione sembra lontana, si parla di rinnovo. I ragazzi che lo idolatrano, dopo che ha rovesciato l’ordine costituito che regola il mondo della vita e del pallone, life and football, football and life, possono portare con orgoglio, a testa alta, la sua maglia. Probabilmente “pezzotta”, ma chi se ne frega.
Espiazione: i protagonisti del Napoli e lo Scudetto rovesciato
Gli arabi intanto si sono rifatti sotto. Il PSG deve prima cedere il “traditore” Mbappé, e ha sostituito il più grande calciatore della storia, seppur non la loro, fresco di titolo Mondiale, già una star in MLS, con alcuni ragazzini che saranno una pallida imitazione di quei campioni svogliati, ma che a Parigi, una tifoseria che meriterebbe maggiore rispetto, spera quantomeno siano più affamati.
Già, la fame. Quella che Osimhen e i suoi fratelli, orfani di madre, pativano nelle strade di Lagos vendendo bottigliette d’acque ai semafori. Laggiù in “Africa”, un continente immaginario frutto di migliaia di etnie, dove qualcuno potrà insinuare che magari faccia pure più caldo e che siano abituati, ma vuoi mettere l’afa, la temperatura percepita. E, fra una maledizione al divino e una al cambiamento climatico, mi fermo anch’io a osservare il clone di Osimhen e i suoi amici che corrono sull’asfalto, inseguendo un pallone. Sembra più una partita di basket, dai ritmi, che una di calcio. Passaggi rapidi, pochi dribbling, tanti contrasti, ma meno confusione di quanto potessi aspettarmi.
Per un Osimhen che riesce a tirarsi fuori dalle strade di Lagos, diventando milionario e famoso grazie alle sue abilità con il calcio, altre decine di milioni restano abbarbicate alla vita, aggrappate ad una speranza. Qualche volta si chiama pallone, sport, quello che vi pare. Talvolta è un’interminabile fuga in Europa, alla ricerca di un posto al sole, figurativamente parlando. Chissà che mestiere faccia il Victor Osimhen dell’FC Centro Direzionale. Magari lavora come muratore, o fa consegne su una bicicletta per soddisfare la fame pigra di qualcuno. Oppure vive lì con la famiglia, studia per diventare avvocato e un giorno varcherà la soglia del Palazzo di Giustizia dell’Isola E4 per difendere un ragazzo napoletano come lui, che ha rubato una mela per fame.
E chi può dire se Osimhen, a cui è stato proposto un rinnovo a circa sette milioni annui, non avrebbe il diritto di guadagnarne invece quindici, trenta, in Premier o addirittura sessanta in Saudi League.
Saranno fatti suoi, cosa vuole farci con i suoi soldi. Lui che, tornato quest’estate in Nigeria, da eroe, con lo Scudetto cucito sul petto, dopo aver regalato un sogno atteso 33 anni al popolo napoletano e a tutti i suoi tifosi, ha fatto visita non solo al suo villaggio, ma alla maestra della scuola, che probabilmente avrà avuto meno possibilità di insegnare a lui che ad altri, ma qualcosa deve avergli lasciato di buono.
Lo giudicheremmo? Ok, ammesso e non concesso che non vada mai a giocare in un’altra squadra italiana, Dio ce ne scansi. O peggio ancora, col rischio di ritrovarcelo contro in Champions League, come un Kim qualunque al Bayern Monaco. Sareste capaci di giudicare un ragazzo che nella vita le ha passate tutte, ma che non ha dimenticato? Sarebbero capaci di giudicarlo quei ragazzi che hanno piazzato quattro zaini a mo’ di pali di una porta immaginaria in cui cercare di fare gol, davanti al Palazzo di Giustizia del Centro Direzionale, nel disagio assoluto di un quartiere che avrebbe dovuto rappresentare la nuova City di Napoli?
Non credo. Qualsiasi cosa faccia, nessuno di noi, nessuno di loro, potrebbe giudicarlo.
Quel ragazzo afronapoletano, con i capelli biondi come i suoi, lo stesso taglio, la maglietta che porta il suo nome e numero, Victor Osimhen 9, mentre rifletto su tutto questo, ha appena tirato col destro verso la porta difesa dai senegalesi/napoletani. La palla, un vecchio tango, ha colpito la parte interna dello zaino, si è impennata verso l’interno della porta.
I nigeriani/napoletani urlano: “gol”! E corrono verso l’ipotetico centro del campo. La cessione di Osimhen all’FC Centro Direzionale ha portato i primi frutti: ha segnato proprio lui! O, almeno, uno che gli somiglia.
Immagine di copertina: foto originale dell’autore…scattata da molto lontano.
Grazie, mi hai trasportata lì, al centro direzionale, a pensare alla vita è trascorsi di Ozimhen, mentre guardo una partita di pallone improvvisata, seguendo un ragazzo che sogna ad assomigliargli, per cui è diventato un eroe. E chi sa quanti ragazzini come lui nel mondo. Avrebbe mai pensato il vero Ozimhen, mentre andava a scuola, in quel villaggio natale è sognava di diventare “grande”, che anni dopo migliaia di persone lo avrebbero emulato?