Il Napoli 1979-80: un puzzle malriuscito
Settembre 3, 2023Ci sono amarezze che ti porti dentro e che, anche a distanza di decenni, fatichi a cancellare. Perfino più di una retrocessione, che personalmente ho vissuto quando ero già adulto e vaccinato. Perché, da bambino, lo spettacolo più sconcertante è stato vedere il mio Napoli anonimo ed inconcludente.
Era terminato da un po’ il ciclo – breve, ma quanto mai intenso – del Napoli ‘zonista’ di Luis Vinicio, ormai della ‘vecchia guardia’ resistevano solo ‘pal ‘e fierro’ Bruscolotti, Tonino La Palma, Peppe Massa e Totonno Juliano (gli ultimi tre solo per un altro anno). Il club azzurro aveva anche provato, nell’estate del 1977, ad intraprendere la strada della nouvelle vague con il rampante Gianni Di Marzio in panchina ed una sfilza di volti nuovi in campo. Beppe Savoldi, tuttavia, era attorniato da un nugolo di onesti comprimari, come Mattolini, Stanzione, Restelli, Pin e Capone. Ma l’esito non era stato entusiasmante, un sesto posto in campionato ed una finale di Coppa Italia persa all’Olimpico di Roma contro l’Inter (1-2).
Le stagioni immediatamente precedenti e la fine dell’era Di Marzio
Non sarebbe andata granché meglio l’anno dopo, col divorzio prematuro da Di Marzio, l’ammaina bandiera di Juliano, capitano di lunghissimo corso, finito contro ogni pronostico al Bologna, il ritorno di ‘‘o lione’ in sala comandi e l’approdo sotto il Vesuvio non solo di due ex campioni d’Italia col Torino di Radice, ‘giaguaro’ Castellini in porta ed il libero Caporale, ma pure del moto perpetuo Filippi, punto di forza del ‘Real Vicenza’ di Gibì Fabbri, di Mimmo Caso, campano di Eboli ma fiorentino di adozione, e di Claudio Pellegrini (o Pellegrini III, per gli almanacchi) dall’Udinese.
Niente, nemmeno questo era bastato per risollevare significativamente le sorti del ‘ciuccio’, di nuovo sesto in graduatoria e semifinalista nella coppa nazionale. L’unica novità di un certo rilievo era la maglia, griffata Puma e resa originale, se così si vuol dire, dalla sparizione del tradizionale righino bianco dal colletto a ‘v’ (in alcune foto, però, il colletto appare interamente bianco), compensata da due bande, sempre color latte, che ornavano le maniche, ma che alla mia innocente fantasia fanciullesca ricordavano quelle lingue di calce che i muratori frettolosi spennellavano su un muro nella speranza di coprirne le sbrecciature.
Napoli 1979-80: un calciomercato al risparmio
Era il preludio del grigiore avvilente che avrebbe ammantato di sé la stagione ’79-’80, sempre con Vinicio al timone e la stessa casacca bislacca, ma con un’autentica rifondazione dell’organico, soprattutto in mediana e sotto rete. Sì, perché dopo la partenza di Pellegrini per Avellino, il ritorno, proprio al Bologna, di Savoldi ed il ‘gran rifiuto’ di Pablito Rossi, che aveva preferito il Perugia nonostante la corte spietata di Ferlaino, si decide di reinvestire il capitale stanziato per garantirsi le prestazioni dell’ex vicentino in una miriade di ingaggi che, nelle intenzioni, dovevano rifare il look al club. Io, però, lo ricordo come il Napoli incompiuto e dei doppioni.
Già in difesa, dove non basta Caporale come libero, il sodalizio partenopeo punta al raddoppio con Mauro Bellugi dal Bologna – già stopper ed ancora nel giro della Nazionale di Bearzot – ed ingaggia Francesco Bomben, biondissimo marcatore della Spal, con una manciata di presenze in cadetteria ma, comunque, pomposamente presentato quale ‘nuovo Ferrario’. Come se Moreno, rilevato dal Varese appena due stagioni prima, fosse già passato di cottura.
Attaccanti che non segnano…
Ma è in attacco che si toppa di brutto, poiché per il vuoto lasciato da Savoldi e Pellegrini si pensa bene di richiamare alla base Walter Speggiorin – che, ingaggiato nel ’76-’77, non aveva entusiasmato ed era stato subito sbolognato al ‘Perugia dei miracoli’ di Castagner, dove era rinato, ma sempre nel suo ruolo di ala sinistra – ed Oscar ‘flipper’ Damiani, altro cavallo di ritorno, che si era vestito d’azzurro nel lontano ‘72-’73.
