Pesaola, lo Scudetto Viola e la musica di Peppino Gagliardi
Ottobre 21, 2023È il 13 aprile del 1969 quando la Fiorentina, nel completo viola-nero scende al ‘San Paolo’ ed il Napoli, per dovere di ospitalità, indossa la maglia bianca col colletto azzurro.
A salutare il rimpatrio di Pesaola nella sua città di adozione ci sono decine di fotografi che lo immortalano prima insieme a Di Costanzo, chiamato a sostituire Chiappella per un breve interregno, e poi quando si siede in panchina. Intanto migliaia di tifosi scandiscono il suo nome a ripetizione. Bruno saluta, il suo volto esprime una chiara commozione.
Il giorno dopo i quotidiani napoletani raccontano di un incontro segreto nel dopo gara tra il tecnico argentino ed il presidente Lauro per gettare le basi di un immediato ritorno del ‘Petisso’ a Napoli. Addirittura si fanno i nomi dei giocatori che Pesaola avrebbe chiesto per fare una squadra in grado di lottare per lo scudetto. È come se oggi Spalletti, dopo un incontro della Nazionale a Napoli, preso da una ‘saudade’ in salsa partenopea, si ‘appartasse’ con DeLa e discutesse di un suo ritorno al timone degli azzurri. Fantascienza pura.
“Che vuole questa musica”, per parafrasare ciò che vi andiamo a raccontare. Immaginiamo Pesaola al suo arrivo in Italia, lo prende la Roma sul finire degli anni ’40. Lui è una delle ali più veloci in circolazione. È bassino, è tutto un fascio di muscoli, ha i baffi e la musica più in voga in Sudamerica è il mambo, Perez Prado il suo profeta. Sembra di vederlo, agile com’era, a ballare al ritmo del mambo nei locali della capitale prima di passare al Novara dove incontrerà Ornella, l’amore della sua vita. Quando poi lo acquista il Napoli nel 1952, inizia ad appassionarsi alla musica classica partenopea e questo lo rende ancor di più ‘napoletano di adozione’.
Pesaola e l’amore per la musica di Peppino Gagliardi
Ma il vero colpo di fulmine avviene quando è ormai l’allenatore degli azzurri. Galeotto fu Sanremo (dove poi volle essere seppellito), galeotta la presenza in gara di un cantante napoletano che, con la sua voce nasale e ‘nervosa’, fa il verso ai crooner di oltre confine. Il tipetto col ciuffo in questione si chiama Peppino Gagliardi ed è talmente verace che, ogni volta che può, fa sapere che è del quartiere Vasto. Pesaola si invaghì del personaggio prima che delle sue canzoni.
Per dirla col suo linguaggio, Gagliardi era un ‘estronso’, un tipo non comune, visto che a Sanremo del 1966 si era presentato con un rosario in mano, in coppia con Pat Boone, cantando “Se tu non fossi qui”. E lui, il ‘Petisso’, aveva già una squadra di ‘estronsi’ visto che tra Sivori, Altafini, Canè, Bandoni e Panzanato non c’era che l’imbarazzo della scelta. Quel Napoli viveva di allegria, scherzi, pranzi insieme, gavettoni e di bel calcio. Quello sì, una matricola che arriva dalla B e ti fa un campionato terminando al terzo posto non può essere una squadra ‘normale’.
Maglia Napoli, che passione! Il precedente della stagione 1965-66
Questa sorta di ossessione per Gagliardi e le sue canzoni crebbe maggiormente nella prima trasferta del campionato 1968-69 della Fiorentina all’Olimpico contro la Roma. La squadra era sul pullman, in viaggio verso lo stadio, quando Pesaola prese il suo mangiadischi Penny di colore arancione e inserì “Che vuole questa musica stasera”, il 45 giri del cantante napoletano. Bene, la Viola vinse per 2 a 1 e da quella volta in poi lo scaramantico Bruno, prima di ogni partita, faceva ascoltare in loop la stessa canzone.
