Rivellino, il campione brasiliano che sbarcò in Arabia Saudita
Agosto 31, 2023L’estate del 2023, calcisticamente parlando, passerà agli annali come quella dell’esodo verso l’Arabia Saudita. Dopo Cristiano Ronaldo, l’apripista, sono arrivati a ruota tante altre stelle del calcio mondiale, da Karim Benzema a Sadio Mané, fino a Neymar.
L’asso brasiliano, anch’egli attratto dal “progetto” saudita, si è accasato di recente con l’Al-Hilal, pluridecorato club che ha vinto cinque degli ultimi sette campionati. Tuttavia, Neymar non è il primo crack brasiliano a vestire la maglia biancoceleste dell’Al-Hilal. Oltre quarant’anni fa, esattamente nel 1979, toccò infatti a Roberto Rivellino arrivare in Arabia Saudita, chiamato dal connazionale Mario Zagallo, il quale sedeva proprio sulla panchina dell’Al-Hilal.
Quella di andare all’estero a concludere la propria carriera non era allora – così come oggi – una novità. Gli anni Settanta segnarono infatti il boom del soccer negli Stati Uniti, con l’esperimento della NASL [North American Soccer League] e l’arrivo di molti campioni, da Pelé a Franz Beckenbauer, da Johan Cruijff a George Best.
Anche Rivellino fu tentato dai New York Cosmos, con cui giocò una gara amichevole nel 1979, ma poi decise per l’Arabia, dove concluse una strepitosa carriera iniziata nel 1965 con la maglia del Corinthians.
“Sai da rua, Roberto”!!!
I Rivellino erano una famiglia molisana originaria di Macchiagodena che arrivò in Brasile nell’immediato dopoguerra. Come spesso accaduto ad altri cognomi italiani, fra errori di trascrittura e adattazioni fonetiche, una “elle” si perse in Sudamerica, tanto che in molte pubblicazioni viene utilizzato Rivelino per riferirsi al crack italo-brasiliano.
Il piccolo Roberto, nato a São Paulo nel 1946, imparò l’arte del calciatore nelle strade polverose della metropoli brasiliana, tanto che la sua biografia scritta da Osvaldo Pascoal Pugliese si intitolò proprio “Sai da Rua, Roberto” [Vieni via dalla strada, Roberto]. Quelle era infatti la frase che ogni giorno sua madre gli gridava, preoccupata che si andasse a mettere in qualche guaio.
Dopo aver cambiato la strada per il futsal, ed essere stato poi rifiutato dal Palmeiras, Rivellino si accasò alla fine al Corinthians, debuttando professionista proprio con il Timão nel 1965. Passò poco tempo, comunque, per vedersi cambiare il soprannome. Da “Garoto do Parque” [Ragazzino del Parco] si passò così a “Reizinho do Parque” [Reuccio del Parco] con il parco in questione, quello São Jorge, sede dell’antico stadio del Corinthians.
Ben presto Rivellino si lasciò crescere anche dei vistosi baffi neri – che tuttora porta – a donargli l’aspetto di un pistolero, guadagnandosi così un altro nomignolo, quello di “Bigode”, che vuol dire appunto baffo in portoghese.
Il Brasile dei cinque numeri 10
La consacrazione internazionale di Rivellino arrivò nel 1970, quando venne convocato per il Mondiale di Messico. Quella brasiliana fu la nazionale più favolosa mai vista in un Mondiale, un concentrato incredibile di tecnica, potenza e creatività, bellezza ed efficacia. Con tanta concorrenza, Rivellino dovette abbandonare il proprio numero preferito, in quanto i carioca già potevano contare su altri quattro numeri 10: Jairzinho (Botafogo), Gerson (São Paulo), Tostão (Cruzeiro) e ovviamente Pelé (Santos).
A Rivellino toccò così la casacca numero 11, e in campo ebbe un ruolo differente, partendo largo a sinistra. L’attaccante paulista non risentì comunque del cambio di posizione, concludendo il torneo con tre reti, di cui una nei quarti con il Perù e una in semifinale con l’Uruguay. In finale rimase a secco, ma i suoi dribbling e le sue finte fecero venire ugualmente il mal di testa ai difensori italiani, quel giorno impotenti di fronte alle bocche da fuoco brasiliane nel loro massimo splendore.
In Messico, oltre a vincere la Coppa Rimet, Rivellino ottenne un altro soprannome, quello di “Patada Atômica”, per via del suo potente tiro con cui aveva perforato la porta cecoslovacca nella gara d’esordio.
La ”patada atomica” di Rivellino
Il calcio è pieno zeppo di leggende, qualcuna inventata di sana pianta, alcune esagerate per dare colore alla storia. Altre sono invece talmente bizzarre che episodi del genere possono essere capitati solo in Brasile. Come quella della punizione di Rivelino che costrinse il portiere della Tunisia ad abbandonare il campo.
Il portiere in questione, Sadok Sassi detto Attouga, leggendario numero uno tunisino a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, riuscì a parare in qualche modo la bomba dell’attaccante brasiliano, ma lo sforzo fu tale che fra l’impatto e la conseguente caduta si ruppe una spalla. Sembrò una scena del cartone animato “Holly e Benji”, invece fu pura realtà. Conoscendo le doti di Rivellino, nessuno si sorprese che il portiere ne fosse uscito malconcio.
