Gerrie Mühren, “hombre vertical” del grande Ajax

Gerrie Mühren, “hombre vertical” del grande Ajax

Novembre 26, 2023 0 Di Alfonso Esposito

Tutti, amanti del Napoli e non, ricordano bene quella serie infinita e sublime di palleggi a ritmo di musica con i quali Diego Maradona ammutolì i tifosi tedeschi ed estasiò quelli partenopei nel riscaldamento che precedeva la semifinale di ritorno della Coppa Uefa 1988-1989, contro il Bayern Monaco.

Ma c’è stato chi ha fatto anche di più, dando spettacolo non prima, ma durante un match. Esattamente in un’altra semifinale di ritorno, quella della Coppa dei Campioni edizione ’72-’73, nientemeno che al ‘Santiago Bernabeu’ di Madrid. Giocava nell’Ajax che stava riscrivendo la storia del calcio e che, a giusto titolo, sarebbe diventato leggenda.

Gerrie Mühren: palleggio stravagante ed esibizione leggendaria al Bernabeu

L’Ajax del ‘generale’ Michels e del tedesco Blankenburg, dei terzini volanti Suurbier e Krol, dei centrocampisti universali Neeskens ed Haan, delle ali mortifere Rep e Keizer, ma soprattutto del ‘14’ più famoso di tutti i tempi, Johan Cruijff.

Già, perché il n. 9 non lo indossava più, da quando lo aveva ceduto a Gerrie Mühren. Fantasista mancino di Volendam, terra di pescatori, pittori e musicisti, tutti accomunati dall’estro latino che, secondo la tradizione, deriverebbe dalla fondazione ad opera di un gruppo di baschi stanziatosi lì, nella parte settentrionale dei Paesi Bassi.

Forse è per questo che uno di Volendam s’inventò una stravaganza del genere davanti al pubblico castigliano, quasi a rivendicare l’orgoglio tutto basco dei padri fondatori. Solo uno così può pensare, nel bel mezzo di una contesa del genere, di mettersi a palleggiare ostentatamente di destro e di sinistro, per ben quattro volte dopo aver addomesticato elegantemente col piede mancino a centrocampo un lungo traversone di Wim Suurbier dalla destra. Tutti zitti, magari pensano che Gerrie sia matto da legare, un ‘loco’, compreso il compagno d’armi Barry Hulshoff, lo statuario difensore centrale – guai a chiamarlo stopper, Michels si rivolterebbe nella tomba – che lo riprende per aver provocato il can che dorme.
Col candore tipico di chi non ha nulla da temere o rimproverarsi Gerrie gli risponde “Be’, mi si è presentata l’occasione”. Ma a voler dar retta a Shakespeare ed al suo Amleto, “c’è della logica in questa follia”, se è vero che lo stesso Gerrie ha svelato il duplice retroscena dell’accaduto, di natura sia pratica che ideologica.

Un gesto con una logica ben precisa

Perché aveva capito prima di tutti che Rudy Krol ci avrebbe messo qualche secondo per dargli appoggio sulla fascia sinistra, pensando bene, così, di guadagnare tempo. Ma anche perché, avendo ammirato da bambino, proprio come Hulshoff, il grande Real di Di Stefano e Puskás, non gli pareva vero esibire proprio in casa madridista un simile gesto, che, in fondo, nella sua semplice perfezione tecnica, simboleggiava molto di più di un’apparente irrisione al mito dei blancos. Infatti, proprio in quel momento stava cambiando la storia del calcio, con il passaggio di consegne da una leggenda riconosciuta come il Real ad una in piena affermazione quale l’Ajax di Michels.
“Fu una dimostrazione di superiorità (…) il momento in cui l’Ajax e il Real Madrid si sono scambiati i ruoli”, ha precisato in seguito lo stesso Mühren, dimostrandosi non uno spaccone incosciente, ma uno con la spina dorsale bella dritta, che non piega mai la testa perché, consapevole dei propri mezzi, può guardare tutti senza abbassare lo sguardo.