«Non passava domenica che sul pullman non venisse suonata quella canzone – ebbe a dire ‘Ciccio’ Esposito – Addirittura una volta prima di giocare a Brescia, il mister si era scordato il disco a casa. Praticamente un dramma, e allora mandò uno di noi, mi sembra Ferrante, a comprarlo in un negozio…»
L’amicizia tra Pesaola e Gagliardi e la vittoria dello Scudetto
Nacque poi un’amicizia tra i due, piccoletti entrambi, occhi furbi, la faccia con su scritto ‘io sono scaltro’, l’essere venuti fuori dal nulla. Fu così che Peppino nostro diventò giocoforza anche tifoso della Fiorentina e con Pesaola divise pranzi, whisky, sigarette e nottate. Quando i toscani vennero a Napoli per quella gara quasi decisiva per l’assegnazione dello scudetto, ci fu bisogno solo di una breve telefonata. Solo il nome dell’hotel dove alloggiavano i viola. Gagliardi si fece trovare lì, il sabato sera, prima del “tutti in camera, a dormire”.
Il giorno dopo Pesaola lo fece sedere in tribuna con la moglie Ornella e dopo la partita lo fece scendere negli spogliatoi della Fiorentina dopo aver sbancato l’allora ‘S.Paolo’ per 3 a 1. Una vittoria meritatissima, gli azzurri schiantati da due reti di Rizzo ed una di Maraschi con Canè a salvare l’onore col punto della bandiera. Champagne per brindare ad un ennesimo incontro, per brindare alla rotonda vittoria dei Viola a Napoli. “Come le Viole” ma non era “Settembre”. Era la calda primavera del 1969 ed il traguardo storico del secondo scudetto era vicino. “T’amo e t’amerò”, triangolino tricolore mio.
Ricordare oggi il mito dei ragazzi yè yè e rimarcare quello che ha lasciato quella squadra nei tifosi e nei simpatizzanti viola potrebbe far pensare che quei giocatori avessero già l’esperienza necessaria per vincere un campionato. In realtà l’età che ognuno aveva quell’anno rientrava in una media piuttosto bassa. Sono e restano gli intoccabili, gli immortali del ‘Franchi’. In porta c’erano le manone di Superchi (25), in difesa Brizi (26), Ferrante (24), Mancin (24) e Rogora (30) formavano una linea Maginot di tutto rispetto, a centrocampo Esposito (20), lanciato proprio dal tecnico argentino, il fosforo di De Sisti (25) e la verve di Merlo (22) erano di livello top, in avanti Amarildo (29), Chiarugi (21) e Rizzo (25) si scambiavano spesso di fascia ma erano ali che si alternavano con tecnica e velocità.
I gol li faceva Maraschi (29), uno che ha giocato fino a 40 anni e che fu capocannoniere con 14 reti. Squadra sbilanciata in avanti? Sì e no, il trucco c’era ma non lo vedevi. E non poteva essere altrimenti con un allenatore come Pesaola che, quando era necessario, chiamava tutti dietro a difendere. Altro calcio, se lo facesse un coach di oggi, lo fucilerebbero.
Un campionato vinto con merito
Bene, quella Fiorentina stravinse il campionato davanti al Cagliari e al Milan distanziando entrambe le formazioni di quattro punti. Una divagazione la merita la penultima giornata di quel torneo, il “day di tutti i days”. La Viola gioca a Torino con la Juventus e la batte senza discussioni, in rete il peperino Chiarugi e l’armadio Maraschi, due a zero. È qui, con la matematica certezza di aver vinto il tricolore, che si aprono i festeggiamenti. I giocatori corrono felici, si abbracciano, sollevano in alto Pesaola che ride di gusto ed ha il cuore a mille. In quei fotogrammi, vedere il ‘Petisso’ soddisfatto e contento, c’è un pizzico di malinconia, forse di rimpianto.
Il suo sogno, lo sanno tutti, era quello di vincere lo scudetto con gli azzurri. Il tecnico aveva, infatti, lasciato Napoli portandolo al secondo posto in classifica ed il presidente viola Baglini si era innamorato letteralmente di quel personaggio. Lo bloccò, lo volle fortemente con sè e gli consegnò un team che era una sorta di outsider del calcio italiano, una squadra formata tutta da giovani.
Pesaola la plasmò e la portò al tricolore in una sola stagione facendo quasi un miracolo. Ecco, a quei fotogrammi di cui sopra, aggiungiamo anche che “quella vittoria doppia” (partita e campionato) fu conquistata proprio a Torino. Davanti ai tifosi della Juventus e alle maglie bianconere. Forse, prima della rivalità degli anni ’80 (gol annullato a Graziani, rigore dubbio di Brady, il caso Baggio), l’antagonismo che va avanti ancora oggi tra viola e bianconeri iniziò proprio da lì. Da quella sera che Pesaola mise nel giradischi, per l’ennesima volta, una canzone di Peppino Gagliardi.
Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:
Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).
Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.
Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.
L’immagine di copertina e la foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.