Oriundi: lo strano caso di Dante Mircoli e Mendoza
Ottobre 8, 2023Allora, c’erano cinque brasiliani, un tedesco ed un venezuelano…..Non è una barzelletta ma sono tutti gli stranieri che giocavano in serie A giusto 50 anni fa, nel campionato 1973-74. Nené (Cagliari), in Italia dal 1963-4, acquistato dalla Juventus, Sormani (Vicenza) dal 1961-2, acquistato dal Mantova, Altafini (Juventus) dal 1958-9, acquistato dal Milan, Cané (Napoli) dal 1962-3, acquistato dal Napoli, Clerici Napoli) dal 1960-1, acquistato dal Lecco, Schnellinger (Milan) dal 1963-4, acquistato dal Mantova e Mendoza (Genoa), dal 1971-2, acquistato dall’Udinese. Fine della storia. Poi se vogliamo divertirci a trovare vari intrecci tra chi nacque all’estero ma fu considerato italiano a tutti gli effetti, il numero è ancora più esiguo.
Tre sono i giocatori i cui natali sono extra Italia. I difensori Wilson (Lazio), nato a Darlington ma trasferitosi in Italia perché la madre era partenopea, Gentile (Juventus), nato a Tripoli e vissuto in Libia fino all’età di 8 anni e l’attaccante Desolati (Fiorentina), nato a Genk in Belgio dove restò fino ai 14 anni. E poi c’è “Lo strano caso del signor Mircoli”, il centrocampista della Sampdoria, nato a Ladispoli ma trasferitosi in Argentina da bambino, a cui va aggiunto quello di Klaus Bachlechner, il difensore del Verona, nato a Brunico ma più tedesco che italiano, nome compreso.
La chiusura delle frontiere
Nel 1966, quando la Nazionale Italiana tornò dalla disastrosa spedizione mondiale in Inghilterra, la F.I.G.C. disse basta con gli stranieri dopo la sconfitta contro la Corea del Nord. Chiuse le frontiere del calcio, bisognava lavorare sugli italiani, i forestieri avevano ‘rovinato’ il nostro calcio. Almeno così si disse e, dopo quasi 60 anni, il tema appare molto attuale visto che non partecipiamo ad un Mondiale dal 2014. Quando ci fu la ‘Grande Riforma’ poterono restare in Italia solo gli stranieri che erano già in rosa. Il Napoli, con Canè, fu una delle poche società italiane ad avere ancora un “importato” in formazione.
Agli azzurri va anche un altro primato, quello di avere avuto nell’organico l’ultimo straniero del campionato, Sergio Clerici, prima della riapertura del mercato nel 1980. Nomi strani, esotici, dal sapore sudamericano o nord europeo, non se ne sentirono più per diversi anni, sulle figurine Panini si vedevano giocatori rigorosamente ‘made in Italy’, nati e cresciuti nei posti più assurdi dello stivale. Ovviamente senza orecchini, tatuaggi, capelli strani, numeri vicini al 100 e….procuratori. Erano gli autoctoni, quelli che dovevano portare il calcio italiano alla riscossa dopo la doppia debacle mondiale. Eh, sì, perché abbiamo citato l’Inghilterra del ’66 ma non dimentichiamoci di Cile 1962, usciti dopo la ‘scazzottata’ coi padroni di casa, e di Svezia 1958 dove neanche ci qualificammo.
Poi gli anni ’70. Per chi consultava gli almanacchi, però, ogni tanto, veniva fuori un nome strano e ci si chiedeva chi fosse, come era capitato nel nostro campionato se le frontiere erano chiuse. L’ostacolo si aggirava con qualche parente italiano, una storia di emigrazione in famiglia o con una lapidaria sentenza in cui si affermava che il calciatore Tizio era cresciuto calcisticamente in un vivaio in Italia.
Fra gli oriundi: Mendoza e Dante Mircoli
Li chiamavano “oriundi” quando di stranieri, come abbiamo visto, non erano rimasti che pochi esemplari, quelli dell’ultima apertura alle frontiere. Questi ultimi sicuramente non erano oriundi fuoriclasse come Sivori e Altafini che furono impiegati anche in Nazionale all’inizio degli anni ’60. No, erano giocatori ‘normali’, alla ricerca di un pò di fortuna e con la voglia di mettere tende nel nostro Paese. Due di questi semisconosciuti appartennero stranamente alle due squadre di Genova che allora frequentavano la massima divisione. “Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi prima di andare a Genova….” cantava Paolo Conte. Si chiamano Mendoza e Mircoli.
Il primo giocò per due volte al San Paolo, in occasione di Napoli- Genoa del 1973 e del 1977. In questi quattro anni, tra una salita ed una discesa dei rossoblu tra il paradiso della A e l’inferno della B, lui c’era sempre. E’ Denis Mendoza, classe 1955, ed è nato a Caracas in Venezuela. Era arrivato in Italia a due anni, il papà in cerca di fortuna in Friuli, la miseria del Paese natio lasciata alle spalle. Di ruolo faceva la mezzala con tendenza a costruire gioco ed aveva esordito, con l’Udinese in serie C, a soli 16 anni.