Più che ‘loco’, Gerardus, detto Gerrie, è un ‘hombre vertical’, come sono stati definiti personaggi del calibro di Sandro Pertini e Luis Sepúlveda. Un uomo che, in fondo, conserva ancora l’innocenza di quel bambino che, innamorato di un pallone, non perdeva occasione per coltivare la propria passione trascorrendo ore per strada e correndo dietro improvvisati palloni di carta o di stracci, perfino dietro palline da tennis, in modo da affinare sempre più la tecnica nel controllo della sfera ed anche la capacità di restare in equilibrio su un terreno duro come l’asfalto, per evitare di cadere e farsi male.

Il fratello Arnold

Per la cronaca quella partita i biancorossi (in quell’occasione solo rossi) di Amsterdam la vinsero per 1-0 nel secondo tempo, grazie proprio ad una sassata di sinistro, da fuori area, del loro geniale n. 9, sporcata da un difensore castigliano.

I fratelli Gerrie e Arnold Mühren in attesa del volo per Madrid, all’aeroporto di Amsterdam Schiphol (immagine tratta da Wikimedia Commons)

Gerrie era maggiore di cinque anni rispetto al fratello Arnold, anche lui presente quella sera al ‘Bernabeu’, con la casacca n. 6. Un altro provvisto di talento da vendere, se è vero che passerà alla storia ben quindici anni dopo, nella finale contro l’URSS (2-0) agli Europei dell’88, quando servirà a Marco Van Basten il pallone del raddoppio oranje con un cross di sinistro ad effetto che ‘il cigno di Utrecht’ trasformerà stupendamente in gol, con un’incredibile volée di destro in pratica dalla linea di fondo, un pallonetto angelico che non dà scampo al portiere sovietico Dasaev e che commuove perfino una sfinge come Michels, che dapprima si mette le mani nei capelli, poi con le stesse si copre il volto, quasi piangendo per l’emozione.

Arnold, fra l’altro, si sarebbe perfino schermito, affermando che, in verità, quello che fu ritenuto il miglior cross della sua vita altro non era che un semplice passaggio, non un vero e proprio assist.

Gerrie Mühren e una “9” pesante

Tornando a Gerrie, vien da domandarsi come mai uno con tanta classe, unita ad una buona dose di sfacciata sicurezza di sé, uno che sapeva coniugare le sue doti naturali anche con un movimento perenne ed un’intelligenza tattica fuori del comune – tanto da consentirgli di soffiare il posto, nella prima squadra dell’Ajax, a Klaas Nuninga, uno dei giocatori olandesi più quotati degli anni ’60 –, come mai, appunto, uno così abbia racimolato appena dieci gettoni di presenza con la maglia della sua nazionale, peraltro risultando assente alla rassegna del mondiale tedesco del ’74, quello della consacrazione pressoché definitiva del ‘calcio totale’ agli occhi di tutto il pianeta.

La sua n. 9 tocca a Piet Keizer, ma in realtà il forfait da parte di Mühren fu di fatto forzato, a causa dei problemi di salute del figlio, appena nato. Nonostante le insistenze della moglie e del padre, sebbene Michels stesso lo implorasse di ripensarci, Gerrie rinunciò alla vetrina mondiale senza pensarci su due volte, “vado pazzo per il calcio, ma la mia famiglia è più importante. Se tornassi indietro farei lo stesso” ha dichiarato da vero uomo tutto d’un pezzo.

Ecco chi è davvero Gerardus, detto Gerrie. Uno che al ‘Bernabeu’ “fè silenzio” tutt’intorno, come avrebbe scritto il Manzoni di Napoleone nel suo celeberrimo “Il 5 maggio”. Uno che ha dimostrato con i fatti che in quel vero esempio di gioco collettivo che era l’inimitabile Ajax degli anni ’70 anche la classe non era privilegio esclusivo di pochi o pochissimi predestinati. L’avesse fatto Cruijff quel palleggio, nessuno se ne sarebbe meravigliato, ma che lo eseguisse uno diverso da ‘Johan I’ significava solo una cosa: che, in quella squadra, anche la qualità superiore era uno status condiviso e messo a frutto nel migliore dei modi. A beneficio di tutti.

 

Testo di: Alfonso Esposito. Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.

Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.

A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons: un giovane Gerrie Mühren nella sua Volendam.