Gigi Riva: il legame unico tra un uomo e il suo popolo
Gennaio 24, 2024Maggio 1963.
All’aeroporto di Cagliari-Elmas sta per atterrare il volo che cambierà per sempre la vita di un giovane calciatore di diciannove anni. Lui ancora non lo sa, anzi, nella mente gli ronzano pensieri che stonano totalmente con ciò che oggi racconta la storia. La sera incombe fuori dal finestrino. È buio e le luci lì sotto sono davvero poche. Di fianco a lui c’è Fausta, sorella e madre adottiva. Un pensiero gli risuona nella mente: ma non sarò mica finito in Africa?
Comincia così l’avventura in Sardegna di Luigi Riva da Leggiuno. Un’avventura che non avrà mai fine e nella quale passione, condivisione e rispetto rappresentano le parole chiave per esprimere un sentimento unico.
Il mito di Rombo di Tuono
Del Riva calciatore forse è superfluo parlarne. Sono i numeri a farlo limpidamente. Con la maglia azzurra le reti realizzate sono state 35 in 42 partite. Con il Cagliari lo score segna 208 gol in 378 incontri. Dove non arrivano i numeri arriva poi la leggenda. Non potrebbe essere diversamente per chi è riuscito a regalare a una città, a una Terra, a un popolo intero quel sogno chiamato Scudetto. Lui che a Cagliari nemmeno voleva venire. Nella stagione precedente al suo arrivo, la squadra aveva chiuso al nono posto il campionato di Serie B. Il resto è storia.
Chissà poi cosa avrebbe potuto raccontare proprio la storia se, quelle sere del 27 marzo 1967, a Roma contro il Portogallo, e del 31 ottobre 1970, al Prater di Vienna contro l’Austria, il perone della gamba sinistra prima, e di quella destra poi, non si fossero spezzati. Senza andare però a scomodare i se e i ma, non penso sia un’eresia affermare che, con Meazza, Riva sia stato il centravanti più forte che l’Italia abbia mai avuto. Gianni Brera, il più grande cantore del giornalismo sportivo italiano, ha contribuito a elevare a mito il numero undici del Cagliari.
“Il Cagliari ha subito infilato e umiliato l’Inter a San Siro. Oltre settantamila spettatori: se li è meritati Riva, che qui soprannomino Rombo di Tuono”.
A volte la vita è strana. Il Cagliari campione d’Italia, e primo in classifica, affonda l’Inter al Meazza nella quarta giornata del torneo 1970/71. Riva segna due reti. Era il 25 ottobre 1970. Sei giorni prima di Austria-Italia e di quel maledetto secondo perone spezzato.
Rombo di tuono è il soprannome perfetto. Nomignolo che sintetizza al massimo le capacità tecniche e atletiche di un calciatore unico. Il timore causato agli avversari già quando prendeva palla lontano dalla porta, come un fulmine visto in lontananza che non fa presagire nulla di buono. La potenza del suo incedere verso l’area, sprigionata poi dal piede sinistro, come il boato di un tuono.
La penna di Brera e la parabola calcistica di Riva si incrociarono ancora qualche anno più tardi quando, nel ’76, l’ennesimo infortunio, stavolta muscolare, mise fine alla carriera e alle sofferenze del trentunenne, ormai sardo a tutti gli effetti. “Que no quiero verla – Non voglio vederla”, affermava Federico Garcia Lorca riferendosi al sangue dell’amico e torero Ignacio Sánchez Mejías disteso a terra nell’arena. Gianni Brera reagì con le stesse parole nel vedere Riva, da lui enormemente stimato, all’amaro capolinea della sua vita da calciatore.
Il rapporto di Gigi Riva con la Sardegna e con Cagliari
Un uomo burbero ma, nella parte più nascosta della propria indole, pieno di sentimento. Un popolo apparentemente arcigno ma capace di aprire al prossimo le parti più nascoste della propria anima. Un uomo introverso, introspettivo, a suo agio nella propria tranquillità. Una Terra sterminata, in rapporto con le poche persone che ci vivono, isolata, con la quale confidarsi e condividere il desiderato silenzio.
