Maurizio Schillaci, l’artista maledetto e il Licata di Zeman
Febbraio 6, 2024Il flashback l’ha propiziato uno dei tanti gialli su Montalbano, partoriti dalla mente e dalla penna di Andrea Camilleri. Mi è bastato rileggerlo per rammentare quel piccolo-grande miracolo di provincia che fu il Licata di Zdenek Zeman. Magari per l’assonanza solo fonetica con Vigata – lo stesso Camilleri chiarì che, in realtà, lo scenario delle vicende del famoso commissario siculo era Porto Empedocle – sta di fatto che all’istante il pensiero è volato in quella direzione. Correva l’anno calcistico 1985-1986 quando la compagine agrigentina faceva parlare di sé da neopromossa nel girone B della serie C1.
Il Licata di Zeman
L’allenatore era, appunto, Zeman, profeta iconico della zona pura e di quel calcio spettacolare che partorì Zemanlandia, l’isola felice dove anche gli illustri carneadi del football godevano del loro momento di gloria. Abbinando la tradizione danubiana e la rivoluzione olandese promossa da Rinus Michels, “Sdengo” è ancor oggi l’emblema di un calcio decisamente offensivo e divertente. Ricordo quando, nel campionato di B 2011-2012, quello che avrebbe poi decretato la promozione in A del Pescara suo e di Immobile, Insigne e Verratti, venne a Castellammare di Stabia per sfidare la Juve Stabia di Piero Braglia e Marco Sau e tutti ci stupimmo di come, al fischio d’inizio, l’undici adriatico, eccezion fatta per il portiere e i due centrali difensivi, fosse interamente schierato a ridosso della linea di metà campo.
Il verbo zemaniano si era comunque già manifestato ai tempi di quel Licata che, pur arrivando undicesimo, s’impose all’attenzione di tutti, divertendo e sciorinando calcio per intenditori.
Ben presto divennero più che noti ai calciofili perennemente voraci di novità quelli che, fino ad allora, erano poco più che illustri sconosciuti: il portiere Emilio Zangara, il terzino destro volante Castrense (già un nome così è impossibile dimenticarlo) Campanella, i centrali difensivi Angelo Consagra e Maurizio Miranda (che seguiranno poco dopo Zeman, nel Foggia), il metodista Giacomo Modica (poi storico ‘secondo’ di Zdenek), la mezzala Domenico Giacomarro (anche in A col Verona), il trequartista Giuseppe Romano e, infine, lui, Maurizio Schillaci (all’anagrafe Antonio Maurizio), un passato nelle giovanili del Palermo ed un presente licatese che, in due anni di militanza, è corredato da ben 22 reti.
Antonio Maurizio Schillaci: un cognome impegnativo
Cognome impegnativo il suo, rievoca quello del più celebre cugino Totò, l’eroe delle ‘notti magiche’ di Italia ’90, che, affiancato ad Alberto Diodicibus, conquista da punta del Messina di Franco Scoglio la promozione in B col primo posto nello stesso girone del Licata proprio nel torneo ’85-’86, al quale si accennava appena sopra.
Ma la stagione successiva in cadetteria sarebbe approdato anche Maurizio, che per le giocate funamboliche messe in mostra ed anche per una discreta confidenza col gol si merita le attenzioni della Lazio, retrocessa due anni prima dalla A e desiderosa di riscatto. Certo, l’arrivo nella capitale rappresenta per Maurizio un’importante svolta nella sua carriera da professionista, un possibile trampolino di lancio per spiccare il volo definitivamente, ma…
In realtà, la Lazio del campionato ’86-’87 si allinea ai nastri di partenza zavorrata dall’handicap di ben 9 punti di penalizzazione, oltre alla squalifica per 5 anni di Claudio Vinazzani, a causa del “Totonero-bis”, l’inchiesta sul nuovo scandalo del calcioscommesse che segue la prima del 1980. Ed al club biancoceleste, tutto sommato, va pure bene, visto che in primo grado era stato declassato in C1. L’organico a disposizione del neoallenatore Eugenio Fascetti è a dir poco stravolto dal terremoto giudiziario, tante le partenze illustri, su tutte quelle del libero Roberto Galbiati e della punta Oliviero Garlini, oltre all’ammainabandiera di un veterano come Vincenzino D’Amico, andato a spendere gli ultimi spiccioli di carriera a Terni.
La sfortunata parentesi di Maurizio Schillaci alla Lazio
Sta di fatto che Maurizio Schillaci si ritrova a sgomitare per un posto da titolare con una vecchia volpe dell’area di rigore come Giuliano Fiorini, col rampante Paolino Mandelli, referenziato perché di scuola interista, e con Antonio Rizzolo, che insieme a Francesco Dell’Anno (quell’anno dirottato ad Arezzo per farsi le ossa), simboleggia quanto di meglio è sfornato in quel periodo dal vivaio laziale. Maurizio vince la concorrenza di Rizzolo, ma al tirar delle somme deve accontentarsi di appena 11 presenze su 38, troppo poco per scalzare Fiorini e Mandelli dal ruolo di prime scelte. Gli resta la magra consolazione di aver deciso la vittoriosa trasferta di Cagliari con uno spettacolare e perentorio stacco di testa, appena due minuti dopo essere subentrato, nella ripresa, proprio a Mandelli.
Certo, non era semplice affermarsi nel corso di un’annata marchiata da quel pesante gap in classifica e chiusa con una salvezza quanto mai sofferta, maturata solo nell’appendice conclusiva degli spareggi in quel di Napoli con Taranto (sconfitta per 1-0) e Campobasso (vittoria per 1-0).
Al Messina col cugino Totò
In più Maurizio patisce per problemi fisici al tendine – a suo dire mai davvero diagnosticati dallo staff sanitario della Lazio, che lo bollò come una sorta di ‘malato immaginario’ – insomma, le attenuanti non mancano, ma l’impressione è che il treno buono per lui sia passato invano. L’anno dopo ritrova nel Messina di Scoglio il cugino Totò, col quale disputa due tornei di B, ma sempre da rincalzo, e così, mentre Totò diventa a suon di reti il bomber che conquista sia la Juve che la Nazionale, a Maurizio non resta che un solo gol – peraltro in compagnia del cugino nel secco 3-0 rifilato al Bari alla tredicesima giornata – prima di concludere la carriera con qualche sporadica apparizione nella Juve Stabia e, infine, con un malinconico ritorno a Licata, dove mette a referto appena una presenza.
Il ritorno a Licata per un’ultima passerella e il declino
È anche vero che l’ultima fase della sua avventura calcistica è avversata da problemi personali che col calcio nulla hanno da spartire e che, in questa sede, non è il caso di rivangare, se non per rammentare che hanno ispirato anche un docufilm, “Fuorigioco”, incentrato proprio sulla sua parabola discendente, culminata anche in un’estrema indigenza. Quando gli hanno chiesto se fosse, in realtà, più talentuoso del cugino, ha sempre risposto “Non lo dico io, lo lascio dire agli altri”, con la maturità di chi ne ha vissute tante e non ha più tempo e voglia per masticare amaro rivivendo quello che la sorte matrigna gli ha fatto assaporare solo per poco.
Quando penso a lui mi viene in mente un altro parallelo culturale, quello con gli ‘artisti maledetti’ alla Van Gogh perché, in fondo, questo è stato Maurizio, un virtuoso che ha divertito e si è divertito dipingendo calcio, fin quando non ha dovuto fare i conti col fato.
Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.