I deliri di onnipotenza di De Laurentiis e la rivincita degli A16
Novembre 14, 2023 0 Di Luca SistoLa mattina del 13 agosto 2023, all’esterno dello Stadio San Nicola di Bari, l’asfalto era più pulito di quanto mi aspettassi. la sera precedente, all'”astronave”, si era giocata una partita valida per i 32esimi di Coppa Italia, con la squadra di casa, allenata allora da Mignani, subito eliminata dai pari categoria del Parma, con un secco 0-3. Eppure, nonostante l’appropinquarsi del Ferragosto, la classiche cartacce post-partita che trovi all’esterno di qualsiasi stadio, erano quasi inesistenti. Non che ci fosse stato il pubblico delle grandi occasioni, poco meno di 13.000 spettatori, ma certo gli operatori comunali avevano fatto il proprio dovere.
Qui Bari: a trenta secondi dalla A
La gara segnava il ritorno al San Nicola dopo quei maledetti, ultimi 30 secondi di Bari-Cagliari. La finale di ritorno dei Playoff di Serie B. Al Bari sarebbe bastato tenere lo 0-0, dopo l’1-1 dell’andata, per tornare in Serie A, a distanza di dodici anni dalla retrocessione del 2010-11 con tanto di ultimo posto. Dopo le umiliazioni del calcioscommesse, frutto della codardia di pochi, dopo il fallimento e la rinascita, targata De Laurentiis, e la ripartenza dalla Serie D.
Forse, nessuno si sarebbe aspettato una doppia promozione dalla C alla A così rapida. Neppure la famiglia che detiene la proprietà di Napoli e Bari. Certo, dopo lo Scudetto partenopeo di Don Aurelio, salire in A con Luigi – sempre di De Laurentiis si tratta – sarebbe stato un trionfo. Alla faccia degli A16 napoletani. E contro ogni previsione dei tifosi pugliesi, da sempre scettici sulla multiproprietà della Filmauro cara all’imprenditore cinematografico romano. Ci ha pensato Pavoletti, ex Napoli che in maglia azzurra non riuscì a realizzare neppure una rete come rincalzo, ormai da anni alle prese con gravi infortuni, a spezzare il sogno degli oltre 50.000 paganti del San Nicola.
La lacrime di gioia e le urla festanti, già strozzate dal palo clamoroso di Michael Folorunsho (di proprietà del Napoli) pochi istanti prima, si trasformarono in disperazione con la zampata del bomber nativo di Livorno.
Con l’eventuale approdo del Bari in serie A, i De Laurentiis avrebbero dovuto cedere immediatamente la proprietà. I nuovi regolamenti, in ogni caso, forzeranno, nel giro di uno o due anni al massimo, l’inevitabile.
Con gli amici baresi, nel frattempo, l’appuntamento di base è proprio all’angolo di via Arpad Weisz, per cominciare una bella mattinata all’insegna di colazione“bir’e fcazz'”, passeggiata per i vicoli di Bari Vecchia e pranzo di crudi a Santo Spirito. Prima di tornare a respirare i 40 gradi di Partenope, via statali e A16.
Qui Napoli: in faccia ai maligni, ai superbi e agli A16, il trionfo di De Laurentiis
Già, #A16. L’hashtag simbolo di tutti i napoletani che di professione, sui social, fanno “i detrattori di Aurelio De Laurentiis”.
Ma come? Non era quello che vi ha salvato quando “nuotavate nella *erda”? Quando “non c’erano neanche i palloni”? E che dire se non “X anni fa eravamo a Lanciano”!
Solo pochi mesi fa si festeggiava uno Scudetto. Il terzo della storia, il primo dell’era De Laurentiis, il primo senza Diego Maradona, con lo stadio che porta il suo nome.
“Solo una stagione fortunata”, insinua qualcuno, soprattutto fra i tifosi pugliesi. Figuriamoci: per le vie di Bari passeggio con la polo di rappresentanza del Napoli – devo dire molto apprezzata in tutta la Puglia – perché “dobbiamo sempre farci riconoscere” noi napoletani. Con stile, per carità: questa estate il marketing, il merchandising e la campagna abbonamenti sono stati degni di una squadra campione d’Italia.
Merito anche della figlia Valentina, che dalla partnership con un noto marchio d’abbigliamento in poi le ha azzeccate tutte. Come papà Aurelio del resto. Una volta cacciato Gattuso senza mezzi termini, con un tweet a pochi giri d’orologio dal pareggio con il Verona, che ha cambiato mezza storia del calcio Napoli, il patron ha dovuto virare su Luciano Spalletti. Con Allegri c’era un pre-accordo in caso di qualificazione alla Champions League, regalata, invece, proprio ai bianconeri, che di lì a poco avrebbero dato il benservito a Pirlo e riaccolto il tecnico toscano.
