L’Olimpo di Altofonte: Totò, Salvo, Tarcisio e la legge del tempo
Settembre 16, 2023Prologo: Seul 1988
Brahim Boutaib, 21enne marocchino, si lancia in un clamoroso allungo poco dopo la metà di gara della finale dei 10.000 metri. Alle sue spalle inseguono il pari età Kipkemboi, Kenya, e il fenomeno del mezzofondo italiano, Totò Antibo, quarto a Los Angeles nell’edizione precedente, vinta dal connazionale Alberto Cova.
Totò ha voglia di riscatto, è cresciuto. Il suo passo è costante ma deciso. Tiene la scia del kenyano e incolla gli occhi su Boutaib, distante una trentina di metri. Anni dopo racconterà che il suo rimpianto è stato credere che Boutaib avrebbe mollato. Ma non lo fece.
Dove tutti i telecronisti, dalla Rai a Telecapodistria vedono una medaglia all’orizzonte, Totò, ancora oggi, vede una sconfitta. In volata straccia Kipkemboi e corre ad abbracciare Boutaib, il quale ha rallentato solo sul traguardo, a medaglia d’oro acquisita, per voltarsi in segno di rispetto verso gli altri componenti del podio. “Gli ho fatto i complimenti, non pensavo avrebbe potuto tenere quel ritmo fino alla fine. Ma ho imparato da quella sconfitta, mi è servita”. L’argento non gli basta. Umile e competitivo, sempre, Totò Antibo.
A Spalato vincerà l’oro europeo facendo doppietta nei cinque e diecimila. Poi, però, accade qualcosa. La storia si interrompe bruscamente.
Il tempo scorre solo in avanti
“Io non ho paura della morte, ho paura del tempo”, fa dire il regista Christopher Nolan al Professor Brand, personaggio interpretato da Michael Caine in Interstellar.
Perché quella di Altofonte e dei suoi tre illustri parchiani è una storia che parla del tempo, più che della morte. E il tempo non torna, se non nella nostra testa. Nei ricordi di ciò che è stato, nella vana illusione di ciò che sarebbe potuto essere. Trecentocinquanta metri sul livello del mare, Altofonte guarda a Palermo e Monreale alla ricerca di un’identità perduta, il cui recupero passa, per insolita assonanza, dal parco sportivo Recupero Bruno, che i cittadini locali stanno tentando di rilanciare nel ricordo di Salvo. Salvatore Recupero Bruno, per l’esattezza, ciclista incompiuto, strappato da un fato avverso ad una vita di successi.
L’estate breve di Altofonte
Primi anni ’80. L’estate altofontina è calda ma non intollerabile. Qui, la polvere si solleva dallo sterrato della vecchia Linea Ferrata, nell’incedere impetuoso dei passi di tre ragazzi, a poca distanza anagrafica l’uno dall’altro.
Sono Totò, classe 1962. Salvo, classe 1965. E Tarcisio, classe 1967, che insieme ai suoi fratelli Giancarlo e Vitaliano torna ogni estate nella nativa Altofonte, dopo aver passato la stagione scolastica a Fuorigrotta, Napoli, dove i tre vivono con la famiglia. Tanto che, amichevolmente, Tarcisio viene appellato “U Napoletano” dai ragazzini del paese.
Corre, Totò, come se non avesse mai fatto null’altro nella vita. La pianta dei suoi piedi sembra fluttuare nell’aria, non tocca il terreno, solcato dalla bicicletta di Salvo. Tarcisio segue al piccolo trotto con i fratelli. Il suo attrezzo si chiama pallone, e le partite al vecchio campo sportivo coinvolgono tutti, in amicizia, non prima di una spremuta d’arancia al chioschetto. Tra Salvo e Giancarlo ci scappa persino una piccola zuffa, da ragazzi. Le classiche beghe da giovani alle prese con la palla che rotola. Totò si diletta con indosso una maglia dell’Inter, ma il suo calcio è debole, il suo sport è un altro. Quando corre, non lo prendi più.
Antibo è la stella del paese, e viene adottato dal CUS della “capitale” Palermo. Una distanza che copre fisicamente e idealmente come noi comuni mortali attraversiamo la strada per portare i bambini a scuola.
Eppure, in una gara di corsa, Salvo riesce persino a tenergli testa. Ormai è pronto, Recupero Bruno. Spinto dal padre, prende la sua bicicletta e se ne va nel frusinate, a Ceprano, dove crescono campioni come Franco Vona, che diventerà fido e impareggiabile gregario di Gianni Bugno.
Salvo è una promessa solo da compiere, a livello Juniores, quando fra sé e il grande salto nel professionismo gli si para davanti un leggero malessere. Il verdetto della visita medica è impietoso: il suo cuore fa le bizze, gli viene sottratta l’idoneità sportiva. Salvatore non ci crede. Ripensa a chi col soprannome di “cuore matto”, e la medesima patologia, ci ha costruito una carriera da campione. Quel Franco Bitossi, capace di vincere 21 tappe al Giro e 4 al Tour.
