Vito Curlo, la vita in un attimo

Vito Curlo, la vita in un attimo

Agosto 7, 2023 0 Di Luca Sisto

Nessuno ha raccontato il Sud con la sua musica meglio di Rino Gaetano. Un album in particolare, “Mio Fratello è Figlio Unico”, sembra il compendio di tutto ciò che rappresenta il Meridione, dal tacco dello Stivale fino ad arrivare al centro, a Roma Capitale, che rappresenta la cesura netta fra un’Italia e l’altra. Cantando il Sud, Rino, calabrese nativo di Crotone, ma figlio adottivo di Roma, ha cantato l’Italia tutta.

Ascoltando per la milionesima volta quell’album, durante uno dei miei soliti viaggi in auto, fra un Chinaglia che “non può passare al Frosinone” e una “Berta che filava dritto”, il lato A si chiude con una traccia che entra direttamente nelle viscere, nell’anima, delle storie di migrazione e di ritorno, “Cogli la mia rosa d’amore”.

L’ho ascoltata centinaia di volte. Ma quella mattina ho avvertito un’emozione particolare, perché mi ha fatto tornare in mente una storia che tenevo sopita, nello spazio immaginario che divide la conoscenza e la memoria di essa, dall’atto stesso della scrittura, del suo racconto, della prosa.

Vito Curlo: il bambino d’oro di Fasano

Si è acceso qualcosa, ricordando le foto che ne raccontano la vita brevissima ma felice, apparse, col contributo della famiglia, su Fasano Live, grazie all’impegno encomiabile di Massimo Vinale.

Torna alla mente quel ragazzo, considerato un calciatore “forte forte” quando ancora era in fasce. Ma anche uno studente modello, un ragazzo timido, schivo, con i soliti amici fidati con i quali condividere le gioie del mondo. Attaccato alle radici, alla Chiesa, anche quando i genitori, in Svizzera per lavoro per sette anni, lo lasciano nella nativa Fasano, a continuare gli studi.

Ho immaginato le sue estati in Svizzera col fratello, al seguito di mamma e papà, prima che facessero definitivamente ritorno a Fasano. Le strade statali fra Alberobello e Fasano che in meno di mezz’ora, oggi, ti portano a Monopoli, destinazione mare, una delle tante gemme pugliesi sull’Adriatico, nei pressi della quale Vito troverà il suo ultimo respiro, perdendo il controllo della sua Golf GL nera, all’alba della festa patronale che adornava Fasano, il 30 giugno 1981. Aveva solo vent’anni.

C’era una volta in Puglia

Proprio a Fasano si forma calcisticamente Vito Curlo. Mezzala, oggi diremmo, forse, trequartista (termine anch’esso desueto), di cervello e dribbling. Generoso nella corsa, elegante nei giochi di gambe, quelle leve esili a sostenere un corpo la cui parte più consistente era certo la materia grigia, oltre ai baffetti giovanili, atti a darsi un tono più mascolino, e che avrebbe tagliato in quel di Bari.

Il suo primo mentore merita certo un capitolo a sé. Se Vito ha avuto una grande fortuna nella vita, oltre a una famiglia di grandi lavoratori e degli amici sinceri, che ancora lo ricordano con affetto, è stata quella di aver plasmato il proprio talento attraverso dei grandi maestri del calcio.

Il più influente è Giovanni Campari. L’allenatore reggiano lo incontrerà a Fasano, dove Vito esordisce nel 1978-79, in D, mentre è ancora al liceo, per la squadra della città in cui venne alla luce il 18 aprile 1961.

Campari è uno del mestiere. Saggio, navigato, un vero insegnante di calcio. Non è assolutamente un caso il fatto che, nella sua lunghissima carriera, avrebbe fatto tappa persino a Cuba, per allenare la nazionale negli anni ’90.

Quando il Mister si trasferisce a Bisceglie, il suo primo desiderio è quello di chiedere alla società l’acquisto del giovane fasanese, al quale aveva affidato senza remore la mitica maglia numero 7, quella riservata agli elementi che abbinano corsa e fantasia. Vito resta quindi nella sua Puglia, passando ai nerazzurri stellati per la cifra non irrisoria di 25 milioni del vecchio conio.

Cento milioni

Nel giro di una sola stagione, quei milioni di lire quadruplicheranno, quando un altro autentico santone della panchina, il leccese Mimmo Renna, lo vorrà al Bari di Antonio Matarrese. Vito diventa, grazie a due sole stagioni da studente semiprofessionista, un calciatore da 100 milioni di lire, nello sfavillante e vivissimo calcio pugliese dei primi anni ’80, passando direttamente dai dilettanti alla Serie B.

In biancorosso, Vito Curlo si divide fra la facoltà di Giurisprudenza, gli allenamenti con la prima squadra e l’impegnativo campionato Primavera, agli ordini di Mister Catuzzi.

Entra qui in scena la terza figura chiave nel percorso calcistico di Vito. L’uomo che, sostituendo Renna alla guida della prima squadra, dimessosi a dieci giornate dalla fine del campionato 1980-81, avrebbe fatto esordire Vito in B. Una squadra costruita per il grande salto, ma che incontrò difficoltà col carattere burbero di Renna, nonostante elementi di spicco come Frappampina, Iorio e Aldo Serena.

Gol di Frappampina

L’esordio in B di Vito Curlo e la vittoria della Coppa Italia Primavera

Il 26 aprile 1981, Catuzzi inserisce per la prima volta Vito al posto del grande Aldo Serena, in occasione degli ultimi minuti di di un Bari-Varese 2-1. Curlo, con Mister Catuzzi e una squadra di eccellente fattura, che avrebbe costituito l’ossatura del famoso “Bari dei baresi” – che sfiorò la promozione nella stagione successiva  prima di retrocedere in C nell’83- realizza quindi, in pochi giorni, due sogni: giocare da professionista e vincere la Coppa Italia Primavera, al fianco di gente come Ronzani, Terracenere, Giusto, Armenise, Caricola, Nicassio, e Cuccovillo, nella finalissima contro il Milan di un certo Alberico Evani.

Proprio il Milan, in questo caso la prima squadra, avrebbe vinto quel campionato di Serie B, pieno di squadroni, sconvolto com’era dagli scandali che avevano colpito il calcio italiano nella stagione precedente. Il Bari finisce all’ottavo posto, con davanti club come Genoa e Cesena (promosse), ma anche Lazio e Sampdoria. Di scarsa consolazione l’aver concluso il torneo precedendo le altre pugliesi Lecce e Foggia (a metà classifica) e Taranto, retrocesso anche a causa della penalizzazione di 5 punti per il Totonero.

Vito sembra destinato alla grandezza assoluta. Un giorno, quella maglia numero sette biancorossa sarebbe stata sua. Sì, lo sarebbe stata. Se non fosse per quella maledetta sera di giugno.

Lo Stadio Vito Curlo di Fasano, foto dell’autore

Lo stadio di Fasano è intitolato a lui. Sono stato lì, in pellegrinaggio. Il custode mi ha fatto entrare, per scattare alcune foto dall’interno, prima di una sgambata tra la squadra di casa e l’Alberobello. Ho parlato con i presenti, raccontando di Vito a chi non ne conosceva la storia. 

Conserviamo la memoria di Vito Curlo. Figlio di una città, e di una Regione, bella come i suoi dribbling sulla trequarti.

Giovane, per sempre.

 

Immagine di copertina riadattata da Fasano Live – citato nel testo.