
La clamorosa cavalcata dell’Alaves in Coppa Uefa nel 2000-01
Novembre 21, 2023“Perdere così è come vincere” – Copertina di AS del 17 maggio 2001.
Secondo il filosofo Hegel, l’uomo ha sempre cercato l’autoaffermazione attraverso il dominio sul suo simile. Da questa propensione, secondo il pensiero del tedesco, nasce una dinamica di scontro nella nostra civiltà che porta a volersi identificare con il più forte, ossia il vincitore.
Questo istinto primordiale, radicato nella nostra cultura, è riscontrabile nel mondo del calcio. Non a caso, le squadre con più tifosi sono spesso anche le più titolate.
Tuttavia, le storie più belle sono spesso quelle inaspettate, quelle che raccontano di uno sconfitto che arriva fino alla cima della montagna alla ricerca di un momento unico nella sua storia.
L’Alaves, umile club dei Paesi Baschi
Nel nord della Spagna, nella provincia basca, oltre all’Athletic Bilbao e alla Real Sociedad, si trova nella città di Vitoria il Deportivo Alaves. Rispetto ai cugini, l’Alavés è un club più umile, fondato nel 1921 e con uno stadio da 19 mila spettatori (Mendizorroza). Dopo essere stato in Primera División per tre stagioni agli inizi degli anni ’30, i tifosi hanno dovuto aspettare quattro decenni per vedere la propria squadra sfidare le grandi del calcio spagnolo (1997/98).
I Babazorros (“mangiafagioli”), alla seconda stagione in Liga (99/00), conclusero il campionato con un inaspettato sesto posto.
Così, l’anno successivo, la squadra allenata da José Manuel Esnal, conosciuto come “Mané”, avrebbe giocato la Coppa UEFA. L’allenatore basco aveva già guidato la squadra alavesa nel 1984-85 e, dopo aver allenato Figueres, Lleida, Maiorca e Levante, tornò nel 1997 quando il club era ancora in Segunda División. Da quel momento fu un susseguirsi di emozioni. La promozione, la semifinale di Coppa del Re contro il Maiorca (dopo aver eliminato, da squadra di Segunda, Real Madrid e Depor) e la scoperta dell’Europa.
Il cammino dell’Alaves in Coppa Uefa
Il cammino europeo dell’Alavés li portò a eliminare nei primi turni Gaziantespor (Turchia), Lillestrom (Norvegia) e Rosenborg (Norvegia). Fin dalla prima partita, la squadra basca, solitamente con una maglia bianco blu con la scritta “Rioja Alavesa” al centro, giocò con un inconfondibile rosa, tanto che venne soprannominata “The Pink Team”. Quella maglia, oltre al colore, aveva scritti i nomi di tutti i soci del club, un omaggio ai tifosi che li avevano sempre sostenuti.
Dopo i primi tre avversari, il grande scoglio arrivò agli ottavi contro l’Inter. I nerazzurri avevano iniziato la stagione con Lippi in panchina, ma, dopo l’eliminazione dai preliminari di Champions League e la sconfitta in Supercoppa italiana contro la Lazio, l’allenatore viareggino venne licenziato e sostituito da Tardelli.
Il 15 febbraio si giocò al Mendizorroza e i padroni di casa si presentarono con un 4-2-3-1: Herrera, Contra, Eggen, Tellez, Geli, Gomez, Desio, Tomic, Cruyff, Astudillo e Javi Moreno. Mentre l’Inter scendeva in campo con un 3-4-3: Frey, Simic, Di Biagio, Cordoba, Brocchi, Zanetti, Jugovic, Farinos, Michele Serena, Recoba, Vieri.
La sfida si mise subito in salita per i nerazzurri con un gol su azione d’angolo al 44′ di Javi Moreno (capocannoniere in quel momento della Liga), che anticipò Simic di testa. Nemmeno il tempo di festeggiare che, un minuto più tardi, su uno svarione di Tomic, Vieri fece partire un passaggio filtrante per Recoba, che superò tutta la difesa avversaria e segnò il pari.
All’inizio della ripresa, dopo soli cinque minuti, l’uruguayano si liberò in mezzo a due maglie rosa e, nuovamente, con il suo sinistro, portò in vantaggio i nerazzurri. Al ventesimo sembrò che la partita fosse già decisa a favore degli italiani: Farinos recuperò palla nella propria metà campo, superò Tellez e con un lungo passaggio creò una chiara opportunità per Vieri. Il numero 32 superò il portiere con un dribbling e siglò l’1-3. I pochi tifosi giunti dall’Italia applaudirono entusiasti il risultato, convinti che ormai fosse fatta. Peccato per loro che, cinque minuti più tardi, Tellez, rimediando al suo errore precedente, riportò in partita la squadra spagnola con un gol su punizione. Al settantatreesimo Ivan Alonso, appena entrato, segnò di testa il gol del pareggio su cross di Contra.
