Luis Aragonés e la faida con Raúl in nazionale
Gennaio 30, 2024Il 13 ottobre 2007 si giocò Danimarca-Spagna, una partita chiave per le qualificazioni all’Europeo. Le Furie Rosse erano in testa al Gruppo F con 19 punti, gli stessi della Svezia, anche se con una partita in più rispetto agli svedesi. A quota 16 c’era poi l’Irlanda del Nord. Quarta con 14 punti – e una gara in meno della Spagna – si trovava invece proprio la Danimarca.
Dopo l’impegno di Copenaghen, la Spagna avrebbe affrontato in casa la Svezia e l’Irlanda del Nord. Con tre scontri diretti in ballo, tutti i giochi erano ancora aperti. Soprattutto perché la nazionale spagnola sembrava decisa a spararsi sui piedi da sola.
Gli esordi nel girone erano stati infatti pessimi: sconfitti sia in Irlanda del Nord (3-2) che in Svezia (2-0), gli spagnoli erano andati avanti sul filo del rasoio, rischiando ridicole figuracce anche nelle partite più accessibili.
Andrés Iniesta aveva tolto le castagne dal fuoco contro l’Islanda sia a Palma de Mallorca (1-0, gol al minuto 81) sia a Reykjavík, dove aveva pareggiato al minuto 86 il vantaggio di Emil Hallfredsson, centrocampista allora in forza alla Reggina. Nel mezzo alle gare con gli islandesi c’erano state poi due vittorie tutt’altro che convincenti contro Lettonia e Liechtenstein, successi che almeno erano serviti a sommare punti, visto che l’entusiasmo attorno alla Selección era sceso al minimo storico.
Se una veggente avesse pronosticato quello che sarebbe accaduto nei successivi cinque anni, nessuno, in quel momento, gli avrebbe creduto.
Le critiche avevano comunque un bersaglio ben preciso: Luis Aragonés. Facile prendersela con gli allenatori di turno, anche se il “Sabio de Hortaleza” aveva certamente alimentato il “morbo” con il suo carattere burbero, fin troppo diretto, e la maniera poco diplomatica di confrontarsi con la stampa. I risultati, il vero ago della bilancia, avevano poi lasciato a desiderare. Così come le prestazioni in campo.
Se non bastasse tutto questo, nell’autunno del 2004, Luis Aragonés fu ripreso durante un allenamento impartendo un discorso motivazionale a José Antonio Reyes, all’epoca in forza all’Arsenal e compagno di Thierry Henry, a cui il tecnico spagnolo si riferì infelicemente come «el ne*ro de mi**da».
In molti gridarono allo scandalo e chiesero le dimissioni dell’allenatore, il quale si scusò, ammettendo l’errore ma al tempo stesso rifiutando di passare come razzista. In suo sostegno vennero anche alcuni giocatori di colore come George Finidi, Samuel Eto’o e Marcos Senna, che lo difesero a spada tratta. Eto’o arrivò persino a dire che Luis Aragonés era stato per lui come un padre. Malgrado le scuse e le giustificazioni, il messaggio consegnato al pubblico risultò comunque orrendo.
Tuttavia, con l’arrivo delle partite importanti, quell’episodio venne messo nel dimenticatoio e lasciò spazio per le critiche a prestazioni e risultati. E nemmeno in questo caso la stampa e l’opinione pubblica ci andarono giù leggeri.
L’inizio della faida tra Luis Aragonés e il capitano del Real Madrid
L’eliminazione della Spagna nei quarti del Mondiale 2006 per mano della Francia aveva lasciato molto amaro in bocca. C’era la convinzione che le Furie Rosse avrebbero potuto fare di più anziché perdere quasi senza lottare contro il primo avversario di una certa caratura. Si passò così dai facili entusiasmi della vigilia al consueto tiro al bersaglio, e nel banco degli imputati, ovviamente, sedette in prima fila Luis Aragonés, la cui promessa di rivoluzione calcistica era rimasta a metà.
Ma il peggio doveva ancora venire: dopo le sconfitte con Irlanda del Nord e Svezia, i media chiesero all’unanimità la testa dell’allenatore madrileno: «¡Fuera!» [Fuori!] tuonò il Mundo Deportivo; «¡Luis, vete ya!» [Luis adesso vattene!] suggerì Sport; Marca prese invece in giro il tecnico spagnolo con un sarcastico «Luis está animadísimo» [Luis è molto ottimista].
