
I Cajuste, Haiti e quel gol di Sanon a Zoff
Ottobre 29, 2023“Lilì Kangy” è una canzone scritta dagli autori napoletani Giovanni Capurro e Salvatore Gambardella. Narra la storia di una giovane ragazza che decide di cambiar nome da Concetta a Lilì Kangy, dove “Kangy” è un modo francesizzato per dire Concetta. E’ il 1905, è l’epoca del café chantant, le sciantose e la Belle Epoque, le macchiette e la Galleria Umberto dominano il ‘palcoscenico’ dell’avanspettacolo.
Il primo conflitto mondiale è alle porte ma a Napoli si respira un’atmosfera di grande creatività e fertilità tra teatro e musica. La città partenopea sembra davvero la capitale di queste due Arti. Scarpetta è un istrione di livello mondiale mentre alcune delle più belle canzoni napoletane, Bovio, Di Giacomo, E.A. Mario e diversi altri, nascono ai primi del secolo scorso. Ebbene il ritornello della canzone sopra citata faceva proprio così :
“Chi mme piglia pe’ frangesa,
chi mme piglia pe’ spagnola,
ma só’ nata ô Conte ‘e Mola,
metto ‘a coppa a chi vogl’ i’..”.
Insomma, Concettina, sei francese o spagnola? Dunque, “Lilì Kangy” è la prima canzone sulla globalizzazione che andiamo ad applicare al calcio. Come era difficile individuare le trasformazioni di Concetta, che una volta appariva in un bell’abito rosso ispanico ed un’altra con un corpetto elegante e raffinato alla francese, oggi appare spesso complicato capire di che nazionalità è un calciatore, anzi quale ha ‘preso’, per quale Paese intende giocare. Quella della mamma o del papà? Non è raro, infatti, il caso in cui un atleta inizia giocando con una rappresentativa e poi cambia idea nel corso del tempo. Appunto, come la Lilì Kangy della canzone, un giorno si è spagnoli ed un giorno francesi, un giorno haitano ed un altro svedese. “Times are a-changing” cantava Bob Dylan. E non possiamo che acconsentire.
L’origine haitiana dei Cajuste
La globalizzazione è un fenomeno che ha fatto sì che i cognomi si diffondano molto più lontano dal Paese in cui sono nati, così che possiamo trovare nomi di famiglia asiatici in Europa o americani in Oceania. E’ il mondo che cambia anche se nel caso specifico che andremo ad esaminare, quello del napoletano Cajuste, ci arriva una precisa conferma dal web. Infatti il suo cognome è tra i più diffusi ad Haiti, la patria del padre.
Ben 4010 persone si chiamano così, seguiti a ruota dagli Stati Uniti con 587 e la Repubblica Dominicana con 54. In questo ultimo caso la cosa appare anche più comprensibile visto che i due paesi confinano. Cajuste, inoltre, è uno dei due giocatori caraibici della nostra Serie A, l’altro è il giamaicano Stewart della Salernitana. Non abbiamo tracce di calciatori provenienti dalle Bahamas, Repubblica Dominicana, Bermuda, Cuba (c’è da menzionare il “legionario” Davide Incerti nell’Olbia, in C, 7 presenze con i Leoni del Caribe) Trinidad e Tobago, gli altri paesi dei Caraibi di un certo rilievo. Almeno fino ad oggi, domani chissà.
Abbiamo parlato finora di Cajuste come se fosse haitano e non svedese qual è, una nazione presente con diversi atleti nel nostro campionato. Non ci sembra una contraddizione, il giovanotto ha tratti somatici chiaramente caraibici-americani anche se qualche autorevole quotidiano sportivo, bocciando la sua prestazione di Berlino, ha scritto addirittura che è francese (quando si imbrogliano le…lingue! ).
Alto, è alto, tanto da essere soprannominato “Pannocchia di mais” ma è l’unica caratteristica che ha in comune con i popoli provenienti dal Nord Europa. Non notiamo capelli lunghi e biondi, niente occhi azzurri, niente barbetta bionda, nessun fisico da vichingo, caratteristiche che appartengono ad Almqvist e Smajlovic (quest’ultimo di origini bosniache) del Lecce, Karlsson del Bologna e Holm dell’Atalanta, tutti giocatori che rientrano in pieno nel cliché dell’uomo scandinavo con l’eccezione di Hien del Verona, anch’egli sangue misto.
