Paolo Rossi e il gran rifiuto al Napoli

Paolo Rossi e il gran rifiuto al Napoli

Agosto 14, 2023 0 Di Davide Morgera

In questi caldi giorni di agosto i tifosi napoletani sono un tantino preoccupati. Nessuno dirà loro quando, al di là di quotidiani strombazzanti notizie non si sa quanto attendibili e fake news sui siti, rumors, chiacchiere e distintivi, una trattativa arriverà in dirittura d’arrivo se non c’è il tweet del Presidente o le foto fatte a Villa Stuart per le visite mediche. Tipico il caso di Natan che, rispetto a Kilman, Mavropanos, Sutalo, Danso ed altri, appariva solo uno dei tanti nomi. E poi, i ‘cuoriazzurri’ sono preoccupati dai diversi infortuni e dalla vicenda Osimhen che farebbero pensare a qualche rinforzo sia a centrocampo che in attacco. Insomma, calcio mercato, storia infinita.

Proprio a proposito di Natan e Cajuste, i loro erano nomi ‘sondati’, ‘prospetti’, a cui era stata chiesta la disponibilità a trasferirsi al Napoli perché molte trattative non sono andate in porto. Ci chiediamo perché. Rifiuto ad accettare Napoli? Accordi mai raggiunti tra sponsor, ingaggi e sicurezza di giocare o di integrarsi negli schemi di Garcia? Gioco al rialzo di club e procuratori? Misteri della fede.

Alla fine, verso i ‘mancati colpi’, resta l’indifferenza, l’oblio e, nel caso che vi andremo a raccontare, un sentimento prossimo all’odio. Il tifoso non sta dietro a tante dinamiche. Sa solo che tale giocatore non è voluto venire a Napoli, che non ha capito quanto sia importante giocare nella squadra che fu di Maradona e prima ancora di decine di altri campioni. Una squadra, tra l’altro, che farà la Champions League e andrà a lottare ancora una volta per vincere il campionato. Questo pensano i tifosi, o molti di essi.

Dante pone Celestino V tra gli ignavi dell’Antinferno. Che c’entra il Papa col calcio? Semplice, il sommo poeta fiorentino lo indicò come colui che fece, per viltade, il “gran rifiuto” (Inf., III, 59-60 ). Ebbene, il calcio ne è sempre stato pieno, di “gran rifiuti”.

I grandi rifiuti

Nell’estate dei prezzi pazzi, dei nababbi, del tè nel deserto, dei cammelli e di tutti quelli che hanno un nome che inizia per “Al”, ci viene in mente quando i prezzi folli li facevano i presidenti italiani. Di quando i “ricchi scemi” ( così venivano etichettati molti dirigenti nel secolo scorso ) si chiamavano Buticchi, Fraizzoli, Anzalone, Agnelli o Ferlaino. Il nostro caro Corrado non fu il solo “Al-Sceicc” della scena del calciomercato ma fu quello più bersagliato perché per prendere Savoldi sborsò due miliardi. Prima di lui, Buticchi del Milan aveva offerto 800 milioni di lire per comprare Riva dal Cagliari (una cifra spropositata nel 1972) ma il cannoniere, per l’amore che lo legava alla terra sarda, rifiutò senza mezzi termini.

L’anno dopo l’affare Savoldi, Agnelli superò il miliardo e mezzo per prendere Virdis dal Cagliari ma anche in questo caso fu una telenovela. Il padrone della Fiat si recò personalmente in Sardegna per un estenuante braccio di ferro col giovane cannoniere ma questi rifiutava continuamente il trasferimento. Pietro Paolo Virdis spiegò che non ce l’aveva con la Juve ma la sua era una presa di posizione chiara: non voleva lasciare la sua terra. Tira e molla, batti e ribatti, alla fine del calciomercato Virdis accettò, pur sapendo che doveva giocarsi il posto con Bettega e Boninsegna. In questo caso potremmo parlare di “gran rifiuto” a metà.

Tra il presidente del Milan e quello della Juventus ci fu lui, Corrado Ferlaino, nell’era in cui i giocatori si compravano con i soldi degli abbonamenti allo stadio. Dopo Savoldi, infatti, l’ingegnere ci provò quattro anni più tardi con Paolo Rossi. In quella occasione, per il “gran rifiuto” di ‘Pablito’, il tifoso partenopeo la prese davvero male nei confronti del giocatore che ‘osò’ rifiutare la maglia azzurra.

Diciamocela tutta. Da quel momento in poi il rapporto con il centravanti fiorentino non fu più quello di prima ed il giovanotto non ispirò più simpatia come quando segnava caterve di reti col Vicenza. Il pallone a Napoli è un sentimento viscerale e se Tizio o Caio non viene a giocarci è come se Maria o Nunziatina rifiutano le tue ‘avances’, il tuo corteggiamento. E’ una delusione troppo forte, guagliù. Le possibili reazioni del tifoso ‘innamorato’ ? Il rapporto può trasformarsi in odio-amore (della serie “il giocatore è bravo, bisogna ammetterlo, ma non tiferò mai per lui”) o in odio completo (“può essere il Padre Eterno del calcio ma non applaudirò mai un suo gol”). Riavvolgiamo il nastro.