La storia non si fa con i se e con i me. E Spalletti, in due anni, grazie al suo gioco e alla sua mentalità, ha trasformato il Napoli – e la complessa e tanto criticata rivoluzione estiva di giungo 2022 operata da Giuntoli – in una squadra capace di vincere lo Scudetto con 90 punti e 16 di distacco dalla seconda. Un dominio inappellabile, persino per gli A16. Che ha costretto infine al silenzio tifosi e giornalisti di fede diversa da quella azzurra. Che una squadra diversa dal triangolo Juve, Milan, Inter avesse rovesciato le solite sorti del campionato, non andava giù a nessuno. Solo la finale di Champions League dell’Inter, persa contro il City ma con una consapevolezza di calcio che le italiane non esprimevano da un decennio in Europa, ha distolto parzialmente l’attenzione dall’impresa di Osimhen e compagni.
La rivincita degli A16 contro De Laurentiis
Come si è passati, allora, da questo (leggi sopra) a questo (continua a leggere sotto)?
A Bari, i tifosi accusano la proprietà di non aver più voluto investire un centesimo nella squadra. Dopo un inizio balbettante, i De Laurentiis si sono separati da Mignani, il tecnico della rinascita e del “quasi” ritorno nel calcio d’élite. Al suo posto, Pasquale Marino, non uno di primo pelo, insomma. La Bari è comunque a ridosso della zona playoff, ma fa una fatica immane a vincere le partite. La sensazione di malessere è tangibile e la disillusione del caldo pubblico dei Galletti si avverte anche a distanza. Me ne ero accorto già nell’ottimo ristorante a Santo Spirito, da come mi guardavano: “ci vuole coraggio ad entrare qui dentro con questa maglia”, disse senza neppure scherzare troppo la figlia del proprietario. Insomma, ai baresi Napoli e i De Laurentiis non devono ispirare immagini di gioia.
Percorrendo l’autostrada in senso inverso, vale la pena ricordare che il campionato di Serie A del Napoli è cominciato con un allenatore nuovo, Rudi Garcia, annunciato a metà giugno dopo un fantomatico casting di 40 allenatori, dopo che Spalletti aveva rinunciato al prolungamento automatico di contratto. Vuoi per i cattivi rapporti con il presidente. Vuoi per il troppo stress. Oppure, semplicemente, perché c’erano offerte migliori (avrebbe accettato quella della nazionale italiana dopo le dimissioni di Mancini).
Non solo, oltre allo staff e al preparatore atletico, cambia anche il DS. Giuntoli, neo-dichiaratosi juventino fino al midollo, viene prima tenuto ostaggio del suo contratto, poi lasciato andare quando poteva fare meno danni, ovvero a mercato juventino ormai concluso. Per prendere l’ex DS dello Spezia, Meluso. Decente ex attaccante, fra le altre, della Lazio, Mauro Meluso non ha avuto ancora il tempo di incidere sul mercato, ma destano perplessità il suo ruolo e la sua presenza all’interno dell’organigramma societario. Anzi, per i giornalisti napoletani sarebbe già in discussione.
In buona sostanza, De Laurentiis, convinto che la squadra si potesse “allenare da sola” e che chiunque avrebbe vinto lo Scudetto con Osimhen e Kvaratskhelia, ha deciso di prendere completamente in mano la situazione. Unica cessione, per altro annunciata, quella del sudocoreano Kim Min-jae al Bayern, col club bavarese che ha pagato la clausola convincendo il miglior difensore della scorsa stagione di Serie A a rifiutare l’offerta dello United, che sembrava in pole.
Al “posto” di Kim, viene acquistato, sostanzialmente su indicazione dello scouting Micheli-Mantovani, il giovane brasiliano Natan, per circa dieci milioni. Giudicato così poco pronto da Garcia, da preferirgli un rincalzo navigato come Juan Jesus (fino a che quest’ultimo non si è stirato). In luogo di Ndombele, che – direi giustamente vista la finaccia di questi ultimi giorni, messo fuori squadra al Galatasaray per motivi disciplinari – non è stato riscattato, il Napoli acquista Jens Cajuste, svedese di origini haitiane da parte di padre.
Il riscatto del Cholito Simeone e di Jack Raspadori completano una rosa fatta al 95% di riconferme.
Cosa manca? Mancano gli adeguamenti contrattuali di Osimhen e Kvaratskhelia, dei quali ormai si parla più in ottica di cifre di mercato che di prolungamento. Certo, senza una dirigenza affidabile è difficile, per De Laurentiis, poter fare tutto. Anche al netto del suo ego smisurato e della sua illimitata presunzione. Per giunta, tra l’infortunio del nigeriano, la prossima assenza prolungata per la convocazione in Coppa d’Africa (condivisa con Anguissa) e i guai diplomatici per quegli stupidi video su tik-tok, la gestione tecnica, fisica e psicologica del miglior calciatore della squadra ha lasciato molto a desiderare.
Non sorprende affatto, quindi, che al termine di un ritiro in cui tanti addetti ai lavori avevano storto il naso, dal proverbiale gabinetto stavolta De Laurentiis non abbia tirato fuori un’aragosta.