Nessuno dei due è un centravanti nel vero senso della parola e lo si capisce bene al termine dell’annata, con appena cinque centri in due (quattro Damiani ed uno solo Speggiorin) ed un totale di 20 miseri gol in 30 gare per un reparto che conta (si fa per dire) anche sulle giocate di Capone – punta di movimento e, soprattutto, di complemento – e di un giovanissimo Musella, di rientro dal prestito al Padova, ma ancora acerbo, anche per il ruolo, a metà tra il trequartista e l’attaccante.
Un centrocampo di doppioni poco assortiti
A centrocampo, poi, la collezione di doppioni si rivela quasi imbarazzante: nel tentativo di azzeccarne almeno uno, a Vinazzani, che nel frattempo si era guadagnato i galloni di titolare, la dirigenza somma come mediani sia Guidetti del Vicenza che Agostinelli della Lazio, quest’ultimo indicato come erede di Luciano Re Cecconi, forse più per la zazzera bionda che per altro.
Un altro ex laziale, Badiani, va a duplicare Filippi nel ruolo di cursore di fascia, ma il vero sforzo ‘creativo’ si registra in cabina di regia, col rientro del ‘baronetto di Posillipo’ Gianni Improta – reduce da un quadriennio tra A e B al Catanzaro ma già ultratrentenne – e l’acquisizione del cartellino del semisconosciuto ventiduenne Erasmo Lucido, che, nonostante la nordica capigliatura, dorata come i raggi del sole, è siculo verace di Isola delle Femmine, appena un gettone in A col Bologna e una fresca militanza tra i cadetti con la neopromossa, ma subito retrocessa, Nocerina.
Erasmo Lucido: l’emblema di una stagione senza sussulti
Forse è proprio Lucido l’emblema di una stagione anonima e senza sussulti, con appena sette vittorie, ben nove sconfitte e la bellezza (si passi l’amara ironia) di quattordici pareggi, con un incolore piazzamento al decimo posto. Addirittura alle spalle di Ascoli, Bologna, Cagliari e dello stesso Perugia, in flessione dopo lo storico secondo posto nel torneo precedente. In questo quadro che definire mesto è eufemistico – e che porterà, quasi giocoforza, ad una nuova rivoluzione l’anno seguente – Erasmo si fa ricordare per un bel gol su punizione indiretta alla Roma di Liedholm, dopo soltanto quattro giri di lancette nella quarta giornata al San Paolo.
Sulle spalle una maglia pesantissima, la n. 8 di Juliano, eppure con un suo bolide da fuori area incenerisce Paolo Conti e, soprattutto, minaccia di lesioni personali i componenti della barriera romanista, inclusa una promettente mezzala, Carletto Ancelotti. Finisce 3-0, anche grazie ad una doppietta di Damiani, rondine che non farà primavera per la prima linea napoletana.
Resta questo l’unico acuto del centrocampista azzurro, che scende in campo solo cinque volte in campionato ed altre cinque tra Coppa Italia (dove mette a referto un’altra rete) e Coppa Uefa. Vinicio, poi avvicendato da Sormani, gli preferisce l’esperienza di Improta, forse perché, a dispetto del cognome, lo stile di gioco di Lucido è fin troppo lineare ed ordinario per un Napoli già modesto di suo. Per il torneo successivo Erasmo è spedito in C1 alla Ternana, dove parte titolare solo quattro volte, penalizzato dalla concorrenza interna dei vari Stefanelli, Redomi e Valigi, quello che, poi, il ‘barone’ Liedholm vorrà nella Roma dello scudetto ’82-’83, tributandogli l’onerosa investitura di ‘erede’ nientemeno che di Falcão.
Il vivaio: unica consolazione
Di Lucido resta il ricordo sbiadito di quel pomeriggio ottobrino, in un malinconico autunno illusoriamente camuffato da primavera per quel Napoli che aveva provato a cambiar pelle, ma era risultato nient’altro che un puzzle malriuscito.
Con l’unica, effimera, consolazione della rampa di lancio concessa a giovanissimi virgulti dell’allora fertile vivaio azzurro, come Celestini, Raimondo e Vincenzo Marino, Volpecina. Per questo, quando oggi leggo ed ascolto commenti fin troppo severi di alcuni confratelli di fede calcistica, che si sentirebbero accontentati dal calciomercato solo se venissero messi sotto contratto Mbappé ed Haaland insieme, mi vien da sorridere e ripeto, tra me e me, quasi a mo’ di scongiuro, i nomi di quel Napoli, più anonimo del milite ignoto.
Testo di: Alfonso Esposito. Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da wikipedia.