Una settimana dopo a Milano, di fronte a 15.000 spettatori, tra cui i due CT Trapattoni e Gentile, si disputò il ritorno. L’Alaves scese in campo con gli stessi undici, mentre Tardelli spostò Di Biagio a centrocampo al posto di Jugovic, tolse Simic e in difesa, insieme a Cordoba, schierò Blanc e Cirillo. Dopo un primo tempo concluso con due occasioni per l’Inter, con un tiro da lontano di Di Biagio e un colpo di testa ravvicinato di Blanc su calcio d’angolo, fu l’Alaves a ritornare più convinto in campo nel secondo tempo.
I baschi, dopo essere stati vicini al gol per tre volte, trovarono il vantaggio con un tiro da fuori di Jordi Cruyff, e, pochi minuti più tardi, l’ex romanista Tomic raddoppiò. Mentre il pubblico di casa, deluso dalla propria squadra, lanciò seggiolini in campo in segno di protesta, i tifosi albiazules festeggiarono la storica vittoria a San Siro.
La vittoria nel derby spagnolo contro il Rayo e quella a valanga contro il Kaiserslautern
Oltre all’Alaves, ai quarti ci furono altre tre squadre spagnole: Barcellona, Celta Vigo e Rayo Vallecano, da cui emersero due derby spagnoli. I blaugrana si scontrarono contro il Celta Vigo, mentre la squadra di Mané affrontò il Rayo Vallecano. All’andata, al Mendizorroza i padroni di casa vinsero con un rotondo 3-0, grazie ai gol di Azkoitia, Eggen e Vucko. A Vallecas, con il risultato di 0-0, ancora Jordi Cruyff realizzò con un tiro di sinistro incanalando la contesa in favore degli ospiti. La partita finì 2-1 per i padroni di casa, una vittoria inutile per il Rayo.
L’olandese era un centrocampista offensivo che arrivò nel 2000 a Vitoria, dopo la scadenza del contratto con il Manchester United, e, come suo solito, scelse la maglia numero 14 con scritto sopra “Jordi”, invece del suo cognome.
L’Alaves, dopo aver superato il Rayo Vallecano, per arrivare a Dortmund doveva sconfiggere l’ultimo avversario, il Kaiserslautern, mentre l’altra semifinale era tra le due favorite: Barcellona e Liverpool. I Babazorros con un complessivo 9-2, 5-1 in casa e 4-1 in Germania, superarono la squadra tedesca e meritatamente si qualificarono per una storica finale europea contro i Reds, che a loro volta avevano sconfitto il Barcellona 1-0 ad Anfield.
La famosissima finale di Coppa Uefa tra Alaves e Liverpool
Il 16 maggio del 2001 per il Liverpool era il ritorno a una finale europea 16 anni dopo la tragedia dell’Heysel. Se l’Alaves era la cenerentola del torneo, gli inglesi erano un vero e proprio schiacciasassi, che durante quella stagione riuscì a vincere un totale di cinque titoli.

Alaves – Liverpool 2000-01 (formazioni – immagine Wikipedia)
Al Westfalenstadion la squadra allenata dal francese Houllier scese in campo con la storica maglia rossa sponsorizzata “Carlsberg”, e con un solo cambio rispetto al 4-4-2 visto con il Barcellona: Westerveld, Babbel, Hyypia, Henchoz, Carragher, McAllister, Hamann, Gerrard, Murphy, Heskey, Owen. Mentre l’Alaves, a causa del colore dei Reds, non indossò la tipica maglia rosa che li aveva accompagnati fino alla semifinale, ma, per l’occasione, aveva scelto, anziché i colori tipici (bianco e blu), un’insolita “camiseta” che ricordava quella del Boca Juniors con in mezzo sempre la scritta “Rioja Alavesa”.
Per contrastare la potenza offensiva degli inglesi, Mané optò per abbandonare il 4-4-2, adottando un più coperto 3-5-1-1 in cui, insieme a Telles e al capitano Karmona, venne inserito Eggen; sulle fasce Contra e Geli, a centrocampo Desio, Tomic e Astudillo; in attacco il capocannoniere del torneo Javi Moreno con Jordi a supporto.