Sebbene l’intero Paese stesse reclamando a voce alta l’esonero di Luis Aragonés, la Federazione decise invece di offrirgli l’appoggio e il sostegno necessari a continuare. Una decisione che avrebbe cambiato la storia del fútbol spagnolo, ma che nel novembre 2006 venne vista solo come un inutile atto di testardaggine.
Come se non bastassero i risultati e le prestazioni, ben presto la stampa trovò un altro elemento – e che elemento! – per poter criticare ferocemente Luis Aragonés e spingere la ghigliottina ancor più vicina al suo collo. Dopo la sfida con l’Irlanda del Nord, dalla lista dei convocati delle Furie Rosse era infatti sparito il nome di Raúl González Blanco.
Far fuori il capitano della Selección e del Real Madrid, il recordman di gol con la nazionale, uno che non mancava da una lista di convocati dal 1996, fu qualcosa di difficile da accettare. Non solo fra i tifosi merengue e nel settore filo-madridista della stampa.
Raúl era stato il giocatore simbolo del movimento calcistico spagnolo nel decennio precedente. Leader e capitano del Real Madrid, aveva resistito firme all’ondata di Galacticos giunta al Bernabéu nei volubili anni della prima presidenza di Florentino Pérez. I tanti campioni arrivavano e partivano, ma Raúl rimaneva sempre. In nazionale, poi, aveva portato la croce per anni. Anche quando la maggior parte dei compagni non era stata alla sua altezza.
Tuttavia, per gli spagnoli più esigenti, Raúl aveva faticato a lasciare una impronta nei momenti clou con la Selección: nel Mondiale 1998 non aveva evitato una prematura e cocente eliminazione; nell’Europeo 2000 sparò alto un calcio di rigore nei soliti quarti contro la Francia; nel Mondiale 2002 si infortunò sul più bello; nell’Europeo 2004 venne inghiottito dalla difesa portoghese. Idem nel 2006, non pervenuto e sostituito anzitempo nella sconfitta con la solita Francia.
L’ultima partita giocata da Raúl era stata la sconfitta di Belfast con l’Irlanda del Nord, un vero e proprio spartiacque nella storia moderna della nazionale spagnola. Ma le frizioni fra lui e il tecnico venivano a monte, dal Mondiale. Problemi di carattere tecnico, ma anche di ego. Due galli nello stesso pollaio.
A livello tecnico, Raúl era arrivato al Mondiale di Germania dopo un serio infortunio al ginocchio che lo aveva lasciato ai box per quattro mesi. Aveva forzato per rientrare, Aragonés lo aveva aspettato, malgrado il madrileno fosse rimasto da ottobre a secco di gol, qualcosa di veramente insolito per lui. Il tecnico avevo però deciso di iniziare il Mondiale con la giovane coppia Fernando Torres-David Villa, con Luis Garcia del Liverpool come uomo di raccordo fra l’attacco e il centrocampo. Raúl dovette attendere così il suo turno, che arrivò nella terza gara con l’Arabia Saudita, dove – con la Spagna già qualificata – erano state impiegate principalmente le seconde linee.
Le pressioni da parte dei media, la caratura dell’avversario, e la gerarchia di Raúl: alla fine, per gli ottavi contro la Francia, Aragonés non se la sentì di lasciar fuori nuovamente il capitano e decise di schierare il tridente, con il madrileno alle spalle del Niño Torres e del Guaje Villa. L’esperimento, dal punto di vista tecnico, fu un disastro.
La Spagna risultò sbilanciata e sconnessa: Raúl aveva rallentato il gioco ed era stato incapace di dialogare con il resto della squadra. Sebbene il punteggio fosse ancora sull’1-1, Aragonés si corresse al minuto 53: fuori Raúl e Villa, dentro Luis Garcia e Joaquín. Ma la Francia era stata fin lì nettamente superiore e lo fu anche nella parte restante. Il 3-1 finale non ammise repliche.