Due anni dopo lo prese il Genoa per 100 milioni di vecchie lire e con i grifoni giocò diversi campionati prima dell’inevitabile declino, prima in B con la Ternana, Brescia e Como, poi in C1 col Piacenza, dove fu anche capitano, ed infine in C2 con lo Jesi. Subito dopo il ritiro, nel 1984, prese il patentino di allenatore ed iniziò l’attività nelle giovanili dell’Udinese, guidando poi il Pordenone, il Real Toppo e il Flaibano, tutti nei campionati dilettantistici friulani. L’ultima esperienza significativa della sua carriera da ‘mister’ arriva nel 2005 quando assume la guida della Rappresentativa Juniores della regione Friuli Venezia-Giulia. Insomma, venezuelano sì ma col Friuli, dove vive ancora oggi, nel cuore.
A Napoli, nella gara del torneo 1973-74, subentrò a Mariolino Corso ricalcando ruolo e posizione in campo dell’uomo della ‘foglia morta’ ma gli azzurri erano già in vantaggio con un gol di Cané. Fu questo anche il risultato finale. Nella partita del 2 ottobre 1977 sostituì, ancora una volta, Ghetti nel primo tempo e il Genoa riuscì a bloccare il Napoli sullo 0 a 0 anche perché Savoldi si fece parare un rigore da Girardi. Curiosità, in entrambe le partite l’arbitro spedito a Napoli fu Casarin.
Il secondo, faccia da eterno imbronciato, è nato a Ladispoli (romano de Roma) nel 1947 ma si trasferì in Argentina a cinque anni. Nel paese ‘albiceleste’ fece una notevole carriera giocando con l’Independiente con i quali vinse il Torneo Metropolitano del 1971 e la Coppa Libertadores del 1972. Aveva un gioco essenziale, senza fronzoli, fatto di sudore e fatica, di quantità più che di qualità, cuore e polmoni a go-go, senza particolari gorgheggi. Infatti era il classico mediano che si presta al servizio del regista della squadra o dei compagni stilisticamente più bravi.
Si mise, poi, in evidenza anche in Europa quando, in occasione della doppia finale della Coppa Intercontinentale contro l’Ajax marcò nientepopodimeno che Johan Cruijff, non sfigurando affatto. Anzi, quella partita è ancora ricordata per un suo fallo sul fuoriclasse olandese che fu costretto ad abbandonare anzitempo la partita. Nonostante questo legame molto forte con l’Argentina, dove troverà moglie, figli e dove tuttora risiede, nell’estate del 1973 la Sampdoria lo acquista dall’Independiente perché Mircoli aveva sempre mantenuto la nazionalità italiana.
Il difficile adattamento di Mircoli
Da subito, però, le difficoltà di adattamento al nostro campionato sono evidenti. Non lo aiutano nemmeno dei guai fisici. In due stagioni con i blucerchiati gioca solo 9 gare mettendo a segno due reti. Per cercare di farlo abituare al ‘nuovo calcio’ la Samp lo cede prima in B al Catania e poi in C al Lecco. Ma in entrambe le occasioni non riesce ad incidere. Così a fine stagione rescinde il contratto e fa ritorno nella ‘sua’ Argentina. Dopo il ritiro da calciatore inizia una carriera da allenatore guidando diverse squadre minori ma senza troppa fortuna. Oggi fa ancora l’osservatore per l’Independiente, il suo primo amore.
Mircoli incrociò il Napoli solo in un’occasione, nella quarta giornata di andata del campionato 74-75. Gli azzurri scesero a Marassi dopo la vittoria infrasettimanale in casa in Coppa UEFA contro il Porto (1 a 0, rete di Orlandini) contro una Samp che fece di tutto per vincere e ci stava riuscendo. Aprì le marcature il vecchio bomber Maraschi all’alba del match ma riuscì a pareggiare (di testa!) il piccoletto Rampanti ad un quarto d’ora dalla fine quando il Napoli aveva in campo ben tre attaccanti, vale a dire Clerici, Braglia e Ferradini (subentrato a Massa).
Mircoli subentrò proprio al goleador dei blucerchiati al ’60 ed andò a fare la punta. Lui, che attaccante non era. Evidentemente Corsini, il mister della Samp, voleva mantenere il vantaggio ma non fece i conti con La Palma che ebbe vita facile con l’italo-argentino. Il giocatore brindisino capì che quel giorno bastavano Landini e Burgnich per tenere a bada l’unica punta vera dei padroni di casa, Prunecchi, ed iniziò a fare le sue solite scorribande. Mircoli, poverino, quel giorno, sembrò un pesce fuor d’acqua. Come la sua avventura in Italia.
Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:
Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).
Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.
Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.
L’immagine di copertina (Dante Mircoli in maglia doriana) è tratta da wikipedia. Le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.