La scomoda eredità di Pelé
Stilisticamente Rivelino era un giocatore peculiare. Alto appena 170 cm, possedeva la leggerezza dei ballerini all’ora di fintare e dribblare, ma allo stesso tempo un quadricipite di titanio che gli consentiva di scoccare tiri di una potenza e precisione inaudita. Testa alta, enorme visione di gioco, Rivellino è considerato inoltre – assieme all’ex compagno di squadra Sérgio Echigo – l’inventore del “dribbling ad elastico”. Una finta che negli anni in molti hanno tentato di copiare, con i vari Ronaldinho, Cristiano Ronaldo, Romario e Neymar fra i suoi più estrosi imitatori.
Dopo Messico 1970, e con l’addio di Pelé alla nazionale, arrivò per Rivellino l’occasione di prendersi finalmente la numero 10 anche con la Seleção, con cui partecipò ad altri due Mondiali. Nel 1974 si ripeté, segnando altre tre reti nel torneo, incluso due nel girone di semifinale, ma la corsa della Canarinha si fermò contro l’Olanda di Johan Cruijff, troppo superiore anche per i brasiliani.
In Germania Rivellino fu involontario protagonista di un curioso episodio nella gara contro lo Zaire. Il brasiliano si stava preparando a tirare un calcio di punizione dal limite quando un difensore avversario si avventò sulla palla gettandola a 50 metri di distanza, con la sfera che quasi lo centrò al volto. Al momento si pensò ad un gesto irresponsabile, o al massimo un fraintendimento. Solo in seguito venne fuori la verità sulla nazionale africana, con i giocatori sull’orlo di una crisi di nervi a seguito delle minacce che arrivavano dal Paese, allora governato dal dittatore Mobutu.
L’uomo della transizione fra due generazioni
Rivellino si presentò al via anche nel Mondiale del 1978, sempre con la numero 10 sulle spalle ma stavolta anche con la fascia di capitano. A 32 anni era il veterano della spedizione e l’unico crack rimasto della mitica squadra di otto anni prima. Rivellino simboleggiò anche la transizione calcistica brasiliana, facendo da ponte fra due generazioni che incantarono il mondo, quella del 1970 e quella del 1982.
In Spagna Rivellino ovviamente non andò. Si era ritirato nel 1981 ed era stato sostituito in attacco da Zico – che già nel 1978 stava scalpitando dietro le quinte – con i vari Socrates, Falcao, Eder e Cerezo che avrebbero dovuto guidare la Canarinha verso la gloria, un cammino interrotto però dal nostro Paolo Rossi.
In Argentina, invece, Rivellino si infortunò subito nella partita d’esordio, e riapparve in campo solo contro la Polonia, gara che avrebbe potuto proiettare i brasiliani in finale se non fosse stata per la successiva – e sospetta – goleada argentina ai danni del Perù che qualificò invece gli uomini di Cesar Menotti per differenza reti. Quello di Rivellino fu un Mondiale sfortunato, e la finalina di consolazione contro l’Italia rappresentò anche la sua novantaduesima e ultima apparizione con la nazionale verde-oro.
Idolo di Maradona
Rivellino è considerato uno dei grandi del calcio brasiliano. Questo malgrado un curriculum a livello di club alquanto modesto, dato che vanta appena due Campionati Carioca conquistati con il Fluminense, squadra dove approdò nel 1975, oltre che un Campionato Saudita ottenuto nella sua esperienza con l’Al Hilal.
Le sue gesta sono comunque rimaste scolpite nella storia, e persino gente che non lo ha visto giocare si ricorda di lui. Come i due influencer brasiliani del canale YouTube Mariana e Pedro pelo mundo, i quali hanno di recente visitato il paesino di Macchiagodena, da dove proviene la famiglia Rivellino.
Chi lo aveva visto giocare invece, era stato un giovane Diego Armando Maradona, rimasto incantato dai numeri del brasiliano. “Pelé è stato un fenomeno, tanto di cappello, però quando [il Brasile] entrava in campo, io avevo occhi solo per Rivellino […] Lo idolatravo perché era mancino, per la sua eleganza, perché lo vedevo ribelle […] Rivellino racchiudeva tutto quello che io avrei voluto essere come giocatore di fútbol: ribelle, spietato, goleador quando necessario, maestro nel passare la palla a suo piacimento. Però sempre con il mancino…”, dichiarò qualche anno più tardi in una intervista Maradona.
Per qualcuno, quelle parole furono l’ennesima frecciata dell’argentino verso Pelé. Per altri, invece, una sincera forma di ammirazione verso uno degli idoli della propria gioventù. Maradona e Rivellino, in seguito, ebbero comunque l’occasione di incontrarsi in alcuni programmi televisivi e instaurare una genuina amicizia. Anche se fu ovvio che l’allievo avesse superato di gran lunga il maestro.
Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo, del libro “Dalla Furia al Tiki-Taka” (Urbone Publishing) e de “La Quinta del Buitre”.
Immagine di copertina tratta da wikipedia.