Aragonés ha sempre creduto che quella sconfitta fosse colpa sua, della sua mancanza di coraggio. Del non aver saputo lasciare in panchina Raúl. Fermo restando l’oramai intoccabilità della coppia Torres-Villa, alle loro spalle il mister vedeva necessaria la presenza di centrocampisti dotati di dinamismo, fantasia ed intelligenza tattica, bravi a giocare sia fra le linee in posizione centrale, sia allargarsi sulla fascia. C’erano dei giocatori già pronti per coprire quei ruoli – Andrés Iniesta e David Silva furono entrambi titolari ad Euro 2008 – mentre Aragonés aveva già individuato a chi consegnare il telecomando del gioco: Xavi.
Anche a livello gestionale, la presenza nello spogliatoio di un leader nato come Raúl aveva stonato con i modi di Aragonés. Il “Sabio de Hortaleza” era infatti uno abituato a comandare a bacchetta i giocatori, trattatati con rispetto e cameratismo ma anche con una certa forma di autorità. Bastone e carota. Ma sempre – e solo – secondo i suoi principi. Che per qualcuno potevano suonare antiquati, visto che il mister aveva 66 anni. A confermare tali attriti anche il giornalista Alfredo Relaño, che, in un suo articolo scritto per il Diario AS nel 2016 ricordò due curiosi episodi successi prima e dopo la trasferta in Irlanda del Nord.
Il primo accadde nel ritiro di Madrid, quando alcuni giocatori rientrarono in hotel in clamoroso ritardo rispetto al coprifuoco stabilito. Raúl, che aveva rispettato alla lettera gli ordini del mister, rimase perplesso quando Aragonés decise di non prendere provvedimenti, lasciando impuniti i responsabili. Per provocazione, la sera successiva, il capitano del Madrid e il suo compagno Michel Salgado – un altro che sarebbe stato poi epurato – decisero di prendersi anche loro delle libertà, rimanendo fino a tardi nel bar dell’hotel, con una o più birre sul tavolo. Quando un membro dello staff li riprese, i due pretesero che fosse lo stesso Aragonés a scendere. Cosa che il “Sabio” fece. Ne seguì una discussione, nella quale i giocatori si lamentarono della mancanza di disciplina.
La rottura era già irreversibile. Al rientro a Madrid dopo la vergognosa sconfitta di Belfast, Raúl decise di non passare la notte con i compagni. Aragonés aveva l’abitudine di tenere assieme i giocatori per un’ultima notte, prima di sciogliere le righe la mattina successiva. Lo faceva per non creare favoritismi fra quelli di base a Madrid e gli altri. Raúl, invece, vedeva più logico andarsene a dormire a casa. Episodi del genere sono il pane quotidiano in una squadra di calcio, ma tali frizioni confermarono l’incompatibilità fra il capitano e il mister.
Lo stesso Aragonés, nel maggio 2012, ammise che una delle operazioni chiave attuate dopo la gara con l’Irlanda del Nord fu proprio il “destierro de los egos”, ovvero il mettere da parte l’orgoglio personale e il proprio ego in nome del gruppo. Tuttavia, la telenovela-Raúl era lungi da essere terminata, e la saga assunse il suo punto più caldo proprio alla vigilia della delicata trasferta in Danimarca.
Le tante assenze costrinsero Luis Aragonés a una formazione d’emergenza: il “Sabio” fece esordire Raúl Albiol in difesa ed affidò il peso dell’attacco a Raúl Tamudo, il centravanti dell’Espanyol. Dell’altro Raúl, quello del Real Madrid, ancora nessuna traccia, fra le rimostranze di tifosi e stampa.
Stanco di tante lamentele, mentre stava firmando degli autografi, Luis Aragonés perse clamorosamente le staffe. «Sai a quanti Mondiali è andato Raúl? A tre! E sai a quanti Europei? A due! Dimmi quelli che abbiamo vinto!?!?» La rabbiosa esplosione d’ira venne filmata e mandata in pasto ai media spagnoli, con il Mundo Deportivo che qualificò il teatrino come spettacolo degno del Club de la Comedia.
A pochi sembrò importare la brillante vittoria 3-1, successo fondamentale alla qualificazione all’Europeo. Gara dove nacque ufficialmente il tiki-taka, così il telecronista Andrés Montes ribattezzò la ragnatela di passaggi spagnola che aveva mandato in tilt i danesi. Perché si, prima dell’arrivo sulla scena di Pep Guardiola, era stato proprio Aragonés a piantare i semi di un gioco che negli anni successivi in molti avrebbero copiato, tentato di emulare o provato ad annientare.