La culla svedese
Jens è svedese al 100%, è nato a Goteborg da madre svedese ma nelle sue vene scorre il sangue dei Caraibi, quello del padre. Questi i due punti fermi nella vita di questo giovane atleta che ha vissuto per diversi anni in Cina, poi in Danimarca (Midtjylland) ed in Francia (Stade Reims) prima di approdare al Napoli.
Haiti, Haiti….cosa ci rammenta questo Paese così lontano da noi? Certo, lo so, vi state ricordando di maglie rosse e pantaloncini neri, di atleti che correvano come gazzelle, di un popolo che praticava (e, a quanto pare, lo fa ancora) riti voodoo, della dittatura di Duvalier. Vidi per la prima volta il volto dei giocatori di Haiti durante la loro unica partecipazione ad un Campionato del Mondo, quello del 1974 in Germania.
Sull’album della Panini apparvero sei figurine dei giocatori più rappresentativi di quella selezione, tutti ritratti sotto un sole cocente, tutti con basettoni e sguardi speranzosi. Ad Haiti, come all’Australia e allo Zaire, fu dedicata solo una pagina. A dimostrazione della scarsa considerazione che aveva quella squadra a livello mondiale. L’Italia dell’Azzurro tenebra di Arpino e di Valcareggi, dell’eterno dualismo tra Mazzola e Rivera, del ‘vaffanculo’ di Chinaglia in diretta dopo la sostituzione proprio contro Haiti, delle polemiche di Juliano e Wilson contro le ‘squadre del nord’, si confrontò con Haiti il 15 giugno del 1974.
Sanon e il gol di Haiti all’Italia nel 1974
Cinquantamila italiani gremirono lo stadio “Olimpico” di Monaco e tutti si aspettavano una goleada, una facile passeggiata ed invece, nel secondo tempo, iniziò ad aleggiare sullo stadio l’incubo di un’esperienza vissuta otto anni prima in Inghilterra, contro la Corea. L’attaccante haitiano Emmanuel Sanon, detto “Manno”, partì in una classica azione di contropiede, lasciò in surplace Spinosi, percorse mezzo campo in solitudine ed infilò Zoff, meglio di come avrebbe fatto un campione affermato.
Il portiere azzurro era imbattuto da 1.143 minuti e per dodici partite consecutive non aveva subito un goal. Tanto per capire a quale figura stava andando incontro la nostra Nazionale, basti dire che Sanon guadagnava 200 Dollari al mese giocando da centravanti nella squadra haitiana del “Don Bosco di Petionville”. Proveniva dall’atletica e c’è chi dice che, per quanto era veloce, poteva essere un eccellente sprinter.
Era il pupillo del dittatore Duvalier ed era cresciuto in un quartiere dalle caratteristiche simili al “Bronx”, luoghi nei quali si impara presto a sopravvivere alle violenze e alla malavita. Dopo il gol all’Italia, al ritorno in patria, fu accolto come un re, con onorificenze, soldi, lauree ad honorem ed un contratto per giocare all’estero, in Belgio prima e poi negli Stati Uniti.
Dopo quella partita, persa poi per 3 a 1 (Rivera, Anastasi ed un’autorete ribaltarono la rete di Sanon), tutta Haiti era in festa, orgogliosa di quei giovani leoni in maglia rossa che erano riusciti a battere un monumento come Zoff, a combattere per un tempo contro i colossi italiani.
Quando nel febbraio del 2008 Emmanuel Sanon morì a Orlando dopo una lunga malattia, un cancro al pancreas, Jens Cajuste aveva solo nove anni.
E’ bello pensare che il suo papà, che all’epoca dei Mondiali del 1974 doveva essere poco più che bambino, gli abbia orgogliosamente raccontato la storia di quell’eroe. Di quel giocatore che scartò e bucò Dino Zoff. E divenne monumento nazionale.
Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:
Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).
Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.
Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.
L’immagine di copertina è tratta da Wikimedia Commons. Le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.