Oggi, lo stesso Franco, non avrebbe potuto correre. E neppure Salvo, che se ne torna mestamente nella sua Altofonte, sempre in sella alla bici. Giancarlo lo invita a distrarsi un po’ al campetto, per tirare due calci ad un pallone. Salvatore è triste, non vuole neppure andarci.
“Credo che la vita per certi versi sia scritta, le cose devono accadere così come accadono, non puoi farci nulla”, mi racconta Giancarlo. L’orologio di Salvo si fermerà lì, in quel campetto, il 5 settembre 1985. Non aveva ancora compiuto vent’anni, lui che era venuto al mondo nel giorno del Bambin Gesù, e che non poteva che chiamarsi come il Salvatore.
Tarcisio Catanese, anima bella al centro del campo
Tarcisio è un atleta pulito tecnicamente e veloce nella testa più che nelle gambe. A scuola, a Napoli, se ne accorgono tutti. Quel ragazzo vince le partite dei tornei di quartiere grazie alla sua presenza al centro del campo. Ma non vince da solo, è in grado di far giocare meglio i suoi compagni. Anzi, fa di più: migliora l’atmosfera che lo circonda, come se il suo essere lì, in quel preciso istante, avesse una funzione mediana e purificatrice.
Lo racconta l’amico d’infanzia, Sabino. L’incontro fortuito al di fuori del contesto scolastico, in fila per entrare nel tempio di Fuorigrotta. Ancora oggi l’incubo di padri e ragazzini, quelle file interminabili per prendere posto in Curva e nei Distinti. Ed all’epoca non esistevano certo i biglietti numerati.
Eppure, Tarcisio, con la sua giacca a quadri che fa tanto anni ’80, insieme alla sua famiglia, tiene quella fila con ordine e classe spensierata. Come se il suo tempo scorresse più lentamente, come se ogni suo gesto rispondesse ad un rituale ben preciso, quello del calcio e della sua messianica apparizione domenicale.
Tarcisio vive per il calcio. Fa già parte degli Allievi Nazionali del Napoli. Con lui c’è gente come Ciro Ferrara, che due o tre cose avrà da scriverle nella storia del gioco.
Ma è un Napoli fatto di campioni, in un calcio che non attende e Tarcisio eccelle in un ruolo, quello del centrocampista avanzato, che nel club a livello senior è piuttosto ben coperto.
Comincia dal mancato esordio in prima squadra il suo peregrinare. A Reggio Calabria incontra il suo maestro, Nevio Scala. E non è affatto casuale che l’allenatore veneto lo porti con sé a Parma, dove ottiene la promozione in A, nell’anno del secondo Scudetto del Napoli.
Il 23 settembre 1990, alla terza giornata d’andata del campionato 1990-91, il Parma affronta proprio il Napoli di Maradona, con lo Scudetto cucito sul petto e una stagione che si prospetta lunga e tortuosa e che vedrà ben presto il sipario calare definitivamente sulla favola del Diez alle pendici del Vesuvio.
La vittoria dei neopromossi per 1-0 non racconta del tutto l’andamento di una partita dominata, con i padroni di casa che avrebbero potuto dar seguito con più gol alla rete decisiva del “Sindaco” Osio. Catanese è il cervello del centrocampo. Quando in Italia si comincia a giocare a due tocchi e la zona prende il sopravvento sulla marcatura a uomo, Tarcisio gioca ad un tocco, e la palla corre spedita come il suo pensiero.
In terra emiliana si sta costruendo la leggenda che accompagnerà il club di Tanzi a dettare calcio in Italia e in Europa per un decennio abbondante. Tarcisio, sotto la guida di Scala, sembra lì per fare il salto di qualità. Ma la necessità per Catanese di far fronte al servizio di leva (gioca anche per la nazionale militare) e l’acquisto dell’attaccante svedese Tomas Brolin, con conseguente cambio modulo, forzano il Mister ad infoltire di polmoni il centrocampo.
Cuoghi prende il posto di Tarcisio Catanese nell’11 titolare e non ne uscirà più. Tanto che nell’agognato ritorno al San Paolo, il sogno di una vita, Tarcisio non gioca. E poco importa se quella sarà l’ultima grande prestazione di Maradona nella sua Napoli. Catanese non c’è, e la delusione è tanta. Mitigata solo dalla storica vittoria in Coppa Italia degli uomini di Scala, nella stagione successiva. Ventidue minuti in campo, subentrando a Zoratto, nella finale d’andata persa a Torino contro la Juve. Prima della riscossa parmense condita dal decisivo 2-0 della gara di ritorno.
Tarcisio andrà via da Parma per riassaggiare tanta serie B, per poi assaporare un fugace ritorno quattro anni più tardi, condito da sole cinque presenze. Montevarchi, Brescello e Reggiana sono le sue ultime squadre da professionista, fra C1 e C2.