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Le convocazioni per l’Europeo del 2008: Raúl fuori
Gli esami, però, non erano finiti con la qualificazione all’Europeo. Mancavano ancora diversi mesi all’appuntamento, ma il conto alla rovescia verso la diramazione dei 23 convocati era appena iniziato.
Nel gennaio 2008, invitato negli studi dell’emittente radiofonica Onda Cero, Aragonés ebbe una animatissima discussione con il presentatore Alfonso Azuara, mentre qualche giorno più tardi la Selección venne accolta alla stazione di Malaga da una folla tutta inneggiante a Raúl. In quel momento, l’intero Paese sembrava essere a favore dell’attaccante madridista e anti-Luis Aragonés. Anche nella Federazione si incominciò a valutare alternative, con Vicente del Bosque identificato come la persona giusta per prendere in mano le redini dopo l’Europeo.
La situazione divenne tanto incandescente che alla fine Raúl ed Aragonés furono costretti a convocare una conferenza stampa nella quale si sedettero fianco a fianco per mettere fine alle speculazioni. Secondo il tecnico tutte quelle manifestazioni erano state organizzate, così anche l’attaccante si dovette esporre per negare di essere involucrato direttamente in quel ridicolo teatrino.
Perché il capitano del Real Madrid, dopo la sua esclusione, aveva mantenuto un profilo basso, e mai si era lanciato in polemiche, anzi. Con profonda diplomazia aveva dichiarato che “la Selección fosse al di sopra degli interessi dei singoli” e che, se non avesse giocato, sarebbe stato comunque “il tifoso numero uno della Spagna”. Solo anni dopo, Raúl avrebbe confessato ai microfoni di Onda Cero che l’esclusione dalla nazionale era stato il peggior momento vissuto nella sua gloriosa carriera.
Il tanto atteso incontro ebbe luogo nel complesso de Las Rozas, il quartier generale delle Furie Rosse. I due arrivarono assieme e se ne andarono sorridenti: Aragonés dichiarò che le porte della nazionale erano aperte a tutti, mentre Raúl assicurò la propria totale estraneità alle proteste. Fu un armistizio più che una pace vera e propria. I più positivi pensarono che Aragonés alla fine si sarebbe piegato al volere del popolo, richiamando il madridista in nazionale, specialmente dopo le sue 18 reti in campionato. Ma si sbagliavano: il tecnico decise di portare in attacco Dani Güiza del Mallorca e Sergio García del Real Zaragoza. Raúl avrebbe visto così l’Europeo alla TV.
Il resto è storia: la Spagna vinse l’Europeo del 2008, un successo ottenuto dopo 44 anni di digiuno, periodo in cui le Furie Rosse avevano collezionato figuracce, cadendo sempre sul punto più bello, a volte per episodi di mala suerte – su tutte la papera di Luis Arconada nel 1984 – o per episodi arbitrali controversi, come la gomitata di Tassotti a Luis Enrique o il “furto” coreano ad opera di Gamal Al-Ghandour.
Nel 2008 le vecchie scuse erano state però messe nel cassetto e la missione finalmente compiuta. Dopo l’Europeo, come previsto, Del Bosque prese il posto di Aragonés e aggiunse un Mondiale e un altro Europeo alla bacheca. Ma colui che aveva pavimentato la strada verso la gloria era stato senza dubbio il “Sabio de Hortaleza”.
Molti giornalisti, che avevano selvaggiamente disprezzato il lavoro di Aragonés nei mesi precedenti, dovettero rimangiarsi le proprie parole. Dopo l’Europeo, tutti volevano infatti salire sul carro dei vincitori e prendersi un pezzo della torta. Ancora oggi c’è chi fa l’agnellino e l’innocente, giurando che giammai, in nessuna maniera, avessero offeso o criticato Aragonés. Incluso qualcuno che prova a passar da profeta, dicendo che sapeva quello che sarebbe accaduto. Però mentono. Tutti.
Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo, del libro “Dalla Furia al Tiki-Taka” (Urbone Publishing) e de “La Quinta del Buitre”.
Immagine di copertina riadattata da Wikipedia.