Argentina 1978: Paolo Rossi è la nuova grande promessa italiana

L’Italia, sotto la guida del naso storto ed ammaccato di Enzo Bearzot, va in Argentina col blocco Juventus, qualche sprazzo di Torino qua e là (del resto il tecnico friulano è un noto ‘cuore toro’) con Zaccarelli, Pulici, Pecci, Graziani, Patrizio e Claudio Sala, ed un paio di giocatori giovanissimi ma che già fanno parlare di sé. Uno si chiama Cabrini, è bello come un fotomodello anche se balbetta un po’ e l’altro è il centravanti del Vicenza Paolo Rossi, un paio di menischi già saltati alle spalle ed una timida ed incerta fluidità di linguaggio fiorentino davanti ai microfoni.

Freddezza e smarcamento, sarà lui l’eroe, l’uomo nuovo, la new sensation di quei Mondiali. Tocchi di fino, un ottimo possesso palla, il fiuto dell’area di rigore ed una capacità di finalizzare sotto porta da sfiorare il 100% delle occasioni che gli si presentano.

Nel campionato appena concluso ha messo a segno 24 reti nel Vicenza di G.B. Fabbri, un record anche quello. Gracile lo è, ad inizio carriera qualcuno lo scartò, disse che non sarebbe andato oltre il Prato in Serie C, non ha il fisico del bomber, ma la butta maledettamente dentro. Per me quei Mondiali furono essenzialmente Paolo Rossi. Era la novità, ispirava simpatia e poi non aveva la maglia a strisce bianconere ma…biancorosse. Anche lì, il dettaglio fece la differenza.

Di quelle notti in cui la Rai si collegava con l’altra parte del Mondo per trasmettere le dirette dal paese dei generali, della dittatura, del gran rifiuto di Cruijff che non volle unirsi alla squadra ‘orange’ in segno di protesta. Di quando l’Italia, con Bettega, fece una partita ‘monstre’ e ‘mostrò’ il più bel calcio di quei mondiali, ricordo soprattutto lui, Paolo Rossi, battezzato subito ‘Pablito’. Un nomignolo che non gli fu dato quando ne fece tre al Brasile facendo piangere un’intera nazione nel 1982, ma proprio quando danzava col pallone nella Pampa verde degli stadi e ballava il Tango con le reti che si gonfiavano ai suoi tiri.

Il gran rifiuto di Paolo Rossi al Napoli di Ferlaino

Quando Ferlaino ed il d.g. Giorgio Vitali provarono a prendere Rossi nell’estate del 1979, però, cambiò tutto. Accordo fatto con Giusy Farina, presidente del Vicenza, prezzo stabilito (prestito per due anni, due miliardi e mezzo cash), nessun procuratore a mettersi di mezzo, la ricerca della casa a Via Petrarca, l’ingaggio proposto e accettato. Poi il “gran rifiuto”. Il giovanotto non se la sente di venire a Napoli a fare coppia con Savoldi, immagina che alla prima palla persa i tifosi lo avrebbero inondato di fischi.

Ovviamente gli fanno vedere un film. Napoli ha sempre saputo attendere, anche ‘Beppe gol’ alla prima di campionato tirò tre volte il rigore per avere ragione del Como ma nessuno lo massacrò. Il napoletano è paziente. Capisce quando dai tutto per la maglia e col tempo, anche nel caso di ‘Beppe gol’, nacque uno splendido rapporto che dura ancora oggi. Ma ‘Pablito’ non ne volle sapere. Fece cambiare tutti i titoli dei giornali, gli strilloni avevano già annunciato “Paolo Rossi al Napoli, è fatta!”.

Lui, mingherlino ed esile, sfidò un’intera città. Sentì troppo il peso delle responsabilità sulle sue spalle, temeva in cuor suo di deludere l’esigente pubblico partenopeo. Non gli piacevano le troppe attenzioni che nella nostra città vengono date ai calciatori.

Ebbene, non la mandammo giù. Da quell’estate Rossi fu il nemico di tutti. Le simpatie mutarono in un battibaleno. Ieri amore, oggi odio. Se ne andò al Perugia e quando coi Grifoni giocò a Napoli l’anno successivo, in un San Paolo pieno come un uovo, di sabato, 90000 spettatori vennero solo per lui. Ma non per applaudirlo come si fa con un campione. Vennero per fischiarlo. Tra lacrimogeni lanciati dalla polizia e disordini all’interno e all’esterno dello stadio. Ed ancora oggi sento, assordante, quei fischi nelle orecchie.

Infine, Spagna 1982. Paolo Rossi diventa campione del Mondo.

L’Italia trionfa. Paolo Rossi è l’eroe incontrastato in Spagna con sei reti e anche grazie alle sue realizzazioni gli azzurri si laureano campioni del Mondo. Martellini impazzisce meno di Adani al gol di Higuain in rovesciata, Pertini sventola il fazzoletto bianco in tribuna e gli azzurri fanno un magnifico ed infinito giro di campo. Ma quel giocatore con la maglia numero 20, vi prego, nominatelo con cautela ai tifosi napoletani.

 

Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:

Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).

Napoli, sfumature d’azzurro: beffe e belle partite, vittorie e sconfitte. Tutte le sfide nazionali ed europee dal 1909 ad oggi.

Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.

Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.

Le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.

L’immagine di copertina è tratta da wikimedia commons.