Tarcisio Catanese allenatore
Appesi i consueti scarpini al chiodo, Tarcisio continua ad insegnare calcio, passando dal campo alla panchina. Evoluzione naturale per chi ha esperienza professionistica ad alti livelli, abilità tecniche e conoscenze tattiche.
Ma il suo spessore è soprattutto fornito dalle qualità umane. Una caratteristica in particolare ne determina il distacco dalla media: l’empatia.
“Quando ero a terra, martoriato dagli infortuni, lui c’era: è stato il mio maestro, nel campo, e il mio mentore, nella vita, perché il lavoro di Tarcisio Catanese con i suoi ragazzi andava sempre al di là del calcio. Era sempre umile, empatico, pronto a dare una mano e ad organizzare attività per cementare il gruppo”.
Vito Migliore, ex calciatore ed attuale allenatore in seconda e istruttore dell’under-12 del Como, che ha avuto Catanese come allenatore a più riprese: negli allievi nazionali del Palermo, alla Nissa e a Castelvetrano.
Proprio alla Folgore di Castelvetrano, in Eccellenza, Tarcisio Catanese ha gettato le basi per il rilancio della società, al tempo in gravi difficoltà economiche. Al punto che, quando gli stipendi tardavano ad arrivare, si batteva in prima linea affinché a venir pagati per primi fossero i protagonisti silenziosi del club, come il magazziniere, che di quel lavoro dovevano viverci. L’obiettivo di quella stagione 2015-16 era la salvezza, centrata con largo anticipo grazie ad un ottavo posto finale in coabitazione col Mazara, battuto nel derby al Marino, e con l’impresa di aver realizzato 4 punti su 6 contro il Gela, vincitore di quel campionato.
“L’ho apostrofato sempre come il ‘Mister Garbato’. Uno di quegli allenatori che sentivi poco, perché gli bastavano pochi semplici gesti per farsi capire. Aveva vinto a Trapani, ed aveva guadagnato un ruolo importante per la Juventus in Sicilia, come talent scout. Castelvetrano rappresentò l’ultima tappa della sua carriera, prima di tornare ad insegnare calcio ai giovani, a Bagheria. Per noi tifosi veri di Castelvetrano, è un vanto nella disgrazia”.
Salvatore Di Chiara, storico di Castelvetrano e appassionato di calcio a tutte le latitudini.
Epilogo: battiti senza tempo
Sabato 9 settembre 2023 si è tornati a ricordare con affetto la figura di Salvo, ad Altofonte, nel campo sportivo che porta il suo nome e che l’ha visto da vivo per l’ultima volta. Proprio la famiglia Catanese è da sempre in prima linea nel sottolineare l’importanza della memoria.
Anche il cuore di Tarcisio Catanese ha fermato i suoi battiti ad Altofonte, in una notte di marzo, il 2, 2017. Aveva 49 anni. Parlandone con Giancarlo, ho ritrovato quell’amore fraterno che non tutti possono vantare. L’impressione che, se avesse potuto, Giancarlo, quel cuore se lo sarebbe strappato dal petto per regalare a Tarcisio vent’anni della sua vita.
Ma questo non è possibile. Tuttavia, se il tempo scorre solo in avanti, è lì che dobbiamo guardare. I valori e il ricordo di Tarcisio sono elementi sì del passato, ma che possono proiettare i giovani di Altofonte nel futuro.
Non possiamo permetterci di lasciare indietro i tre eroi di questo Olimpo virtuale. Recentemente, Totò Antibo, la cui storia sportiva si è interrotta dopo Spalato, una volta riscontratagli una patologia invalidante come l’epilessia, ha voluto ricordare egli stesso Tarcisio Catanese, spendendo parole di affetto verso un uomo dal cuore davvero troppo grande. Oggi Totò non può lavorare e vive della pensione dello Stato, ricevuta, a 15 anni dal ritiro, per meriti sportivi.
Lo stesso Stato che si è ricordato poco e tardi di lui. Ma l’Italia dello sport, quella vera, non dimentica chi le ha permesso di correre più lontano, in una calda notte italiana, a migliaia di chilometri di distanza, nello stadio Olimpico di Seul.
Dalla Corea ad Altofonte. Dalla Sicilia all’Emilia. Siamo noi a coprire le distanze, raccontando e conservando con l’imitazione e l’emulazione i valori dei nostri eroi.
Questo pezzo è dedicato ad Altofonte, ai suoi cittadini e agli eroi sportivi del paese.
Da un’idea del nostro carissimo amico, l’Avvocato Sabino Rascio.
Si ringraziano: Giancarlo e Vitaliano Catanese; Sabino Rascio; Vito Migliore (ex calciatore agli ordini di Mister Catanese, e attuale allenatore in seconda degli under-12 del Como) e Salvatore Di Chiara (amico e appassionato di storia e sport di Castelvetrano), per le preziose interviste e testimonianze e per il tempo che ci hanno concesso.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia: Altofonte alle pendici del Monte Calvario.