Riva ha trovato nella Sardegna la sposa perfetta. L’anima gemella con la quale passare il resto della propria vita. Dalle battute di pesca con gli amici del quartiere Marina fino ai pranzi con i pastori della Barbagia. Dalle passeggiate notturne, nelle strade deserte degli anni ’70, fino a quelle più mature e riflessive all’età in cui la spavalderia giovanile lascia spazio alla saggezza.
Ma al principio non fu così. Quel sentimento ostile di essere capitato in un posto abbandonato da Dio, arretrato e così introverso, lo pervase per più di qualche giorno. Giusto il tempo di rendersi conto, dopo la prima storica promozione in Serie A, che quella Terra così spigolosa, molto simile a lui, gli si era gettata tra le braccia pronta a farsi trasportare.
Della Sardegna Riva ha sempre amato la semplicità delle persone e la loro genuinità nell’affrontare e vivere la vita. Una vita che fin da piccolo gli tolse ciò che ad un bambino non bisognerebbe mai togliere: la spensieratezza. Se dovessi però esprimere, con una sola parola, il rapporto tra Riva e la Sardegna non avrei dubbi a utilizzare la parola rispetto. Nel popolo sardo, e in particolare nella città di Cagliari, Riva ha trovato un compagno di vita presente ma non invadente, rispettoso di quel caffè bevuto in solitario al bancone del bar o della passeggiata tra le affollate vie del centro.
Un’attenzione verso le proprie esigenze resa poi indietro sotto forma di gratitudine attraverso un saluto sempre sincero verso chiunque. Una parola e un sorriso all’edicolante e al tabaccaio di fiducia, una risata più sbottonata a chi, nel ristorante preferito, gli si avvicinava a stringergli la mano.
La gente gli voleva bene ed è proprio il sentirsi voluto bene che rappresenta quel fattore determinante che, man mano, ha fatto sì che nella sua mente si fissasse la convinzione di rifiutare trasferimenti importanti e non andare più via. Come quel giorno in cui la città manifestò, coesa, contro la sua possibile cessione. Tra la folla vi erano i tifosi, ma non solo. Era presente la gente comune, quella che di calcio magari se ne intende un pochino meno ma che era ben conscia che Riva fosse qualcosa di più di un semplice calciatore. Lui quel giorno era lì, per caso, in mezzo al suo popolo ed è lì che forse realizzò che ne faceva realmente parte.
Il saluto mancato
Fino a non troppi anni fa non era raro imbattersi nella sua maestosa figura tra le vie del capoluogo sardo. Per almeno quindici anni, una o due volte a settimana, l’ho incrociato per strada. Io incrociavo lui, lui non incrociava mai me. Il rispetto verso la sua intimità era troppo grande. A volte capitava di percorrere insieme lo stesso tratto di strada. Mentirei se dicessi che non mi è mai passata per la testa l’idea di fermarlo per un saluto. L’aurea immensa che però lo circondava me lo ha sempre reso impossibile. Troppo grande il rispetto o forse troppo timido io.
Ad incrociare il suo sguardo poteva essere un bimbo, un ragazzo o chi lo aveva visto giocare ma l’emozione provata, sicuramente, era la stessa perché tutti sapevano chi era stato e chi era Gigi Riva. Questo perché le leggende non hanno tempo e si tramandano di padre in figlio. Con il passare degli anni, e con qualche malanno fisico in più, diventava sempre più raro incontrarlo per le vie della città. La percezione era che nell’aria mancasse qualcosa. Sono convinto che quel saluto mancato riguardi me e tante altre persone. Persone che in queste ultime ore gli hanno reso onore e gli hanno sussurrato un semplice ma enorme grazie.
Alessandro Sanna è un insegnante, tifoso del Cagliari ed esperto di calcio sudamericano. Ha scritto per la Rivista Sottoporta. Collabora con Carlo Pizzigoni a “La Fiera del Calcio”. Conduce su Twitch la trasmissione “BoxtoBox” , ed è autore del Podcast “Que Viva el Fútbol”. Ha scritto due libri: “Fantasie calcistiche rioplatensi: Storie di fútbol tra fantasia e realtà e “¡Que viva el fútbol!: Storie, aneddoti e cronache delle più accese rivalità sudamericane”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.