
Raí, l’uomo che doveva chiamarsi Xenofonte
Ottobre 26, 2023Il Brasile è quel luogo del mondo nel quale qualsiasi nome può essere attribuito a un bambino. Non è quindi difficile imbattersi in Elvis Marley, Marx Lenin e addirittura in Creedence Clearwater Couto. In questo scenario, un padre appassionato di filosofia i cui primi tre figli si chiamano Sócrates, Sófocles e Sóstenes, appare quasi normale.
E invece no. O almeno così deve aver pensato la signora Guiomar prima di opporsi al quarto nome ellenico e optare per qualcosa di meno filosofico. L’ultimo di casa, il più piccolo di sei fratelli, è semplicemente Raí. Tre lettere per identificare un calciatore che, nonostante la stella luminosa di un fratello più grande, riuscì a ritagliarsi il proprio spazio nel panorama calcistico. Fino a raggiungere, due volte, il tetto del mondo.
Il 10 che ha conquistato Parigi
Nel 2020 il Paris Saint Germain ha festeggiato i primi cinquant’anni della propria storia. Una storia che, fino all’arrivo di Al-Khelaïfi e del suo fondo di investimento qatariota, poteva esporre in bacheca solamente due degli undici campionati nazionali vinti finora, e la Coppa delle Coppe della stagione 95/96.
Una squadra normale quindi. Esattamente come tutte le altre che popolavano il calcio francese del periodo, costituita da calciatori normali alternati a qualche stella. Una società giovane fondata, nel 1970, dalla fusione del Paris Football Club e dello Stade Saint Germain. Dal 1974 disputa ininterrottamente il campionato di prima divisione francese per il quale detiene il record, appartenente precedentemente al Nantes, di quarantanove stagioni consecutive nella massima serie.
Per festeggiare l’importante anniversario il club decise di eleggere, attraverso duemilacinquecento votanti tra giornalisti, ex calciatori e membri della società, il calciatore più importante della sua storia. La maggior parte di chi legge potrebbe pensare che il gioco sia stato abbastanza facile. Messi? All’epoca giocava ancora a Barcellona. Mbappé? Addirittura decimo. Allora Neymar, Ibrahimovic? Cavani? No, no e no. Il brasiliano si è posizionato sesto. Il Matador nono mentre lo svedese compare solamente in quarta posizione, primo tra i calciatori della storia recente del club.

Supercoppa UEFA 1996 – Juventus vs PSG – Raí e Zinédine Zidane (Wikipedia)
Nei primi tre posti troviamo infatti tre interpreti di quanto scritto poco sopra. Tre stelle che hanno illuminato la capitale francese in un’epoca in cui vincere un campionato non era per nulla scontato. E per questo, forse, rimaste nella mente e nel cuore delle persone. Ronaldinho terzo, Safet Sušić secondo e Raí Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente Raí, al primo posto.
Il calcio nel destino
Ribeirão Preto è una cittadina dello Stato di São Paulo distante circa 300 km dall’omonima capitale. Per chi non conosce la geografia del Brasile siamo nella parte sud occidentale del Paese. Ribeirão Preto è anche la città nella quale Raimundo Vieira de Oliveira e sua moglie Guiomar Sousa si trasferirono con i loro quattro figli a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Originari rispettivamente di Fortaleza e Belem, nel nord-est del Brasile, si spostarono nello Stato Paulista per motivi di lavoro dello stesso Raimundo, all’epoca ispettore federale delle tasse.
Tra un’ispezione e l’altra il suo passatempo preferito era leggere. Appassionato di Freud e di filosofia greca riuscì a convincere la moglie a battezzare i primi tre figli con i nomi di Sócrates, Sófocles e Sóstenes. All’appello mancava appunto Xenofonte ma il tentativo fu vano.
Il primo sport praticato da Raí non è stato il calcio. In tanti potrebbero pensare quanto questo possa essere strano data la presenza, in famiglia, di Sócrates, fratello maggiore e uno dei calciatori brasiliani più forti della sua generazione. La differenza di età tra i due, undici anni, è il fattore principale della mancata influenza del più grande sul piccolo di casa. Quando Sócrates studiava medicina all’Università di San Paolo, Raí aveva poco meno di dieci anni e la sua unica fonte di ispirazione era l’altro fratello, Raimar, quello anagraficamente più vicino. Fu lui quindi a condizionare Raí nell’approccio al primo sport, il basket.