L’emozione della finale, i 48.000 tifosi rispetto ai 19.000 del Mendizorroza, ma soprattutto la difesa a tre lasciarono gli spagnoli in balia del Liverpool, che dopo soli 16 minuti era già avanti di due gol. Prima un colpo di testa di Babbel e poi un tiro di destro di Gerrard su assist del futuro pallone d’oro Owen. Al minuto 22, Mané capì che l’esperimento della difesa a tre era meglio riporlo nell’armadio e, al posto di Eggen, entrò Ivan Alonso, che impiegò solo 4 minuti per riaprire le sorti della partita con un colpo di testa su assist di Contra.
I Babazorros cominciarono a credere nel pareggio e Javi Moreno, solo davanti a Westerveld, sprecò una ghiotta occasione. Quando si avvicinava il quarantacinquesimo, Herrera con una brutta uscita stese il “Golden Boy” e concesse al Liverpool un calcio di rigore, così andando sul 3-1.
Come nella semifinale, si presentò McAllister e, anche questa, volta non sbagliò. Negli spogliatoi prese la parola il capitano Karmona e incitò i compagni a giocare come sapevano, dal momento che non avevano più niente da perdere. Potrebbe sembrare retorico, in momenti simili, ma lui, che aveva inizialmente studiato per diventare capitano di un peschereccio per lavorare con suo padre, credeva davvero nelle potenzialità della squadra e nelle chance di ribaltare il risultato. Chi avrebbe mai immaginato che, passando dal giocare per il Sestao, alla fine della sua carriera avrebbe disputato una finale di Coppa UEFA al Westfalenstadion?
Le parole del vizcaino ebbero l’effetto desiderato sulla mente dei giocatori, tanto che in 6 minuti Javi Moreno, con un colpo di testa su cross di Contra e un calcio di punizione che passò sotto la barriera, realizzò una doppietta personale, portando il punteggio sul 3-3. Le emozioni non finirono qui, perché al settantatreesimo Fowler, entrato da dieci minuti per Heskey, ricevette la palla al limite dell’area, passò in mezzo a tre difensori avversari e, con un tiro di destro, riportò in vantaggio gli inglesi.
L’Alaves non si arrese e il suo capitano spronò i compagni, prendendo subito la palla dalla rete e portandola a metà campo. Quando, però, sembrava finita, al minuto 89, su calcio d’angolo spiccò sul primo palo Jordi, che, sfruttando un’uscita a vuoto di Westerveld, siglò il 4-4.
Perdere così è come vincere
Le due squadre, esauste, si ritrovarono così ai supplementari! Dopo 90 minuti, Davide era ancora davanti a Golia. Peccato che il calcio certe volte possa essere crudele e, forse, quello che si stava profilando potrebbe essere uno dei finali ingiusti. La squadra spagnola arrivò agli ultimi 30 minuti stremata e in dieci. Al novantanovesimo, Magno venne espulso per doppia ammonizione, ma la squadra di Mané cercò con tutte le forze di resistere fino ai calci di rigore. A pochi minuti dal termine dei supplementari, Smicer cercò di andare via in velocità, ma Karmona lo trattenne appena fuori dall’area: secondo giallo per il capitano: Alaves in nove e punizione defilata da fuori l’area.
Sul calcio di punizione si presentò McAllister che mise la palla in area, Geli toccò e deviò la sfera nella propria porta. I giocatori del Liverpool esultarono, quelli dell’Alaves si disperarono e l’arbitro, secondo la regola del Golden Goal, fischiò il triplice fischio della seconda finale con più gol della storia del calcio.
Quella fu l’ultima finale con la regola del Golden Goal. Di quella gara si ricorda ancora Geli che, in un’intervista, avrebbe dichiarato di sognare a lungo che quel pallone non fosse entrato in porta. O Javi Moreno, che ebbe a dire: “Mi sento il vincitore di quella finale, l’unica cosa che mi manca è la Coppa”.
Dopo quella stagione, Contra e Javi Moreno andarono al Milan, il club retrocesse e cadde in una crisi finanziaria, mentre altri calciatori, come Tellez, finirono prima a lavorare nell’aeroporto di Baraja e poi in una fabbrica di autobus. Tutto questo, però, non cancellerà mai quella fantastica cavalcata europea del “Glorioso”, perché come scrisse AS il giorno successivo a quella partita: “perder así es como ganar”.
Testo di Philip Supertramp, redattore per F&L e autore della pagina Facebook Il Signore della Liga.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.