E neppure sorprende che, alle prime evidentissime difficoltà di risultati, con un gioco assente e una strategia di calcio inesistente, Don Aurelio abbia cominciato a guardarsi intorno, inscenando una sequela di marchette e dichiarazioni denigratorie nei confronti di Garcia che avevano un solo, reale obiettivo: costringere l’inadeguato tecnico francese, che il presidente in persona aveva scelto dopo “dieci bellissimi giorni di reciproca conoscenza”, a dimettersi, rinunciando a parte dei cinque milioni d’ingaggio in due anni. Il neo-papà Garcia ovviamente, nonostante l’invito netto e poco carino della piazza e dei giornalisti di togliersi dalle scatole, non ne ha voluto sapere.
L’ultimo coupe de theatre, domenica 12 novembre, negli spogliatoi del Maradona. Quando, nell’intervallo della gara con l’Empoli, che avrebbe rappresentato la quarta sconfitta interna stagionale, la terza in campionato sempre in coincidenza con la partita pre-pausa nazionali (vedi Lazio, Fiorentina e appunto Empoli, oltre alla sconfitta in Champions contro il Real Madrid), De Laurentiis ha lasciato il suo posto in tribuna autorità per andare ad insultare Garcia davanti a tutta la squadra. Rumors? Qualcosa di più.
Il Napoli nel secondo tempo, sotto una pioggia incessante, non è praticamente sceso in campo, se non per la sostituzione di Kvarastkhelia, che a calcio gioca sempre più da solo, e che insieme ad Osimhen (ottavo) ha messo il Napoli sulla mappa dei migliori venti candidati al Pallone d’Oro. Niente da fare. Il tecnico francese non ne ha voluto sapere di dimettersi, se n’è tornato a Nizza col primo volo disponibile al grido di “cacciami tu”. Ma, soprattutto, pagami ciò che devi, e buonanotte, verrebbe da dire.
Nessuno, forse, darà più una chance all’ex allenatore di Roma, Lille e Lione. Ma a Napoli, adesso, chi ci viene?
L’uomo della pioggia e il ticchettio degli orologi
La pioggia, metaforicamente, si sa, lava via i peccati. Questa estate di peccati “originali” se ne sono consumati parecchi. L’acquazzone di domenica mattina ha spazzato via il Napoli di Garcia, definitivamente. Quello di Garcia, aveva impiegato neppure due mesi a cancellare la bellezza del Napoli di Spalletti. Dopo il no di Antonio Conte, nonostante il pressing di De Laurentiis successivo alla sconfitta contro la Fiorentina, Don Aurelio ha deciso di cacciare Rudi Garcia anche senza alternative all’orizzonte.
Ha parlato prima con Tudor, ma non si è trovato l’accordo. E infine, contravvenendo alla coerenza con la quale ha comunque gestito il Napoli per vent’anni, ha optato per una minestra riscaldata, un traghettatore, un usato neanche più tanto sicuro: Walter Mazzarri, ultima esperienza, in corsa e con esonero finale, a Cagliari (poi retrocesso all’ultima giornata 2021-22). Più di dieci anni dopo, l’allenatore toscano torna a Napoli accettando di portare la squadra, attualmente quarta in classifica, fino a fine campionato.
Non è dato sapere se ci sia il benché minimo spiraglio per un rinnovo in base ai risultati. La scelta di De Laurentiis ha il chiaro obiettivo di preservare la possibilità di scegliere con più calma l’allenatore che, questo sì, avrà il compito di guidare il club in futuro. Il suo sogno è Italiano, legato alla Fiorentina. Oppure Antonio Conte, quest’ultimo forse troppo costoso e con un carattere che, amicizia presunta fra i due a parte, andrebbe facilmente a scontrarsi col presidente in sede di mercato.
Mazzarri, che il meteo l’ha usato come una delle sue tante scuse per giustificare risultati avversi, torna quindi su una panchina importante, che scotta nonostante il tricolore sul petto e una piazza pronta ad applaudire i giocatori al di là del risultato.
L’incredibile credito accumulato da De Laurentiis dopo lo storico Scudetto, sembra già essere svanito.
L’uomo della pioggia, Walter Mazzarri, dovrà sincronizzare di nuovo gli orologi. La sveglia per gli #A16 contro De Laurentiis è già scattata. Adesso è arrivata l’ora di ricacciarli al proprio posto, dietro una tastiera. Al “mago” Walter, come rappresentato in un vecchio calendario della SSC Napoli, l’ingrato e inatteso compito di far sì che ogni cosa torni al proprio posto. Mentre l’Italia intera non vedeva l’ora di ridere di De Laurentiis. E mentre i suoi detrattori napoletani si stanno crogiolando dietro un “lo sapevo”. Aurelio sta già meditando la prossima mossa. Per far sì che questa estate da dilettanti allo sbaraglio non rappresenti la regola, ma l’eccezione, in vent’anni di presidenza. Durante i quali la scelta dei collaboratori più stretti si era sempre rivelata vincente.
Perché nessuno può fare tutto da solo, competente o meno che sia. Questo, speriamo, ADL l’avrà imparato.
Immagine di copertina – e foto all’interno del testo – scattate dall’autore.