A quattordici anni, però, ecco che il futebol fa il suo ingresso a gamba tesa nella vita del giovane ragazzo. Galeotto fu un amico e un provino per il Botafogo di Ribeirão Preto. Nel club della sua città Raí giocò nel settore giovanile per esordire poi in prima squadra e spiccare il volo verso il São Paulo, nel mondo del Tricolor Paulista, per riscrivere la storia.
Al servizio della filosofia di Telê Santana
Facciamo un salto in avanti di qualche anno. Raí è la stella di un São Paulo che, dal suo arrivo, ha vinto il Torneo Nazionale e per quattro volte il Campionato Paulista. Da due anni il club è allenato da Telê Santana, vincitore in patria di diversi titoli statali e nazionali. Il tecnico brasiliano è ricordato, specialmente dai resultadisti, per non aver vinto nulla con una nazionale che poteva contare su Zico, Falcão e Socrates. Coloro che invece, per mentalità, sono portati ad osservare al di là del singolo risultato, sanno bene quanto l’impronta di Telê abbia marcato non solo il calcio a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 ma anche quello dei decenni successivi.
Un pensiero votato principalmente all’estetica. Il calcio inteso come una vera e propria forma d’arte per il quale non si fanno compromessi. Nelle due esperienze mondiali, nel 1982 in Spagna e quattro anni più tardi in Messico, il Brasile non raggiunse il tanto atteso quarto titolo, che arriverà poi nel 1994 negli Stati Uniti, ma regalò partite tecnicamente meravigliose. Un esempio fu il quarto di finale contro la Francia. Il pareggio per 1-1, sarà la Francia poi a passare il turno grazie ai calci di rigore, viene comunemente considerata come la partita più bella del torneo e il crepuscolo di Zico e Platini.
Con Telê in panchina la carriera di Raí ebbe decisamente una svolta. Dopo un primo periodo di adattamento, nel quale più volte vide le partite dalla panchina, Raí iniziò a essere nettamente più incisivo proprio grazie all’arrivo di Santana, tecnico che più di tutti è riuscito a migliorarne le qualità permettendogli di esprimersi al meglio. La vittoria grazie al bel gioco, punto cardine del Telê pensiero, ha in Raí il massimo interprete capace di realizzare oltre cinquanta reti in due anni. Sono le basi per conquistare il mondo.
La vittoria del Campionato di Serie A del 1991 permise al São Paulo di partecipare alla Coppa Libertadores per la sesta volta nella sua storia. Nel cammino verso la finale Raí è il leader indiscusso della squadra. È capace di guidare i compagni, grazie al suo carisma, di decidere le partite con cambi di direzione e assistere i compagni con passaggi illuminanti che devono solo essere concretizzati.
L’atto conclusivo vede di fronte due tra le scuole di pensiero più influenti degli ultimi trentacinque anni, Telê Santana e Marcelo Bielsa. I punti di contatto tra i due non sono pochi. L’ammirazione del Loco verso il São Paulo di Telê è enorme. Lo stesso Bielsa, ai tempi del Leeds affermerà come il club paulista fu uno dei più forti mai incontrati in carriera. Il Newell’s vinse la partita di andata ma si dovette arrendere ai calci di rigore in quella di ritorno nella quale, Raí fu per due volte implacabile dagli undici metri.
Il Patto del bel gioco
Tokyo, 12 dicembre 1992.
Juan Carlos Loustau è il direttore di gara designato per arbitrare la finale di Coppa Intercontinentale tra il São Paulo della coppia Telê-Raí e il Barcellona di Johan Crujiff e Stoičkov. L’arbitro argentino sta, senza saperlo, per assistere ad una delle conversazioni più emblematiche della storia del calcio, ricordata tutt’oggi come il “Patto del bel gioco”. Jet leg e adrenalina pre partita sono gli ingredienti che portarono l’arbitro ad essere invitato dai due allenatori a prendere parte ad una lunghissima chiacchierata notturna. Argomento designato ovviamente il calcio.
