Nino Musella: la drammatica scomparsa di un talento
Settembre 7, 2023Sono volati nel vento dieci anni come il suo ciuffo quando dribblava gli avversari al San Paolo. Furono drammatici i primi due giorni che seguirono la sua morte in un fine settembre del 2013. Tanti gli interrogativi, tanti i cattivi pensieri che rischiarono di trasformare la morte di Gaetano Musella in un giallo come quello di Denis Bergamini a Cosenza. Un caso creduto chiuso tanti anni fa ma riaperto con delle accuse molto gravi nei confronti della fidanzata dell’ex calciatore calabrese, sospettata di averlo soffocato.
Dopo il ritrovamento del cadavere di Musella in località Caprazoppa, nei pressi di Finale Ligure, si parlò anche di probabile omicidio. Resta il dato di fatto che nessuno vide o udì qualcosa, nessuno che abbia testimoniato o detto qualcosa alle forze dell’ordine. Il turista tedesco che lo ritrovò morto nelle prime ore di quel pomeriggio chiamò subito il 112 e sul posto accorsero i carabinieri di Albenga e Finale Ligure.
La zona fu immediatamente recintata alla ricerca di indizi che potessero far comprendere cosa avesse causato la morte dell’ex calciatore. Il giocatore era stato trovato solo con una t-shirt, senza pantaloni, nascosto tra i cespugli, in una zona notoriamente frequentata da coppie omosessuali. Due giorni dopo l’autopsia portò a galla la verità. Gaetano era morto per un infarto fulminante e probabilmente non riuscì a chiedere aiuto a nessuno. A poca distanza dal corpo le sue ciabatte che, sfortunatamente, non potettero dire nulla. Nino era in una zona isolata, lontano dalla macchina di un suo amico con la quale aveva raggiunto quel posto, dopo aver fatto colazione.
Nonostante l’evidenza dell’autopsia (nessuna ferita, nessuna ecchimosi che potesse far pensare ad una morte violenta), si cercò di gettare fango sulla vita di Nino ipotizzando fantasiose storie legate al luogo dove fu trovato il cadavere e alle persone che lo frequentavano. Accuse infamanti che, a dire il vero, quasi tutti i giornali liguri respinsero al mittente perché Nino Musella era conosciuto e ben voluto nella zona per aver allenato la Sanremese in Serie C2, nella quale aveva giocato anche il figlio Alessandro. Calunnie ed insinuazioni che continuarono anche dopo, clamorosamente smentite poi dalle dichiarazioni di persone vicino alla famiglia le quali affermarono che già nei giorni precedenti il decesso Nino aveva avvertito i sintomi di un infarto.
Gaetano Musella: il talento di Fuorigrotta
Il ciuffo che ha portato fino al giorno della sua dipartita lo faceva sembrare un eterno scugnizzo alla ricerca di un prato verde o di uno spazio, nella sua Fuorigrotta degli anni ’60, che gli permettesse di fare quello che più gli piaceva fare. Giocare a pallone. Dribblava anche i tavolini e le sedie di casa sua, Gaetano Musella, nato nel gennaio del 1960 ad un tiro di schioppo dal Tempio. Aveva la testa folta di capelli ma anche piena di idee, di quelle che trasformano il pensiero in azione in meno di un secondo.
Quando calciava o gestiva la palla sapeva già, un attimo prima degli altri, cosa doveva fare e dove doveva indirizzare la sfera. Addirittura, chi lo conosceva bene, giura di averlo visto spesso guardare a sinistra e tirare a destra e viceversa. Come faceva, Nino? Il giocatore partenopeo, cresciuto nelle giovanili del Napoli, che lo notò proprio nello spiazzale del San Paolo, aveva doti naturali ed un destro che comandava come se avesse la bacchetta magica. Il pallone, una volta partito dal suo piede, sembrava telecomandato. Fu per questo che nel Napoli che sfiorò lo scudetto nel 1980-81 mister Marchesi puntò tutto su quel ventenne dandogli più di una responsabilità. Una fiducia che Nino ricambiò con 5 reti in 30 partite ( tutto il campionato, in pratica ), quasi tutte decisive.
Aveva debuttato con Di Marzio nel gennaio del 1978 ad un’età in cui a stento hai un po’ di barba e inizi a pensare di fare il calciatore. Il fisico c’era, gli mancava l’esperienza e forse un po’ di razionalità in più per diventare quello che quasi tutti avevano profetizzato quando lo avevano visto giocare. Poteva Musella essere realmente un ‘crack’ e diventare il nuovo Rivera? Il Napoli decise, così, di mandarlo a farsi le ossa nel Padova in serie C dove Gaetano totalizzò 23 presenze e 8 reti. A quel punto, in una squadra che aveva deciso di puntare sui giovani da far crescere intorno alla chioccia Krol, il ritorno a Napoli fu cosa fatta.
Il ritorno a Napoli dopo il prestito al Padova in C
Quel trequartista sbarazzino era pronto per la squadra del suo cuore. E con lui Celestini, Cascione e Raimondo Marino, tutta gente nata nel 1961 a cui andava aggiunto un Ferrario classe 1959, già ‘giocatore fatto’ ma giovanissimo. Nino aveva solo 20 anni ma Marchesi lo buttò da subito nella mischia. Ne fece il collante tra attacco e centrocampo in qualche partita ma lo utilizzò spesso anche da punta pura in un tridente tutto “tric trac e mortaretti” con Damiani e Claudio Pellegrini.
Fu in una di queste occasioni, il 12 aprile del 1981, che Nino fece godere le migliaia di tifosi napoletani accorsi al vecchio Comunale torinese, una rete che molti tifosi assoceranno con quanto fece sei anni più tardi Bruno Giordano in un altro Torino – Napoli sdoganando di fatto il primo scudetto degli azzurri. Zero ad uno con Musella e zero ad uno con Giordano, cosa vuoi di più? Nel primo caso scudetto sfiorato, nel secondo centrato in pieno. Le vittorie più belle sono proprio queste, ci perdonino le triplette di Cavani e le quaterne di Mertens ai granata.
Fine corsa
Dopo un altro buon campionato, chiuso con 27 presenze e 3 reti, il Napoli lo diede al Catanzaro dove rimase per 4 stagioni diventando uno degli idoli dei giallorossi. Poi il Bologna fece di tutto per averlo, nell’anno del primo scudetto napoletano, e qui Nino si fermò un solo anno. Fu questo probabilmente il suo canto del cigno poiché, dopo i felsinei, passarono solo treni provinciali per il talento partenopeo.
E la sua vita errabonda in provincia continuò con la Nocerina, l’Ischia, l’Empoli, la Juve Stabia ed il Palermo quando navigavano nelle serie minori. Chiuse nei Dilettanti al Latina prima di intraprendere la carriera di allenatore nelle giovanili del Napoli e poi in una decina di squadre in serie C tra cui il Campobasso, la Casertana e il Sorrento.
Si concluse così, lontano dalla sua Napoli, la vita brevis di un piccolo eroe scugnizzo, di uno che dava del “tu” al pallone. E che forse aveva un po’ di riverenza in più solo se la sfera passava prima dai piedi di sua maestà Rudy Krol.
Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:
Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).
Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.
Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.
Le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.