
Marcello Diomedi: ventimila sardi più uno all’Amsicora
Gennaio 29, 2024Marzo 1970. Lo stadio di Torino si chiama ancora “Comunale”. In quella piovosa domenica si affrontano la Juventus (seconda) ed il Cagliari (primo) in un match – considerato già decisivo per lo scudetto – affidato al fischietto di Concetto Lo Bello da Siracusa.
Va in vantaggio la Juve con un’autorete di Niccolai ma Giggirriva (con le consonanti raddoppiate alla Sarda e tutto attaccato) é in agguato e prima dell’intervallo fa pari. Nel secondo tempo c’é una maglia a strisce bianconere che va in terra e Lo Bello (che godeva a prescindere quando poteva fischiare la massima punizione) indica il dischetto. Haller si incarica della battuta ma il tedesco piú latino che sia mai apparso sulla terra fallisce. L’arbitro siciliano peró, col piglio da protagonista che lo distingue, fa ripetere in quanto Albertosi (che poi ha una vera e propria crisi di nervi) si sarebbe mosso prima che il pallone partisse. Cambia il rigorista, sul dischetto va Anastasi che non fallisce.
Che fa allora il Cagliari? Che fa Riva? Fedele alla sua indole di leader silenzioso Rombo di Tuono si avvicina al Direttore di Gara mentre le squadre si riportano a centrocampo. “No, Signor Lo Bello, cosí non si fa. Lei sta rovinando una stagione, ci stiamo giocando il campionato!”
Qualche minuto dopo corner per gli isolani, trattenute varie in area piemontese (di quelle che si vedono ad ogni calcio d’angolo e Lo Bello da quel volpone che è lo sa) ed il baffuto referee della Trinacria puó fischiare un rigore anche per gli ospiti che lo stesso Riva trasforma. Si chiama Leadership.
Primavera inoltrata, penultima giornata. Cagliari contro Bari, scudetto matematico in caso di vittoria. L’esodo del Popolo Sardo verso il vecchio Amsicora (i famosi “Sassaresi – ovviamente non Torresini! – che partivano di casa alle otto del mattino” citati da Riva nelle interviste ) quel giorno é piú imponente che mai. C’é voglia di urlare a quel presuntuoso “Continente” – che ti ha sempre sfruttato a suo uso e consumo e al contempo guardato con diffidenza e preso in giro etichettandoti come “pecoraio”, “bandito”, “testadura” dimenticandosi che hai una civiltà millenaria e solo “un po’ ” di Deledda, Gramsci o Lussu – che tu ce la puoi fare, puoi essere il migliore. Puoi riscattarti da un destino scritto di marginalità.
Marcello Diomedi: un sardo nel Bari nel giorno dello Scudetto cagliaritano
Quel giorno, dall’altopiano granitico del Monte Limbara, tra i vigneti e le querce da sughero della nativa Calangianus, nella Gallura Interna, c’é un Sardo che arriva in aereo dalla Puglia. Ma chi é? Come é possibile?
Il suo nome é Marcello Diomedi, classe 1942, penultimo di sei fratelli, professione calciatore. Del Bari. “Sono figlio di genitori marchigiani – raccontava in un’intervista – ma sono tenace ed ostinato, caratteristiche tipiche di chi é nato e cresciuto in Sardegna”.
Dopo gli inizi al Centro Sportivo Olbia dove era impiegato come centravanti-ala si trasferisce per motivi di studio a Cagliari dove gioca nel Quartu Sant’Elena, dove lo spostano a mediano e poi al Gennargentu.
La stagione 1960/61 é quella della svolta in quanto viene ingaggiato dalla Sangiorgese, proprio nelle Marche (“Mi chiamavano Oriundo – ricorda – io ci ridevo sopra”) in quarta serie e dopo due anni arriva la chiamata dei professionisti alla Ternana.
Con le Fere gioca da terzino destro divenendo un beniamino del pubblico e conquistando anche la Nazionale di Serie C, vincendo per ben due volte il premio che il quotidiano “Stadio” metteva in palio per i giocatori di categoria. Le sue prestazioni convincono la Fiorentina a vestirlo di Viola. A Firenze disputa due campionati di Serie A contribuendo a far vincere alla squadra viola, nella stagione 1965-1966, la Coppa Italia e la Coppa Mitropa.
Ma che giocatore é Marcello Diomedi? Un terzino vecchia maniera di quelli raramente agli onori della cronaca per giocate o prestazioni superlative ma che parimenti quasi mai sbaglia partita. Uno di quegli alunni che a scuola “vanno bene, non disturbano”. Ma il cui rendimento costante finisce per alzare la media dell’intera classe.
Dopo Firenze ecco Bari. Nel1968-1969 ottenne la promozione in Serie A coi “Galletti” mantenendo il posto da titolare per la successiva stagione in massima serie.

Il gol del vantaggio di Gigi Riva contro il Bari (Wikipedia)
Ed eccoci al 12 Aprile 1970. Il Cagliari spinto dalla sua gente per lo Scudetto, il Bari (scusate La Bari, senza la E al posto della A che si usa in provincia ma non in città) nonostante l’apporto di vecchi leoni quali Tumburus, Muccini e Cané (che peró va tatticamente in conflitto con la classe un po’ ingovernabile di Mario Fara) è ultimo e se perde retrocede. Due a zero, festa in tutta la Sardegna e chissà in quali città e in quali quartieri d’Italia e d’Europa.
Dopo quella stagione, un campionato alla Fermana prima di chiudere con l’Alghero per poi riciclarsi a Jesi come assicuratore, continuando nei campionati dilettanti fino a trentotto anni, e dove lascerà questo mondo nel 2021.
Parentesi: insieme ad Antonio Martorella e a Denis Godeas detiene il primato di aver giocato e segnato almeno una volta in tutti i livelli del calcio italiano, dalla Serie A alla Terza Categoria.
Quel giorno all’Amsicora c’erano ventiseimila Sardi. Ventiseimila più uno.
Testo di Simone Rinaldi. Tifoso del Bologna e della Virtus, Simone vive lo sport a 360 gradi. Pubblica quotidianamente contenuti sui suoi gruppi “Calcio Caraibi” (con Davide Tuniz) e “Sportsaround” (con Luca Sisto). Per passione scrive su Football&Life.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.