Qualche anno fa, era il 2017, il Sig.Loustau affermò come avere assistito a quel dialogo rappresenti l’esperienza più preziosa che il calcio gli avesse mai donato. In effetti non capita ogni giorno di ascoltare due profeti dell’estetica e del merito disquisire sulla sacralità del calcio e su quanto fosse inopportuno perdere tempo durante le sostituzioni o interrompendo il gioco con falli sistematici.
Per Telê e Crujiff incorrere in una sconfitta avendo comunque portato avanti il proprio credo non rappresentava un disonore. Dopo quattro ore di conversazione i due sancirono quindi un patto che, invitato dallo stesso Telê, anche Loustau sottoscrisse ponendo la mano destra sopra quelle degli altri interlocutori. Per rispetto e onore verso il gioco del calcio, chi tra i giocatori di São Paulo e Barcellona avesse disobbedito ai dettami e ai principi dei due tecnici allora sarebbe stato sostituito.
Avendo vinto, nella stagione precedente, Coppa Libertadores e Coppa dei Campioni per la prima volta nella loro storia, i due club erano due esordienti assoluti in ambito intercontinentale. Cafu, Raí, Cerezo, Muller da un lato, Koeman, Guardiola, Stoičkov e Michael Laudrup dall’altro. Sulla carta non ci sarebbe dovuta essere partita. Dopo poco più di dieci minuti e Stoičkov salì in cattedra. Guardiola gli porse il pallone dopo averlo condotto oltre la sua metà campo per una ventina di metri.
La difesa brasiliana, rea forse di aver indietreggiato troppo, rimase impietrita dal tiro piazzato all’incrocio dei pali che il bulgaro fece partire da fuori area. Una rete il cui pregio venne però letteralmente ridimensionato dalle due prodezze che Raí confezionerà di lì a poco. Il gol del pareggio è, ancora oggi, privo di senso logico. A distanza di trent’anni è quasi impossibile capire come abbia colpito il pallone, su cross di Muller, anticipando Zubizarreta.
La rete del vantaggio la siglò invece a dodici minuti dal termine e risulterà ovviamente decisiva. La traiettoria della punizione a due, col tocco di Cafu, è imprendibile. Il São Paulo di Santana è campione del mondo. Il primo a riconoscerlo è proprio Johan Cruijff.
Dal club alla nazionale il risultato non cambia: ecco un altro titolo mondiale
Per i brasiliani il 1994 è un anno che difficilmente verrà dimenticato. La morte di Ayrton Senna a maggio. Quella di Antonio Carlos Jobim a dicembre. Nel mezzo il mondiale statunitense disputato dalla Seleção con il ricordo dell’amico pilota nel cuore. Il Brasile esordì contro la Russia e Raí segnò, da capitano, su rigore. Fu una rete storica, distante temporalmente dodici anni da quella realizzata da Socrates nel mondiale spagnolo contro l’allora Unione Sovietica.
Fino a quel momento solo altre due coppie di fratelli, Fritz e Ottmar Walter, Rene e Willy van de Kerkhof, avevano realizzato almeno un gol in un’edizione della Coppa del Mondo. Nel 1998, grazie al gol di Brian contro la Francia, anche i fratelli Laudrup entreranno di diritto in questa speciale classifica.
Negli USA Raí giocò da titolare le tre gare del girone perdendo, poi, il posto da titolare negli ottavi di finale. Contro gli Stati Uniti, Parreira gli preferì Mazinho con la fascia di capitano che passò sul braccio di Dunga. Lì vi rimarrà fino alla fine. Per la prima volta nella storia, un calciatore che aveva iniziato il Campionato del Mondo da capitano della squadra poi vincitrice, non è stato colui il quale avrebbe sollevato la coppa.
Alessandro Sanna è un insegnante, tifoso del Cagliari ed esperto di calcio sudamericano. Ha scritto per la Rivista Sottoporta. Collabora con Carlo Pizzigoni a “La Fiera del Calcio”. Conduce su Twitch la trasmissione “BoxtoBox” , ed è autore del Podcast “Que Viva el Fútbol”. Ha scritto due libri: “Fantasie calcistiche rioplatensi: Storie di fútbol tra fantasia e realtà e “¡Que viva el fútbol!: Storie, aneddoti e cronache delle più accese rivalità sudamericane”.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia, di dominio pubblico.